Ritorno al Mas o nuovo corso: il bivio della Bolivia alle urne
La Bolivia si trova di fronte a un bivio: il 18 ottobre dovrà decidere se ritornare sotto la guida del Mas – il partito che è stato al potere con Evo Morales per tre mandati consecutivi dal 2006 al 2019 -, dopo la breve parentesi di Jeanine Áñez al governo, o iniziare un nuovo corso. Nonostante la presidente ad interim abbia ritirato la propria candidatura, il fronte anti-Mas resta ancora diviso tra Carlos Mesa, candidato centrista con più possibilità di vittoria, e Luis Fernando Camacho, che pretende di annullare completamente l’eredità di Evo Morales.
Oltre 7 milioni di elettori boliviani sono chiamati alle urne per rinnovare gli organi legislativo ed esecutivo e scegliere il nuovo binomio presidente-vicepresidente dopo tre rinvii a causa della pandemia (dal 3 maggio si è passati al 17, poi al 6 settembre e infine al 18 ottobre). Per vincere al primo turno, il candidato deve superare il 50% delle preferenze o raggiungere il 40% con 10 punti di vantaggio sul secondo.
L’Assemblea Legislativa Plurinazionale è bicamerale. La Camera dei Deputati è formata da 130 membri, il Senato da 36, in entrambi i casi eletti per cinque anni di mandato. Si vota in base a nove circoscrizioni dipartimentali, con sistema proporzionale o a maggioranza semplice dipendendo dal seggio. Per la presidenza e vicepresidenza la circoscrizione è unica e nazionale. Le modifiche alla legge elettorale del 2005 hanno imposto l’inclusione di una quota del 30% di rappresentanti donne in tutti gli organi.
L’anno di transizione
Dopo le elezioni dell’ottobre dello scorso anno, Evo Morales rinunciò alla carica di presidente sotto pressione delle Forze armate, seguito poi dal suo vicepresidente e dai presidenti di Camera e Senato. Jeanine Áñez, all’epoca vicepresidente del Senato, era la successiva in lista: giurò in un parlamento semideserto e senza quorum. Le sue scelte hanno influenzato anche l’attuale campagna elettorale.
L’anno di governo transitorio ha contribuito a inasprire il clima politico del Paese. La leader del Movimiento demócrata social ha portato avanti una campagna di screditamento che ha coinvolto chiunque risultasse vicino al Mas. Questa strategia ha sortito un effetto importante: l’inabilitazione di Evo Morales, che non potrà neanche presentarsi come senatore per Cochabamba, a causa della regola che impone al candidato di risiedere in Bolivia almeno nei due anni precedenti all’appuntamento elettorale.
Nei sondaggi, il candidato del Mas Luis Arce e il principale aspirante dell’opposizione Mesa si sono sempre confermati al primo e al secondo posto. L’annuncio della candidatura di Áñez aveva in parte sconvolto i piani del fronte anti-Mas, preoccupato da un sondaggio di settembre che dava il candidato di Morales attorno al 40% con oltre 10 punti di distacco. Di fronte a quei dati, la presidente ha scelto di ritirarsi e gli analisti sostengono che i suoi voti si dirigeranno verso Camacho, che gode di un elettorato simile. La dinamica del “voto utile” potrebbe però favorire Mesa, che negli ultimi sondaggi è cresciuto diminuendo lo scarto con Arce, adesso tra i 5 e i 7 punti.
I candidati
La cupola del Mas e le principali organizzazioni di base boliviane a supporto dei diritti indigeni e agrari, il Pacto de Unidad, si sono riuniti a gennaio a Buenos Aires, dove vive attualmente Morales, per votare nuovi rappresentanti. In quella sede, è stato scelto Luis Arce (57 anni) come aspirante presidente. L’ex ministro dell’economia, protagonista della crescita del Pil annuale oltre il 4% e della riduzione della povertà e della povertà estrema, affiancherà David Choquehuanca, candidato vicepresidente che incarna le istanze dei campesinos e degli indigeni, essendo di origine aymara.
In linea con i governi di Morales, la loro “Agenda del Bicentenario” (alla fine del mandato, nel 2025, la Bolivia compirà 200 anni) contempla 13 pilastri per lo sviluppo, tra cui un’ulteriore riduzione della povertà, attenzione ai diritti degli indigeni, l’universalizzazione dei servizi di base come salute ed educazione e la diversificazione dell’economia, ancora dipendente dalle materie prime, come testimoniato dal progetto per l’industrializzazione del litio (estrazione senza privatizzazione). Ideologicamente, la gestione Arce-Choquehuanca, che in questo momento oscilla tra il 30% e il 40% delle preferenze, contempla un riavvicinamento al blocco socialista rappresentato da Venezuela e Cuba.
Gli elettori potranno inoltre scegliere tra altri sei candidati, ma solo due possono realisticamente aspirare al secondo turno: Carlos Mesa e Luis Fernando Camacho. Pur essendo entrambi critici di Morales, incarnano anime diverse dell’opposizione: il primo non rinnega completamente l’eredità di El Indio e spinge per la moderazione; il secondo è decisamente più orientato verso destra e professa un cambiamento radicale del Paese, partendo da una riforma delle istituzioni e dichiarandosi a favore del federalismo.
Mesa (67 anni), attualmente dato tra il 25% e il 33%, è stato il penultimo presidente non Masista prima dell’avvento di Morales al potere. Alle elezioni dell’ottobre dello scorso anno sfiorò il ballottaggio prima che il conteggio dei voti venisse interrotto e riprendesse con un vantaggio definitivo di Morales di poco più di 10 punti. Quest’anno ci riproverà mantenendo il suo programma, che prevede un forte sviluppo delle imprese, un rafforzamento delle istituzioni per ridurre l’abuso di potere ma anche punti in sintonia con il Mas come il diritto alla salute universale e gratuito sebbene con un’apertura ai servizi privati. La sua coalizione, Comunidad Ciudadana, cercherà di attirare l’elettorato moderato della classe media.
Luis Fernando Camacho (41 anni) è la voce dell’elettorato della classe media conservatrice e delle élite regionaliste. Dato tra il 12% e il 18%, l’avvocato, imprenditore ed ex presidente del Comité Civico de Santa Cruz, la zona più ricca del Paese, è considerato uno grandi fautori della destituzione di Morales per aver incitato le proteste. Il suo programma prevede un taglio netto con il passato, incluso con Carlos Mesa, colpevole, a suo avviso, di aver condannato solo in parte la gestione di Morales. Punti nevralgici riguardano l’eliminazione della rielezione, il diritto di voto per i sedicenni e la graduale decentralizzazione dei servizi sanitari e dell’educazione.
Nessuno degli altri candidati supera il 3%, neanche il pastore evangelico coreano naturalizzato boliviano Chu Hyun Chung, che nel 2019 raggiunse l’8%. Completano la lista l’ex presidente socialdemocratico Tuto Quiroga, il minatore Feliciano Mamani e la conservatrice nazionalista María De La Cruz Bayá.
Se il Mas non dovesse vincere al primo turno, è molto difficile che riesca a farlo al ballottaggio. Il fronte anti-Mas unito raccoglierebbe più consensi del partito che ha governato la Bolivia dal 2006 al 2019. Dopo il primo appuntamento del 18 ottobre, il secondo turno è fissato per il 29 novembre. Sarà probabilmente quella la data decisiva.
A cura di Alessandro Leone, autore Centro e Sud America de Lo Spiegone.
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