La matassa del Mediterraneo orientale e il ruolo dell’Italia
Un “nuovo” conflitto si è aperto questa estate sulle sponde, o meglio nelle acque, del Mediterraneo ed è arrivato fino al cuore dell’Europa, quello nel Mediterraneo orientale. In realtà, si tratta di una “vecchia” disputa deflagrata con prepotenza e andata espandendosi, sia tematicamente sia geograficamente, con il coinvolgimento via via di nuovi attori, dentro e fuori l’Europa.
In quest’ottica, la dicitura del “Mediterraneo orientale” appare riduttiva e quasi fuorviante, come se si cercasse di allontanare il conflitto dal vecchio continente giustificando in questo modo la nostra incapacità di giocare un ruolo attivo di contenimento e di risoluzione.
A ben vedere l’origine della disputa chiama immediatamente in causa l’Unione europea dato che riguarda uno dei suoi Stati membri – la Grecia – che da parecchi decenni è in disaccordo con la Turchia circa la delimitazione dei rispettivi confini marittimi. Tale disputa bilaterale è rimasta per lo più congelata e confinata a una dimensione sub-regionale (si veda la questione di Cipro) grazie a un’attenta gestione attraverso la diplomazia e il mantenimento di un canale di dialogo che ha coinvolto direttamente l’Ue, essendo tale dialogo avvenuto in parallelo ai negoziati più ampi per l’ingresso della Turchia nell’Unione.
Le cause dell’escalation
L’escalation alla quale abbiamo assistito durante l’estate è stata scatenata da importanti sviluppi a livello locale, regionale e internazionale. In primo luogo, i ritrovamenti di idrocarburi nel fazzoletto di mare tra Egitto, Cipro, Grecia, Turchia e Israele sono stati determinanti nell’aumentare la pressione sulle parti in gioco al fine di proteggere i propri interessi economici. Il collegamento tra i ritrovamenti stessi, da una parte, e l’attuale escalation del conflitto, dall’altra, tuttavia, non è diretto essendo intercorso parecchio tempo e alla luce del contesto generale di bassi prezzi degli idrocarburi e di transizione energetica. In altre parole, le questioni energetiche sono più una scusa o uno strumento a disposizione dei Paesi coinvolti per alimentare la disputa che ha a che fare con ambizioni geopolitiche molto più ampie.
In secondo luogo, si è verificato un marcato spostamento del conflitto dal piano bilaterale a quello regionale in seguito alla ricerca di sponde e alleanze da parte dei due contendenti (da parte turca per porre rimedio al proprio isolamento e da parte greca per testare le proprie ambizioni geopolitiche e quelle dei propri partner), all’entrata in campo – per effetto cascata – di altri attori (Egitto, Emirati Arabi Uniti, Francia, Israele, Russia) e alla manifestazione di un collegamento tra diversi conflitti attualmente in corso (Libia, tensioni nel Golfo, scontro ideologico intra-sunnita, ma anche Nagorno-Karabakh), come se si trattasse di focolai dello stesso virus.
Ciò ha trasformato il Mediterraneo nel suo complesso in un terreno di battaglia estremamente accidentato e in cui alleanze un tempo fluide e pragmatiche si stanno sempre più cristallizzando. Infine, nel quadro di un multipolarismo competitivo a livello globale, la Russia ha cercato di sfruttare la possibilità creata dall’assenza degli Stati Uniti, che tradizionalmente avevano mediato tra i due contendenti, entrambi suoi partner nella Nato, per entrare nella disputa e ricavarsi un ruolo di primo piano come aveva già fatto in Siria e in Libia.
Dal canto suo l’Ue non è stata in grado di articolare una risposta efficace e coesa per gestire la crisi. Da una parte, essa non ha la credibilità – nonostante i timidi tentativi di mediazione della Germania – per farlo dato che non è in alcun modo un attore neutrale per la presenza di due dei suoi stati membri quali parti del conflitto. Dall’altra, la mancanza di una strategia e di messaggi condivisi tra i suoi principali Stati membri (si veda, per esempio, l’iniziativa del Presidente francese Macron dell’incontro tra i sette Paesi mediterranei dell’Ue – i cosiddetti Med7 – il 10 settembre scorso in Corsica che è stata presentata come un progetto di diplomazia euro-mediterranea) è ancora una volta il sintomo di quanto le ambizioni geopolitiche dell’attuale Commissione europea siano frustrate dalle differenti vedute e dai veti incrociati tra gli stati membri.
Tempi e modi di una possibile mediazione italiana
Qualsiasi tentativo di risoluzione della questione del Mediterraneo orientale deve tenere conto di due fattori: in primo luogo quello temporale, mentre si è arrivati a un passo dal conflitto aperto tra Grecia e Turchia ad agosto, ora sembra che il prevenire un’escalation su questo fronte sia nell’interesse di entrambi i contendenti. In questo senso, il prendere tempo, il non azzardare risposte che potrebbero ulteriormente compromettere la situazione e invece il mantenere aperti canali di comunicazione tra tutte le parti in campo sembra essere la strategia giusta.
In secondo luogo, è importante estrapolare dalla complessa matassa di tutte le questioni sul tavolo e delle loro interrelazioni quei dossier che sono più prioritari di altri e hanno maggiori possibilità di innescare un circolo virtuoso. In quest’ottica, la questione energetica è forse quella meno intricata e una certa dose di diplomazia energetica può essere utilizzata per sbloccare la situazione in maniera concreta e pragmatica.
E qui entra in gioco l’Italia che, a differenza di altri Paesi europei, avrebbe gli interessi e le relazioni giuste per svolgere un ruolo di mediazione nella disputa. Roma è innegabilmente interessata a una de-escalation alla luce dei propri importanti interessi energetici (e di sicurezza) nella regione, tra i quali spicca il ruolo di Eni al largo di Cipro e di Egitto, e in Libia. Inoltre, l’Italia potrebbe avere le carte in regola per avviare e mantenere il dialogo tra le parti dato che gode di relazioni robuste con entrambi i contendenti (Grecia e Cipro/Turchia).
Sfruttare il canale della diplomazia energetica, anche favorendo l’inclusione della Turchia all’interno dell’Eastern Mediterranean Gas Forum (Emgf), per favorire il dialogo sui vantaggi concreti che potrebbero derivare da una maggiore cooperazione nel settore energetico, soprattutto in questo periodo di bonaccia dei prezzi, e per sbloccare altri dossier più complessi (per esempio il conflitto in Libia) dovrebbe essere il contributo dell’Italia al superamento dell’attuale impasse. Ciò rafforzerebbe anche la capacità del Paese a condurre una politica estera a tutto tondo, tanto nei suoi interessi quanto in linea con i propri valori.
Questo articolo è stato pubblicato nell’ambito dell’Osservatorio IAI-ISPI sulla politica estera italiana, realizzato anche grazie al sostegno del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale. Le opinioni espresse dall’autore sono strettamente personali e non riflettono necessariamente quelle dello IAI, dell’ISPI o del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale.