In Cile il voto più importante dalla fine della dittatura
Se la maggioranza dei cittadini si pronuncerà per il sì (o meglio, apruebo),il 25 ottobre 2020 passerà alla storia come l’inizio del nuovo processo costituente del Cile. Dopo il rinvio a causa dell’emergenza sanitaria, in questa data si terrà la consultazione popolare nella quale 14,8 milioni di persone potranno esprimere alle urne il loro “approvo” o “rifiuto”.
Il referendum consta di due schede: il quesito della prima riguarda la volontà o meno che venga riscritta la Costituzione del Cile. La seconda scheda verte sul tipo di organo che si assumerà la responsabilità della redazione della nuova carta: le opzioni sono Convenzione mista costituzionale (assemblea formata per il 50% da membri costituenti eletti direttamente e per il 50% da componenti dell’attuale Congresso) oppure Convenzione costituzionale (assemblea formata al 100% da costituenti eletti direttamente).
È evidente che si tratta di un evento di portata straordinaria, in quanto concerne l’istituzione giuridica centrale allo Stato cileno, fondamento della limitazione dell’esercizio del potere per mezzo del Diritto. A questo si aggiunge il fatto che, se prevalesse l’approvazione e dunque si mettesse in moto il nuovo processo costituente, il risultato sarebbe per il Cile finalmente una Costituzione scritta in democrazia e redatta da membri costituenti eletti democraticamente.
Nel quadro del declino burrascoso dei regimi dittatoriali in America latina, che si colloca sul finire degli anni ’80, il Cile rappresenta un’eccezione. Le ristabilite istituzioni democratiche hanno ereditato allora il testo costituzionale che era stato redatto nel 1980, nel pieno della dittatura di Augusto Pinochet, e firmato da membri costituenti scelti tra le figure più vicine al General.
La Costituzione in vigore attualmente era stata approvata con un referendum senza registri elettorali e senza osservatori internazionali, inquadrata in un sistema in cui i partiti erano fuori legge, a seguito di una campagna di propaganda unilaterale e, soprattutto, in un contesto di violenta repressione e persecuzione politica. Nel corso dei governi che si sono succeduti da allora è stata emendata 46 volte. Ciononostante, rimane un simbolo dell’epoca in cui è stata concepita e, a detta di molti, perpetua il sistema politico ed economico che è alla base delle profonde disuguaglianze nella società cilena.
Dettagli e roadmap del referendum
La consultazione imminente è il risultato di un accordo tra la maggioranza dei partiti politici cileni ed è stata proposta lo scorso 15 novembre, a seguito del primo mese di forti proteste e sentita mobilitazione popolare. Inizialmente programmato per il 26 aprile 2020, si tratta per il Cile del primo referendum nazionale dal 1989 e pertanto del primo voto di questo tipo a essere convocato dal ritorno della democrazia.
Le condizioni in cui si svolgerà sono straordinarie, a cominciare dalle misure sanitarie: tra le altre, l’obbligo di distanziamento e di indossare la mascherina ai seggi, fasce orarie riservate alle persone anziane e la possibilità di votare con una penna propria.
Secondo tutti i sondaggi, l’opzione dell’approvo conterebbe su una larga maggioranza (tra il 60% e il 90% delle preferenze). Vediamo che cosa comporterebbe nello specifico questo risultato storico.
Il prossimo 11 aprile 2021, data in cui sono programmate anche le elezioni di sindaci, consiglieri e governatori regionali, si voterebbe anche per i componenti dell’organo costituente. Una volta formata la Convenzione (mista o costituzionale), questa avrà nove mesi per concepire una proposta di testo costituzionale, con la possibilità di una proroga di altri tre mesi al massimo. A quel punto, il presidente della Repubblica convocherà un secondo referendum con valore di ratifica, nel quale la cittadinanza deciderà se approvare o rifiutare la proposta concreta avanzata dalla Convenzione. Se anche in questo caso prevarrà l’apruebo, si promulgherà la nuova Costituzione.
Se questo 25 ottobre il “rifiuto” dovesse ottenere la maggioranza, si manterrà il testo vigente. Lo stesso accadrà nel caso in cui tra i membri costituenti non si giungesse a un accordo nel termine fissato di un anno (il quorum è stato fissato a 2/3) oppure se nel referendum d’uscita il testo non venisse approvato dalla cittadinanza.
Il paradosso cileno
Fino a circa un anno fa, il Cile aveva mantenuto la reputazione di uno dei Paesi più ricchi e più stabili dal punto di vista politico e sociale nel suo contesto. La sua transizione pacifica alla democrazia, avvenuta nell’ottobre del 1988 proprio con un voto referendario, era considerata dall’opinione internazionale come l’esempio di un processo riuscito.
L’estallido social del 2019 – lo “scoppio sociale” innescato dall’aumento del prezzo dei trasporti pubblici e trasformatosi in una immensa mobilitazione nazionale – ha mostrato una realtà ben diversa.
È proprio sull’accesso ai diritti di base del cittadino che si misurano le grandi disuguaglianze della società cilena: la salute, la pensione e l’istruzione sono fortemente privatizzate e alimentano una catena di debito insostenibile anche per chi considera di appartenere alla cosiddetta “classe media”.
Come se non bastasse, l’autoritarismo e l’impunità sono elementi ancora drammaticamente presenti, come ha mostrato la repressione brutale delle proteste (decine di persone sono morte e migliaia sono state ferite dalle forze dell’ordine). La violenza non si è mai fermata da allora e alla luce degli ultimi episodi è sempre più pressante la richiesta di una riforma radicale del corpo dei Carabineros, al quale il presidente Piñera continua a ribadire il proprio appoggio.
Sono questi i retaggi della dittatura che, secondo la voce di chi manifesta, non sono stati veramente affrontati nel corso della transizione. La Costituzione pinochettista è un’eredità pesante in questo senso: la necessità di un nuovo contratto sociale è sentita come fortissima e impossibile da rimandare di nuovo.
Tutti i nodi sopracitati devono essere affrontati con politiche mirate: per farlo c’è bisogno di un impianto giuridico nuovo, giusto e finalmente inclusivo. A questo proposito, lo scorso marzo è stata promulgata dal Congresso la legge di parità di genere per il processo costituente: se vincesse l’apruebo, il Cile diventerebbe il primo Paese al mondo ad avere una Costituzione stesa da un organo che prevede quote paritarie di costituenti uomini e donne.
A cura di Francesca Rongaroli, caporedattrice Centro e Sud America de Lo Spiegone.
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