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PALAZZO DI VETRO

Le ragioni del conflitto nel Nagorno-Karabakh (parte 2)

7 Ott 2020 - Francesco Semprini - Francesco Semprini

Leggi qui la prima parte

Le influenze esterne, o si potrebbe parlare di ingerenze, vedono un cambiamento strategico importante rispetto alla guerra del 2016. Allora, dopo quattro giorni, le ostilità finirono perché la Russia si impose facendo rientrare l’emergenza. Questa volta Mosca, co-presidente del gruppo di Minsk assieme a Stati Uniti e Francia che, nell’ambito degli sforzi dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce), ha l’obiettivo di incoraggiare una soluzione pacifica e negoziata, deve tenere presente due elementi nuovi.

Il primo è che una fine immediata e senza un cambiamento dello status quo rischierebbe di innescare un’ondata di proteste feroci interne all’Azerbaigian da cui il presidente Aliyev verrebbe travolto. E quindi appare un’ipotesi poco probabile.

La seconda è il fattore turco che quattro anni fa era più debole. Recep Tayyip Erdoğan, ha fiutato “l’affare azero” e lo sta cavalcando in chiave anti-armena inviando caccia F-16 e combattenti turcomanni provenienti dalla Siria, regolarmente reclutati, addestrati e trasportati in loco a spese di Ankara. Proprio sul modello libico con la differenza che, mentre la Libia è un Stato in prolungata crisi e travolto da una conflitto interno decennale, l’Azerbaigian è uno Stato solido ed è singolare che Aliyev abbia consentito di fare entrare tali elementi.

Mentre la Turchia è pesantemente schierata, la Russia ragiona su un piano strategico più ampio. Come sottolineato dall’ambasciatore all’Onu Vasily Nebenzya, “è inesatto dire che Mosca sostiene Yerevan, piuttosto occorre dire che sostiene un processo che riporti stabilità nella regione”. I russi insomma stanno coi russi, gestiscono il Caucaso utilizzandone le divisioni e vogliono tutelare la loro influenza sia in Armenia che in Azerbaigian fortissima in entrambe i casi, oltre a voler mantenere relazioni di opportunistico equilibrio con la Turchia.

Un’amicizia in crisi
Occorre anzi dire che negli ultimi tempi è stata messa alla prova l’amicizia russa con Yerevan perché l’armeno Nikol Pashinyan è salito al potere con una “rivoluzione di velluto” senza la benedizione di Mosca, la quale è preoccupata per una serie di altri fattori come l’avvelenamento del leader dell’opposizione Alexei Navalny, la rivolta in Bielorussia e le imminenti elezioni statunitensi.

Il Cremlino dovrà bilanciare il suo desiderio di proteggere la sua influenza politico-militare nella regione con la sicurezza dei suoi interessi strategici ed economici nei confronti della Turchia di cui ha grande bisogno in questo momento soprattutto su dossier come Siria e Libia. Mosca, inoltre, gode di forti legami con Baku, comprese la vendita di armi, anzi fino qualche mese fa era la potenza dominante in Azerbaigian, ma da luglio l’escalation di tensioni ha portato la Turchia dalla retorica della fratellanza alla realtà di un peso che si misura con il calcolo di Ankara di rientrare nel Caucaso.

Il punto è che senza la Russia l’Azerbaigian diventerebbe il cortile di casa della Turchia nella regione e pertanto Mosca ha tutto l’interesse a tenerne a bada le pulsioni espansionistiche che vanno, a questo punto, oltre alle velleità di riconquista della grandezza ottomana. E ciò a livello internazionale diventa il fattore chiave nell’attuale conflitto in Nagorno-Karabakh che potrebbe renderne la durata maggiore di quanto si creda perché fornirebbe, anche con l’afflusso di jihadisti dalla Siria, quelle risorse che mancherebbero a un certo punto alle forze di Baku.

È chiaro che gli azeri devono portare a casa porzioni di territorio, però allo stesso tempo devono stare attenti perché a un certo punto la Russia non li lascerà più agire a briglia sciolta. Mosca ha tutti gli strumenti per poter arrestare e aiutare gli armeni a un contrattacco, ha una base di 30 mila militari e ha schierato gli S-300, sebbene non è chiaro che discrezionalità di utilizzo ne abbia Yerevan. Il punto è che entrambi possono colpire la capitale dell’altro, la linea rossa che non è mai stata superata e, credono gli esperti, nemmeno questa volta lo sarà.

C’è inoltre da dire che uno dei fornitori di armi agli azeri è Israele – sebbene in parte sostituito dalla Turchia – pertanto un comportamento troppo aggressivo da parte di Aliyev potrebbe essere lesivo di tale rapporto. Infine, l’Azerbaigian ancora porta i segni del suo trascinamento nel conflitto ceceno e quindi sta ben attento a compiere errori tattici con la Russia.

Questo articolo è il secondo di tre contributi di Francesco Semprini che verranno pubblicati su AffarInternazionali. Qui il primo.

Leggi qui la terza parte