Non solo una disputa marittima: dietro le trattative tra Israele e Libano
Sarà perché gli Stati Uniti, seguendo la policy dell’Amministrazione Obama, hanno favorito il negoziato, sarà per l’effetto positivo degli Accordi di Abramo, sarà perché Beirut ha urgente bisogno di ripartire economicamente, ma le trattative sul confine delle Zone economiche esclusive (Zee) di Israele e Libano sembrano a buon punto.
Da dieci anni si trascinava una disputa indotta da incertezze sulle frontiere marittime. La posta in gioco è una piccola area; grande sarebbe tuttavia il significato politico dell’accordo. Tra l’altro, come monito a Grecia e Turchia, si proverebbe che nel settore delle delimitazioni non c’è mai un unico vincitore e che il pragmatismo è la migliore via da seguire.
Genesi della disputa
Nel 2007 Cipro concluse con il Libano una delimitazione della Zee, susseguente a quello del 2003 con l’Egitto (che la Turchia ha sempre contestato), seguendo il principio dell’equidistanza. Ma il diavolo, come si dice, si annida nei dettagli. In zona c’è il grande giacimento Leviathan che a 70 miglia da Haifa va ad incunearsi nei vicini fondali di Cipro e Libano. Così, Beirut si accorse presto di aver commesso un errore accettando un punto iniziale del confine adiacente Israele, a sé sfavorevole: un triangolo di circa 850 km2 rivendicato come proprio, andava infatti a ricadere nel versante israeliano.
Di qui la mancata ratifica dell’accordo e la decisione nel 2010 di stabilire unilateralmente, come punto iniziale della propria Zee, quello da cui passa la congiungente a terra, a Naqoura, con il punto B1 della Blue Line stabilita nel 2000 al momento del ritiro delle truppe israeliane e vigilata, da quel momento, dall’Unifil. Nel frattempo, nello stesso 2010, Cipro ed Israele avevano agito con fatti compiuti, concordando le rispettive Zee e stabilendo come punto triplo con il Libano proprio quello contestato.

Possibile intesa
Entrambe le parti hanno negli anni cercato di risolvere a proprio favore il contenzioso, concedendo licenze offshore nell’area contestata. Spesso la tensione tra le due parti ha rasentato lo scontro armato.
Da parte di Israele, soprattutto, si dava alla questione una connotazione di difesa dell’integrità territoriale in considerazione del fatto che la piattaforma continentale, secondo la Convenzione del diritto del mare (non ratificata da Israele ma vincolante sul piano del diritto consuetudinario), appartiene allo Stato costiero quale prolungamento della sua massa continentale.
Ora si dovrebbe trovare una soluzione di compromesso, spartendo equamente l’area contesa. Il problema sta nel tracciamento di una linea di equidistanza laterale che soddisfi le due parti: il Libano pretende, come detto, che essa sia il prolungamento a mare del tratto finale della Blue Line; Israele la individua invece nella perpendicolare al confine terrestre.
Prospettive future
Il negoziato in corso non riguarda solo gli spazi marittimi ed il relativo sfruttamento ma segna un punto di svolta nelle tormentate relazioni tra Israele ed il Libano. Rilevante è il fatto che gli Stati Uniti siano attivamente coinvolti, non avendo mai cessato di occuparsene dal 2010.
L’Unifil (sotto comando italiano) si è impegnata a fornire supporto tecnico alle due parti, avendo, tra l’altro, tutto l’interesse a che il confine a mare, oggetto di vari incidenti di frontiera, venga definito con certezza.

È possibile, a questo punto, che il Libano entri a far parte della neonata organizzazione di EastMed Gas Forum che include anche la Palestina. D’altronde, lo sfruttamento della sua Zee è iniziato: i blocks 4 e 9 sono stati concessi ad un consorzio a guida Total, a cui partecipano Eni e la russa Novatek, che avrebbe già individuato giacimenti di gas.
È comunque sicuro che, se un’intesa verrà firmata, si rafforzerà il ruolo degli Stati Uniti nella disputa greco-turca: Washington (e forse anche Tel Aviv) avrebbe buoni argomenti per convincere gli attori coinvolti a sedersi ad un tavolo, avendo dimostrato capacità di soluzione di contenziosi marittimi.