Emomali Rahmon ci riprova: ennesima corsa presidenziale per il satrapo del Tagikistan
L’11 ottobre i cittadini del Tagikistan andranno alle urne per le elezioni presidenziali. La tradizionale data del 6 novembre, rimasta invariata per queste consultazioni dalle prime nel 1994, quest’anno è stata anticipata di quasi un mese. La scelta, sostengono fonti governative, è data dalla volontà di evitare che le elezioni coincidano con un eventuale picco di infezioni di Covid-19. La risoluzione per fissare la data è stata approvata il 6 agosto scorso da una sessione congiunta delle due camere del parlamento tagiko.
L’attuale presidente Emomali Rahmon, con i suoi 28 anni al potere, è il leader rimasto in carica più a lungo nell’area ex sovietica. Ha vinto ininterrottamente tutte le elezioni che si sono tenute dal 1994 – l’ultima, nel 2013, con l’84% dei voti. Nessuna di queste, tuttavia, è stata giudicata libera ed equa da parte degli osservatori elettorali occidentali.
Negli ultimi decenni, Rahmon ha sistematicamente eliminato tutti gli avversari politici più competitivi e i partiti ancora esistenti non hanno nessuna vera capacità di influenza decisionale nel panorama pubblico tagiko. Molti osservatori credevano che il 2020 sarebbe stato l’anno del ritiro di Rahmon in favore del figlio Rustam Emomali, già sindaco della capitale Dushanbe e presidente della Camera alta del Parlamento. Tuttavia, non è andata così: Rahmon si è ricandidato e sembra probabile che le prossime elezioni presidenziali seguiranno il solito corso scarsamente democratico.
La stretta sul potere presidenziale
Nel dicembre del 2015, le due camere del Parlamento tagiko hanno insignito Rahmon del titolo su misura di “Leader della Nazione” che garantisce immunità giudiziaria per l’intera durata del suo incarico non solo a lui stesso, ma anche alla sua famiglia e alle sue proprietà.
Nel referendum del maggio 2016, quasi il 95% dei votanti ha approvato 41 emendamenti costituzionali, di cui 3 erano i più significativi: la rimozione del limite dei due mandati consecutivi presidenziali, l’abbassamento dell’età per candidarsi come presidente da 35 a 30 anni e il divieto di fondare partiti politici su base religiosa.
Già dopo la seconda rielezione di Rahmon nel 1999, un emendamento costituzionale aveva allungato la durata del mandato presidenziale da 5 a 7 anni, permettendo a Rahmon di rimanere in carica fino al 2006. Senza il referendum del 2016, Rahmon non avrebbe potuto ricandidarsi alle elezioni di quest’anno.
La repressione dell’opposizione politica: ieri…
Se l’abbassamento dell’età per candidarsi come presidente sembrava un tentativo di spianare la strada al figlio Emomali (che compirà 33 anni a dicembre), il divieto dei partiti su base religiosa ha segnato la fine dell’unica considerevole forza di opposizione contro Rahmon: il Partito del rinascimento islamico (Irpt).
Dopo aver perso i propri seggi in Parlamento e le proprie posizioni nel governo nel marzo del 2015, l’Irpt è stato messo al bando dalla Corte suprema tagika con l’accusa di terrorismo ed estremismo. Molti dei leader del partito sono dovuti fuggire dal Paese per evitare lunghe pene detentive.
Alle ultime elezioni presidenziali del 2013, l’Irpt e il Partito socialdemocratico avevano sostenuto congiuntamente la candidata indipendente Oinikhol Bobonazarova, avvocata per i diritti umani. Non essendo riuscita a presentare i documenti con il numero di firme richiesto per candidarsi, Bobonazarova non potè alla fine correre.
Nella stessa occasione, anche Zayd Saidov – uomo d’affari ed ex funzionario del governo – aveva annunciato la sua intenzione di candidarsi come presidente, con il partito Nuovo Tagikistan appena formato. Pochi mesi prima delle elezioni del 2013, Saidov fu arrestato e condannato in breve tempo a 29 anni di carcere, con accuse che andavano dalla frode allo stupro e alla poligamia.
… e oggi
Quest’anno, l’unico volto nuovo a tentare di emergere è stato quello di Faromuz Irgashev, avvocato di 30 anni proveniente dalla regione autonoma del Gorno-Badakhshan orientale (Gbao). In un video diffuso su YouTube a inizio settembre Irgashev aveva annunciato di volersi candidare alla presidenza in opposizione allo status quo, avendo assistito nel corso del proprio lavoro “all’ingiustizia commessa dalle forze dell’ordine contro la gente comune”.
Poco dopo il suo annuncio, Irgashev ricevette una visita da parte degli ufficiali regionali del Comitato di Stato per la Sicurezza Nazionale (Scns, l’erede tagika del KGB dell’era sovietica), che lo hanno prelevato dalla propria casa e portato a fare una “lunga passeggiata”. Tuttavia, alla fine, è stata la legge elettorale a fermare la sua candidatura alla presidenza: al pari di Bobonazarova nel 2013, Irgashev non è riuscito a collezionare le 260 mila firme richieste ai candidati indipendenti.
I candidati
In questo contesto altamente repressivo, è difficile trovare un vero sfidante per Rahmon alle elezioni dell’11 ottobre. Tuttavia, 6 dei 7 partiti legalmente registrati in Tagikistan hanno presentato come candidati i propri leader politici. Il termine ultimo per presentare i documenti di registrazione dei candidati era l’11 settembre.
Il 14 settembre la Commissione elettorale centrale (CEC) ha accolto la presentezione di 5 candidati su 6: Rahmon è il candidato del partito di governo, il Partito democratico popolare; Rustam Latifzoda del Partito agrario; Rustam Rakhmatzoda del Partito delle riforme economiche; Abduhalim Gafforov del Partito socialista;Miroj Abdulloyev del Partito comunista.
Il Partito socialdemocratico, estremamente marginale ma molto fermo nella sua opposizione, ha deciso di boicottare le elezioni e non presentare nessun candidato quest’anno.
I quattro partiti sfidanti di Rahmon hanno partecipato alle elezioni presidenziali del 2006 e del 2013, ottenendo sempre consensi al di sotto del 5%. Secondo la maggior parte degli analisti, anche quest’anno la loro partecipazione si rivelerà un puro gesto simbolico per il regime di Rahmon.
A cura di Camilla Lombardi, caporedattrice Russia e Asia Centrale de Lo Spiegone.
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