Non solo dribbling delle tasse: i debiti di Trump e il nodo sicurezza nazionale
I debiti di Donald Trump sono l’aspetto più ambiguo delle sue finanze. Perché se le coordinate e le relative identità dei big che finanziano l’attuale presidente è chiara da anni – Deutsche Bank e Ladder Capital sono i suoi maggiori creditori -, resta il fatto che 421 milioni di dollari di debiti che volteggiano sui tavoli ovali e tra gli scaffali della Casa Bianca sono troppi, anche per Trump. E di questi non tutti si esauriscono con le sigle dei due creditori noti. Una dispersione di debiti, pulviscolare, difficile da tracciare, con nomi e sigle che saltano alle cronache con cadenza semestrale e che comunque persiste, senza soluzione.
Un groviglio di ipoteche, di titolarità di società e di fondi che scompaiono in pegno per ricomparire senza rossi di bilancio, lustrati, mondati. Lo stesso presidente spesso diventa azionista del suo creditore. Insomma, ce n’è abbastanza per stimolare i grandi gialli sulla finanza globale. Ma la questione occupa la scena perché l’attore principale non è un semplice imprenditore ma l’attuale Presidente Usa in corsa, per di più, per la rielezione.
Non a caso, quando “The Donald” è apparso sugli schermi della NBC, la moderatrice Savannah Guthrie ha posto la stessa domanda, con un tono differente ma comunque diretto, franco. “A chi devi $421 milioni”, ha chiesto Guthrie, citando la recente inchiesta del New York Times sulle dichiarazioni dei redditi di Trump che, oltre a fissare l’istantanea dei dribbling fiscali del presidente, indicava anche che gli obblighi a restituire quanto ricevuto in forma di prestiti sarebbero presto maturati nei prossimi quattro anni a venire, fino ad intrecciarsi con l’agenda del commander-in-chief del Paese che è ancora la locomotiva mondiale e che potrebbe essere confermato nel suo incarico nelle prossime settimane. Il fattore “urne” è sempre più di difficile interpretazione, in particolare negli Usa.
I creditori del presidente
L’idea che i creditori del presidente non siano tutti identificati nelle dichiarazioni dei redditi è fondata. Ad ogni modo, gli istituti di credito e le banche cui Trump attinge sono conosciuti. Nel 2015, ad esempio, l’allora candidato Trump presentò la sua prima comunicazione finanziaria personale al governo degli Stati Uniti, di fatto elencando le proprietà vincolate dal debito, i nomi delle aziende che avevano emesso i prestiti, le date di scadenza e un intervallo del valore del debito. Inoltre, poiché i prestiti sono per lo più ipoteche, esistono nei registri pubblici delle diverse contee interessate e, in alcuni casi, in titoli garantiti da ipoteca.
Seguendo questo filo, la maggior parte delle passività di Trump può essere per lo più raggruppata in tre gruppi: prestiti emessi ipotecando i suoi uffici e riconducibili a Ladder Capital, cui s’aggiungono i prestiti emessi da Deutsche Bank AG che hanno come contropartita proprietà d’immobili ad elevato rischio come l’hotel di Washington e il Doral Resort. E, per finire, aggiungiamo anche i prestiti contratti da Vornado Realty Trust nei confronti di due torri con spazi dedicati ad uffici. Gli altri prestiti, comunque parliamo di centinaia di milioni, sono per lo più vecchi in termini di calendario e ridotti in dimensione.
Ciò non toglie che l’idea che l’inquilino della Casa Bianca sieda contemporaneamente di fronte ai suoi consiglieri per decidere il futuro degli Usa, e del mondo, e sopra una montagna di debiti, senza riguardo sul fatto che i creditori siano piccoli o grandi motori della rete finanziaria internazionale. Ciò di certo non è in piena sintonia con il pragmatismo democratico delle regole statunitensi.
Il legame con la sicurezza nazionale
Alcuni mesi or sono, a giugno, il Dipartimento della Difesa aveva negato una richiesta di nulla osta di sicurezza per l’accesso a informazioni classificate, cioè parzialmente riservate, perché il ricorrente risultava avere “debiti insoluti per un totale di circa 24mila dollari”. Non mezzo miliardo di dollari, come Trump, ma qualche migliaio di dollari. In effetti, l’eccessivo debito personale è tra i motivi più comunemente citati per negare o revocare l’accesso a informazioni classificate. Gli Stati Uniti pongono sotto osservazione milioni di individui che hanno accesso a documenti riservati per una semplice questione: risultano indebitati o titolari di posizioni comunque finanziariamente dubbie.
E dov’è la logica di una tale prassi? La ratio per collegare il comportamento finanziario personale con la sicurezza nazionale è spiegata nelle “Linee guida giudiziarie per la sicurezza nazionale per la determinazione dell’idoneità all’accesso alle informazioni classificate” pubblicate nella Direttiva 4 in tema di atti esecutivi per la sicurezza (Linea guida F: Considerazioni finanziarie).
In breve, “..l’incapacità di vivere entro i propri mezzi, soddisfare i debiti e adempiere agli obblighi finanziari può indicare uno scarso autocontrollo, mancanza di giudizio o riluttanza a rispettare regole e regolamenti, tutti fattori che possono sollevare dubbi sull’affidabilità e capacità di un individuo per proteggere informazioni classificate o sensibili”.
Doppio standard
La notizia del New York Times, secondo cui Trump ha un debito personale per un totale di centinaia di milioni di dollari (tra cui la Turchia), ha sollevato molti interrogativi. In realtà, la preoccupazione non è tanto la palese ingiustizia del doppio standard con cui a migliaia di persone viene negato il nulla osta per una minuscola frazione dell’irresponsabilità finanziaria enorme mostrata invece dal presidente. No.
Il problema reale è che l’intero apparato di nulla osta di sicurezza viene messo in discussione e minato dal presidente, colui che lo controlla. Tradotto, non serve a nulla cercare di garantire l’integrità di ogni singolo membro delle massicce burocrazie della difesa e dell’intelligence Usa se il presidente in carica, è lui stesso potenzialmente vulnerabile a pressioni finanziarie schiaccianti. Secondo l’ultimo rapporto trimestrale del governo sulla politica dei nulla osta di sicurezza, circa 2,3 milioni di persone autorizzate (su forse 4 milioni circa) sono tutt’oggi soggette a “valutazione continua” per rilevare prontamente irregolarità finanziarie o altre attività preoccupanti per la sicurezza. Eppure, il presidente non è tra gli individui coperti da tali valutazioni. Perché? Le urne lo valuteranno? E questo basterà a sciogliere i dubbi sulle sue croniche esposizioni debitorie?