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L'altro 3 novembre

Camera dei Rappresentanti senza sorprese: le previsioni di un nuovo successo dem

19 Ott 2020 - Lo Spiegone - Lo Spiegone

Oggi inauguriamo una mini-serie di tre pubblicazioni che l’Osservatorio elettorale dedica all’altro 3 novembre, prendendo in esame i voti che riguarderanno – oltre alla Casa Bianca – anche Camera dei rappresentanti, un terzo del Senato e i governatori di 11 Stati e due territori. 

Come da tradizione, il primo martedì dopo il primo lunedì del mese di novembre, contemporaneamente alle presidenziali, gli statunitensi voteranno per la Camera dei rappresentanti, la Camera bassa, e rinnoveranno un terzo del Senato, la Camera alta. L’esito dei risultati delle due camere che compongono il Congresso degli Stati Uniti non è assolutamente di minor importanza e determineranno la direzione che gli Stati Uniti d’America prenderanno nel prossimo biennio. Analizziamo quindi il ruolo della Camera dei rappresentanti, lo stato dell’arte e i pronostici, passando per un’analisi dei precedenti.

Attualmente la Camera dei rappresentanti conta 435 seggi più sei rappresentanti dei territori non incorporati degli Stati Uniti – tra cui il District of Columbia e Porto Rico -, che tuttavia non hanno diritto di voto. I democratici detengono la maggioranza dalle mid-term elections del 2018 con 232 seggi. Seguono i repubblicani con 197 seggi. Infine, per la prima volta nella storia bipartitica degli States, il partito libertario da due anni occupa un seggio con Justin Amash del Michigan. I restanti cinque sono attualmente vacanti.

L’attuale composizione della Camera bassa è la più giovane e diversificata della storia dei Congressi statunitensi. La House ha infatti il 23% di membri donne, quasi il 13% di afroamericani, il 10% di ispano-americani, più del 3% di asio-americani e vi è una piccola rappresentanza di nativi americani (quasi l’1%). Inoltre, otto rappresentanti si identificano apertamente come facenti parte dell’universo Lgbtqi+. Infine, oltre alla grande maggioranza di cristiani tra i rappresentanti, vi sono anche rappresentanze più o meno folte di ebrei, musulmani, induisti, buddisti, unitari universalisti e non credenti.

È probabile che la prossima Camera dei rappresentanti, che entrerà in funzione il 3 gennaio, sia ancora più diversificata, anche perché vi sono evidenti gap di proporzionalità da colmare, specialmente per ciò che riguarda il genere, che è eccessivamente sproporzionato a favore del sesso maschile.

Qualche dato
Come specificato in precedenza, non è facile fare previsioni, in primo luogo perché tradizionalmente la House of Representatives è molto dinamica dal punto di vista di risultati elettorali, e poi perché quest’anno le elezioni dei rappresentanti combaciano con la nomina presidenziale. Ad esempio, nel 2018, la vittoria dei democratici era più scontata. Dal 1934, infatti, mediamente il partito del presidente in carica ha perso 23 membri della House nelle successive elezioni di midterm. Solo il democratico Franklin Delano Roosevelt nel 1934 e il repubblicano George W. Bush nel 2002 sono infatti riusciti a incrementare i seggi dei rispettivi partiti dopo i primi due anni di mandato.

Continuando l’analisi in termini statistici, bisogna considerare tre fattori che potrebbero influenzare il voto della Camera bassa.

Innanzitutto, per le elezioni della House, il risultato tende a emulare quello presidenziale. Dal 1920 al 2020, in quindici casi un inquilino della Casa Bianca ha ambito alla rielezione: undici volte il presidente è rimasto in carica, mentre quattro ha perso la rielezione. In dieci delle undici rielezioni, il partito del presidente rieletto ha vinto seggi alla Camera dei rappresentanti (eccezion fatta nel caso del repubblicano Dwight Eisenhower, nel 1956). Analogamente, nel caso delle quattro mancate rielezioni, in tre casi il partito del presidente uscente ha perso anche seggi della House (ad accezione del 1992 con il repubblicano George H. W. Bush).

Un altro fattore da tenere in conto è che il partito del presidente in carica che perde seggi nelle elezioni di midterm tende anche a riguadagnarli alle elezioni successive, indipendentemente dall’esito delle presidenziali. Se dal 1918 al 2016 alle midterm elections i partiti dei presidenti hanno perso seggi della House in quattordici casi su sedici, nei due terzi dei casi sono stati capaci di recuperarli durante le successive presidenziali.

Infine, bisogna considerare che trentasei membri attuali della House (26 repubblicani, 9 democratici e il solo libertario) hanno annunciato che non correranno nuovamente per il seggio e cinque sono vacanti. Storicamente, i seggi aperti hanno più probabilità di essere ribaltati.

Gli Stati in bilico più decisivi del 2020
Da questi fattori emergono dei distretti che hanno un’alta probabilità di ribaltare i risultati delle midterm del 2018. La battaglia tra i ticket Trump-Pence e Biden-Harris si risolverà verosimilmente anche attraverso questi distretti. Tra quelli più interessanti da osservare, molti si trovano in Texas. Lo Stato, roccaforte dei repubblicani è stato colpito duramente dalle guerre commerciali di Trump – è il più importante esportatore degli States – e ha la più rapida crescita demografica del Paese, con quasi il 40% della popolazione di ispano-americani. Per questo motivo, i democratici stanno puntando forte sul Texas.

Altri distretti simbolicamente importanti – perché dominati da Trump nel 2016 e soggetti a ribaltoni -, sono concentrati del Midwest. Molti elettori sono rimasti delusi dalle politiche del Potus e lo hanno dimostrato prediligendo nelle primarie candidati dem più progressisti che hanno scalzato gli uscenti rappresentanti dell’establishment. Fra questi, vi sono da menzionare ad esempio il 5° dell’Indiana, il 2° del Nebraska e del Missouri e il 1° dell’Ohio.

In queste aree, l’atteso processo di ripresa economica-culturale promessa dal ticket repubblicano (il vice-presidente Mike Pence stesso vanta un’esperienza più che decennale come rappresentante dell’Indiana, di cui era stato governatore prima di divenire numero due di Trump) è stato percepito come un fallimento. L’alto numero di infezioni da Covid-19 nella zona e il conseguente aumento della disoccupazione, in un’area già martoriata che ha assistito alla sua decentralizzazione economica a favore della sun-belt meridionale, ne faranno una delle aree più combattute – e decisive – della corsa di tutte le Camere. Quella bassa, quella alta e quella a forma ovale nella Casa Bianca.

Possibili risultati
È possibile, tuttavia, disegnare dei possibili scenari elettorali. Di certo, c’è che ai repubblicani servono 21 seggi per raggiungere la maggioranza. Al momento vi sono 41 seggi particolarmente in bilico. Tra questi, venti sono democratici, venti repubblicani e uno libertario.

Il modello dell’Economist, che in base ai sondaggi e ad altre variabili prova a prevedere il risultato delle elezioni, stima che i democratici possano mantenere la maggioranza assoluta in diciannove casi su venti. Inoltre, è possibile che essi riescano anche a vincere nove seggi, incrementando la leadership democratica fino a 241 seggi. Le stesse percentuali di controllo sono suggerite dal modello di FiveThirtyEight, che stima le chance di un mantenimento del controllo democratico sulla camera bassa al 95%, con un incremento lievemente inferiore dei seggi, ovvero 237.

Qualora i democratici dovessero davvero riuscire a mantenere la maggioranza alla Camera bassa, guadagnare quella del Senato –molto più in bilico – e addirittura far eleggere il loro candidato, avrebbero il controllo totale del Paese per la prima volta dopo 10 anni.

A cura di Guglielmo Russo Walti, autore della redazione Nord America de Lo Spiegone. 

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