IAI
UNA GUIDA A USA2020

Tutto sull’elezione del presidente e del Congresso degli Stati Uniti /5

30 Ott 2020 - Riccardo Alcaro - Riccardo Alcaro

Pubblichiamo a puntate il rapporto sulle elezioni negli Stati Uniti d’America apparso sul Focus euroatlantico n. 15 nell’ambito dell’Osservatorio di politica internazionale, Documentazione per le Delegazioni parlamentari presso le Organizzazioni internazionali, Commissioni Esteri e Difesa di Camera e Senato, funzionari del Ministero degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale e la rete diplomatico consolare. Il Focus è disponibile sul sito del Parlamento.

L’impossibilità di giocarsi l’elezione sull’economia è senza ogni dubbio la maggiore complicazione nella campagna per la rielezione di Trump. A inizio anno il presidente poteva indicare in un tasso di crescita sostenuto e una disoccupazione vicina ai minimi storici come prova della sua capacità di gestire l’economia, un punto su cui l’opinione pubblica sembra concordare, stando ai sondaggi.

Il margine di vantaggio su Biden, che sostiene che la forte performance dell’economia sia il frutto della ripresa economica avviata dall’amministrazione Obama nel 2009, non è però molto ampio. Biden è inoltre ritenuto più idoneo a gestire tutte le altre questioni del dibattito elettorale: le divisioni razziali e la gestione dell’ordine pubblico, il cambiamento climatico, le relazioni con la Cina, le nomine nelle corti federali, nonché la sanità pubblica e la gestione della pandemia

Black Lives Matter
Accanto alla crisi economica e alla pandemia, la terza grande questione al centro della campagna elettorale sono le divisioni razziali, un problema endemico della società americana riesploso dopo la diffusione del video in cui un afro-americano residente a Minneapolis, George Floyd, veniva immobilizzato fino al soffocamento da un agente di polizia. Da giugno in poi si è assistito in centinaia di centri urbani negli Stati Uniti a mobilitazioni in protesta contro l’uso eccessivo della forza da parte della polizia, il più delle volte diretto verso i neri (quello di Floyd è solo uno dei numerosi casi emersi negli ultimi anni) e contro le mancate sanzioni nei confronti degli agenti ritenuti responsabili di atti di questo genere.

Le proteste hanno spesso visto come protagonista il movimento Black Lives Matter, una rete di organizzazioni per la lotta contro l’ingiustizia razziale, sebbene l’adesione sia stata più ampia. Non sempre le proteste si sono svolte pacificamente, e ci sono stati casi di disordini, scontri con la polizia, razzie e assalti ai negozi, nonché ferimenti e uccisioni. In alcuni casi, alle manifestazioni di protesta si sono accompagnate contro-manifestazioni da parte di gruppi (spesso armati) dell’estrema destra americana.

Trump e Biden hanno prodotto due narrazioni degli eventi completamente diverse. Biden ha espresso solidarietà ai protestanti e promesso riforme nelle procedure di polizia e nella gestione delle tensioni razziali, sebbene si sia rifiutato di abbracciare programmi di riforma radicali come quelli raccolti sotto lo slogan Defund the Police (letteralmente, “togliere i fondi alla polizia”), che insiste sulla necessità di impiegare fondi oggi destinati alla polizia a servizi sociali, sostegno all’istruzione e formazione di giovani disagiati, edilizia popolare e servizi sanitari (anche psichiatrici). Trump ha dato pieno e incondizionato appoggio alle forze di polizia e insistito sul fatto che il problema principale sia la violenza della sinistra anarchica, sebbene non ci siano prove al riguardo. L’intento è dipingere Biden come un candidato inadatto a gestire l’ordine pubblico e difendere la proprietà da saccheggi indiscriminati, adottando lo slogan law and order (legge e ordine), che fu usato con grande efficacia dal repubblicano Richard Nixon nella campagna del 1968.

Stando ai sondaggi, il sostegno pubblico a Black Lives Matter è calato da giugno a oggi, soprattutto a causa del crollo del supporto dell’elettorato conservatore (prima figura). Tuttavia, l’opinione pubblica tende a ritenere che Trump sia più un fattore aggravante il problema delle divisioni razziali e conseguenti disordini che il contrario – anche in ragione del fatto che Trump, al contrario di Nixon nel 1968, è il presidente in carica e non lo sfidante. Solo il 18% degli americani ritiene infatti che la riconferma di Trump avrebbe effetti positivi sull’ordine pubblico, mentre il 56% pensa che la situazione peggiorerebbe (seconda figura).

 

La Corte suprema
Come accennato sopra, la gestione della pandemia e la scelta di puntare sul messaggio law and order in materia di divisioni razziali sono un’eloquente testimonianza della strategia di Trump di mobilitazione dell’elettorato conservatore. Un’altra questione su cui Trump ha deliberatamente privilegiato la sua base elettorale è la nomina di un giudice alla Corte suprema, il vertice del potere giudiziario degli Stati Uniti.

Essa è non solo l’ultima autorità in materia di costituzionalità delle norme, sia federali sia statali, ma in alcuni casi funziona anche in modo non dissimile da una corte di cassazione (cioè il tribunale di ultima istanza). Per quanto riguarda il valore della giurisprudenza della Corte suprema, vale la pena ricordare che il principio dello stare decisis – che crea una gerarchia di fatto nelle giurisdizioni di common law – fa discendere a cascata la decisione della Corte suprema su tutte le altre giurisdizioni inferiori e, così, pone il sigillo del giudicato costituzionale sulle questioni di diritto. I casi in cui la Corte suprema è chiamata a decider su temi politicamente sensibili sono numerosi e riguardano questioni di enorme importanza per l’elettorato degli Usa. Il fatto che i giudici supremi servano a vita aumenta considerevolmente la loro autorità. Determinare la composizione della Corte, i cui nove membri sono nominati dal presidente e approvati dal Senato, è pertanto una delle massime priorità dei partiti.

Oggi la Corte suprema comprende cinque membri di area conservatrice e tre di area progressista. Il nono posto è stato reso vacante dalla morte di Ruth Bader Ginsburg, di area liberal, lo scorso settembre. Trump, che ha già nominato due giudici supremi (più numerosi altri per le corti federali minori), ha immediatamente selezionato una candidata conservatrice per il posto lasciato vacante da Ginsburg, Amy Coney Barrett.

I Repubblicani in Senato hanno promesso di approvare la nomina prima delle elezioni, suscitando le proteste dei Democratici. Mentre nulla vieta al presidente e al Senato di nominare e approvare un giudice supremo durante il loro mandato naturale, nel 2016 i Repubblicani in Senato avevano bloccato lo scrutinio di un giudice supremo nominato da Obama con l’argomento che non sarebbe stato opportuno procedere in un anno elettorale. Il fatto che Obama avesse fatto la sua nomina nove mesi e Trump solamente poco più di un mese prima dell’elezione rende il contrasto tra l’atteggiamento dei Repubblicani nel 2016 e nel 2020 ancora più stridente. Allo stato attuale, la fiducia del pubblico in questo massimo organo dello stato non sembra aver risentito significativamente del clima di acuta polarizzazione della politica americana.

Il timore dei Democratici è che una Corte suprema con una maggioranza conservatrice di 6-3 potrebbe rovesciare sentenze emesse dalla Corte in passato (anche durante il periodo di maggioranza conservatrice) riguardo a questioni centrali come l’assistenza sanitaria e il diritto all’aborto, nonostante in generale l’opinione pubblica sembri favorire entrambi.

Voto per posta
Un’ultima, ma certamente non meno fondamentale, questione che sta animando la campagna riguarda il voto per posta. Come già ricordato, il voto per posta è una pratica ben consolidata negli Stati Uniti, che quest’anno è destinata a crescere a causa della pandemia. Si tratta pertanto di una pratica comunemente accettata.

Eppure, il presidente Trump ha ripetutamente e pubblicamente affermato (anche durante il primo dibattito con Biden) che il voto per posta sarebbe soggetto a frodi di massa, nonostante vi siano prove del contrario (lo stesso Trump ha votato per posta nelle elezioni di metà mandato del 2018). Stando ai critici, il presidente starebbe tentando di delegittimare preventivamente l’esito del voto di novembre qualora Biden dovesse prevalere grazie ai voti espressi via posta. Infatti, i sondaggi indicano chiaramente che la maggior parte di coloro che intendono ricorrere a questa pratica sostiene il candidato democratico.

Se i margini tra Biden e Trump fossero sottili si potrebbe verificare l’effetto del cosiddetto miraggio rosso (dove “rosso” sta per il colore dei Repubblicani), in base alla quale Trump potrebbe risultare in vantaggio il 3 novembre negli Stati chiave per poi vedere questo vantaggio erodersi man mano che vengono contati i voti per posta.

Denunciando il voto per posta e esplicitamente rifiutandosi di impegnarsi per un trasferimento pacifico del potere qualora fosse sconfitto, Trump ha così messo in discussione l’integrità stessa del processo elettorale. Tuttavia, il Senato Usa ha approvato all’unanimità una risoluzione che riafferma “il suo impegno per il trasferimento ordinato e pacifico del potere richiesto dalla Costituzione degli Stati Uniti”.

Questa è la quinta puntata di uno studio/guida alle elezioni americane redatto da Riccardo Alcaro (Coordinatore delle ricerche e responsabile del programma “Attori globali” dell’Istituto Affari Internazionali) che è stato illustrato nel corso del webinar organizzato dallo IAI e dalla nostra rivista il 26 ottobre 2020.