IAI
UNA GUIDA A USA2020

Tutto sull’elezione del presidente e del Congresso degli Stati Uniti / 3

25 Ott 2020 - Riccardo Alcaro - Riccardo Alcaro

Pubblichiamo a puntate il rapporto sulle elezioni negli Stati Uniti d’America apparso sul Focus euroatlantico n. 15 nell’ambito dell’Osservatorio di politica internazionale, Documentazione per le Delegazioni parlamentari presso le Organizzazioni internazionali, Commissioni Esteri e Difesa di Camera e Senato, funzionari del Ministero degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale e la rete diplomatico consolare. Il Focus è disponibile sul sito del Parlamento.

Sebbene tutte le attenzioni si concentrino sull’elezione presidenziale, come ricordato in precedenza si voterà anche per un nuovo Congresso. Non si tratta di un passaggio di poco conto. Al contrario, l’esito delle elezioni per Senato e Camera è destinato a influenzare considerevolmente la capacità del prossimo presidente di avanzare la sua agenda politica.

È prassi che il Presidente degli Stati Uniti, non avendo potere di iniziativa legislativa, si avvalga di deputati e senatori del suo partito per sottoporre al Congresso provvedimenti normativi che, in tal modo, figurano come disegni di legge di iniziativa parlamentare.

Senato
Delle due camere, il Senato è il più importante, e non soltanto perché il mandato senatoriale dura ben sei anni. Oltre al potere legislativo, che condivide su base paritaria con la Camera, il Senato gode di prerogative costituzionali speciali: ratifica i trattati internazionali (con maggioranza di due terzi) e approva le nomine presidenziali dei membri del gabinetto, degli ambasciatori e soprattutto delle corti federali, compresa l’ultra-potente Corte suprema. Inoltre, come ricordato sopra, il Senato si rinnova solamente per un terzo ogni due anni, il che limita l’effetto trainante che il voto per il candidato presidente ha solitamente sul voto per i candidati congressuali.

Quest’anno sono in ballo 35 seggi senatoriali, 33 in base alla normale rotazione e due per sopperire a seggi vacanti. Al momento la maggioranza del Senato è nelle mani dei repubblicani, che hanno 53 seggi rispetto ai 45 dei Democratici (a cui si aggiungono due senatori indipendenti di sinistra). Per ribaltare il risultato, quindi, i democratici devono conquistare per lo meno tre seggi in mano ai repubblicani – o quattro se Trump venisse riconfermato, visto che la Costituzione dà al vice-presidente il potere di rompere una situazione di stallo in Senato. Al momento, i democratici possono contare su 47 seggi e i Repubblicani su 46 (o perché non sono in ballo o perché i sondaggi indicano una netta prevalenza dei loro candidati). Pertanto la competizione riguarda sette seggi. Stando ai sondaggi, i democratici potrebbero perdere il seggio dell’Alabama ma conquistarne cinque (in Arizona, Colorado, Iowa, North Carolina e Maine), ottenendo una maggioranza di 51.

 

 

Camera dei Rappresentanti
Quanto alla situazione relativa alla Camera dei Rappresentanti, che rinnova tutti i suoi 435 membri, i democratici sembrano avere le migliori chance di mantenere la maggioranza, sebbene sia incerto se con un divario superiore o inferiore al considerevole margine guadagnato nel 2018: 233-198 (quattro seggi sono vacanti).

I sondaggi assegnano ai democratici 215 seggi sicuri, solamente tre in meno della soglia di maggioranza di 218. I repubblicani per il momento possono contare solo su 186 seggi sicuri. L’intenzione di voto generale assegna loro solo il 42,6% delle preferenze, contro il 49,2% per i democratici.

 

 

Governatori e gerrymandering
Oltre alle elezioni per presidente e Congresso, a novembre undici stati voteranno anche per i rispettivi governatori. L’unica competizione davvero aperta però riguarda il Montana. Al momento il maggior numero di governatori è repubblicano (27 contro 22). Il risultato delle elezioni per i governatori è importante sul piano federale perché sono le autorità statali (di cui il governatore è il vertice) a tracciare i confini dei distretti elettorali per i seggi della Camera dei Rappresentanti. Si tratta di un considerevole vantaggio dal momento che i partiti tendono a ridisegnare i distretti elettorali in modo da favorire i propri candidati, una pratica nefasta nota come gerrymandering. Il “trucco” consiste nel disperdere il voto del partito avverso dividendolo in vari distretti oppure concentrarlo tutto in pochi, in modo da ridurne l’effetto ai fini elettorali.

Nonostante questa pratica sia considerata una forma di manipolazione elettorale, ogni sforzo di bandirla a livello nazionale è stato vano, soprattutto a causa dell’opposizione dei repubblicani. Infatti, il sistema tende a favorire questi ultimi, perché l’elettorato democratico è in maggioranza urbano e quindi più facile da concentrare. Per il momento l’unica soluzione alternativa, adottata da Stati come il Michigan, è assegnare il compito di disegnare i distretti elettorali a una commissione indipendente.

Questa è la prima puntata di uno studio/guida alle elezioni americane redatto da Riccardo Alcaro (Coordinatore delle ricerche e responsabile del programma “Attori globali” dell’Istituto Affari Internazionali) che sarà illustrato nel corso del webinar organizzato dallo IAI e dalla nostra rivista il prossimo 26 ottobre alle 17.30.