Suggestioni letterarie per il rifiuto della pena di morte (Parte 2)
Molti autori sono straordinariamente persuasivi proprio per l’efficacia della loro arte, nella quale si esprime compiutamente la potenza delle loro idee, della loro passione civile. Non è esagerato affermare che alcuni testi rappresentano una sorta di iconostasi del dolore, veramente capaci di suscitare sentimenti di pietà e commozione. La nostra conoscenza è polimorfa e si realizza attraverso diversi canali, non esclusi quelli del sentimento, della passione, dell’emozione, dell’affettività.
Il teologo Oliviér Clément sosteneva che l’espressione artistica “ci risveglia. Essa ci cala più in profondità nell’esistenza. Fa di noi degli uomini e non delle macchine. Rende solari le nostre gioie e laceranti le nostre ferite. Ci apre all’angoscia e alla meraviglia”. La letteratura consente a ciascuno, ricorda Todorov, “di rispondere meglio alla propria vocazione di essere umano”, grazie alle “sensazioni insostituibili” che ci procura.
La forza della letteratura
La letteratura, per la sua capacità di comunicare e trasmettere conoscenza, sa cogliere più intuitivamente quello che altre elaborazioni di pensiero sono più lente a formulare compiutamente. Lo storico Carlo Ginzburg cancella la distinzione tra narrazioni storiche e narrazioni di finzione. Vede le une e le altre in competizione nella “rappresentazione della realtà”. Se una ricostruzione storica è indiziaria, il romanzo è una miniera di tracce utili al racconto del vero, è un libro di storia a tutti gli effetti. Inevitabilmente tra letteratura e storia c’è dunque una frizione, che spesso rende ardua la ricerca della verità: senza la storia la letteratura è destituita di fondamento, ma senza letteratura la storia non può raccontare la vita.
La letteratura non meno di altre discipline aiuta a conoscere la storia e a promuovere i diritti civili e la libertà laddove è stata conculcata. Le pagine dell’opera di Dostoevskij Memorie dalla casa dei mortifurono una serrata requisitoria contro il sistema penitenziario russo che spinse lo zar Alessandro II a redigere un’ampia riforma giudiziaria. L’opera di Turgenev Memorie di un cacciatore rappresentò un atto di denuncia sociale sulle condizioni miserevoli dei contadini e il dispotismo dei proprietari, descritti con tanta evidenza da suscitare sdegno presso i lettori. Molti comprenderanno l’Italia fascista attraverso romanzi come Gli indifferenti di Moravia e Fontamara di Silone.
Pena di morte, giustizia e guerra
Il rapporto tra sistema penale e letteratura è indubbiamente ricco e articolato. Molti poeti e letterati, toccando i temi del diritto e della pena di morte (Tolstoj, Dostoevskij e Wilde) hanno espresso l’auspicio che gli istituti giuridici, affinché possa aversi una giustizia più umana, recepiscano un’etica e una cultura del perdono perché emerga fortemente l’immagine di una giustizia che sappia portare in sé il segno di ciò che è altro rispetto al male commesso, ricucendo i rapporti piuttosto che reciderli.
Sostiene il giurista Luciano Eusebi: “l’idea che al negativo debba rispondersi con il negativo ha rappresentato, del resto, il più potente moltiplicatore della violenza nella storia umana. Si pensi solo alla circostanza per cui le teorizzazioni del concetto di guerra giusta (di infinite guerre qualificate giuste) sono sempre state le medesime cui s’è fatto ricorso per giustificare sanzioni penali ispirate, pur sempre, allo schema della ritorsione (o della vendetta) e, segnatamente, per giustificare proprio la pena di morte”.
Queste preoccupazioni, al fondo del pensiero di diversi autori, ci mostrano che i giuristi possono imparare dai letterati: l’insegnamento che molti scrittori possono dare ai giuristi consiste nell’indicazione che troppo spesso le istituzioni giuridiche ottengono il risultato opposto a quello che si prefiggono, che la difesa della certezza del diritto e della dignità dell’uomo deve essere oggetto di una continua e gelosa attenzione, e che è cosa assai difficile costruire il diritto, soprattutto quello penale, in modo che sia realmente a misura dell’uomo.
Interrogativi cruciali e non meno delicati sul piano etico e filosofico di quanto lo è il tema della giustizia e della guerra. Si può sostenere che nella storia del pensiero occidentale il tema della giustificazione del supplizio e quello della giustificazione della guerra si sono sviluppati in parallelo. Occorre interrogarsi ed adoperarsi per non essere complici di chi quotidianamente infrange l’antico patto biblico “non spargere il sangue dell’uomo”, iscritto nel cuore e nella tradizione dei popoli.
Il mondo contemporaneo
Il mondo contemporaneo è complesso, richiede capacità di leggere le diversità degli eventi. Ma tale possibilità non è offerta a tutti. Infatti, oggi, cultura e politica divorziano: quest’ultima ama spesso le semplificazioni gridate, stimolando le passioni, guidando le reazioni, senza aiutare a comprendere. Un mondo fatto di passioni e di emozioni che influenza tutti gli aspetti della vita quotidiana, compresi quelli della giustizia e delle pene.
La letteratura può aiutarci. A comprendere che la pena capitale rappresenta la sintesi della disumanizzazione a cui opporsi: è una pena irreversibile, viene data dai poteri pubblici che dovrebbero difendere la vita, assomiglia a una vendetta, si basa sulla reciprocità con il male, lancia alla società un potente messaggio di legittimità della ritorsione.
La letteratura è un’indispensabile risorsa di senso per l’umanità del nostro tempo. E’ una bussola per la vita, sostiene Tolentino De Mendonça, “uno strumento prodigioso di lettura dell’esperienza individuale e collettiva, storica e interiore, nella sua dimensione particolare come in quella universale”. Abbiamo bisogno della letteratura, non come una sorta di ornamento estetico, bensì come di una sua struttura portante, un codice di sopravvivenza del nostro stare al mondo.
Questa è la seconda parte dell’articolo di Antonio Salvati pubblicato su AffarInternazionali