Accordo Brexit: ora o mai più
L’ultimo round negoziale tra il capo negoziatore dell’Unione europea, Michel Barnier, e quello britannico, David Frost, si è concluso con un nulla di fatto. Sulle trattative pesavano le tensioni delle scorse settimane dovute alla proposta del governo britannico di un nuovo Internal Market Bill che violerebbe clamorosamente l’accordo di recesso con l’Ue. Secondo questo accordo, le merci in transito da Gran Bretagna a Irlanda del Nord dovranno essere sottoposte a controlli e adempimenti doganali necessari per verificare il rispetto della regolamentazione europea, soprattutto nel caso in cui queste proseguissero la loro corsa attraversando il confine tra l’Irlanda del Nord e la Repubblica d’Irlanda (entrando quindi all’interno del mercato unico europeo).
La proposta di legge del premier Boris Johnson lascia aperta al governo britannico la possibilità di disattendere questi obblighi in quanto ritenuti lesivi della sovranità del Regno Unito. E in effetti non a torto, in quanto ciò si traduce nella creazione di una “dogana” nel mare d’Irlanda, ovvero all’interno del Regno Unito – è come se in Italia si facessero controlli doganali tra Messina e Reggio Calabria. Quello che però Johnson sembra dimenticare è che era stato lui stesso a volere un accordo di questo tipo e a firmare di suo pugno il relativo trattato solo pochi mesi fa. D’altra parte, questa era l’unica opzione possibile per rispettare gli Accordi del Venerdì Santo (che impediscono la creazione di una barriera fisica nell’isola irlandese) e per lasciare a Londra le mani libere nel firmare accordi commerciali con il resto del mondo.
Insomma, un cambio di rotta da parte di Johnson – e una violazione di un trattato internazionale (qual è l’accordo di recesso) – cui la Commissione europea ha risposto lo scorso 1° ottobre annunciando di procedere per vie legali. La questione potrebbe quindi arrivare alla Corte di Giustizia europea e concludersi con delle sanzioni in capo a Londra.
Pesca e aiuti di Stato
Tutto ciò mentre i negoziati sul futuro dei rapporti tra Londra e Bruxelles continuano a essere bloccati su due dossier: l’accesso dei pescatori europei alle acque britanniche e il level playing field. Sul primo punto, Bruxelles vorrebbe mantenere lo status quo: accesso libero per i pescherecci europei. Da Londra replicano che dovrebbe essere introdotto un sistema di quote da rivedere ogni anno. Per il governo Johnson la pesca ha il valore simbolico – ampiamente giocato nelle ultime elezioni – di liberazione dai lacci e lacciuoli europei. Basterebbe ricordare che la pesca conta per lo 0,1% nel Pil britannico per rendersi conto del carattere simbolico, ma anche strumentale, della questione. Il governo delle Fiandre ha addirittura recuperato un documento del 1666 firmato dal re britannico Carlo II che garantisce accesso in eterno ai pescatori della zona alle acque della Gran Bretagna.
Ben più complesso è però il secondo dossier, ovvero la definizione delle regole, a partire da quelle sugli aiuti di Stato, che dovrebbero impedire a Londra di fare in futuro “concorrenza sleale” all’Ue. Boris Johnson chiede che vengano introdotti meccanismi simili a quelli che la stessa Ue applica in recenti accordi commerciali, come quello con il Giappone e il Canada. L’Ue ribatte che la prossimità e il livello di integrazione tra l’economia Ue e quella britannica rende impossibile replicare accordi esistenti con Paesi lontani. In gioco ci sarebbe il funzionamento del mercato unico europeo. Si tratta quindi di una vera e propria red line europea.
Verso una nuova scadenza
Nonostante lo stallo nei negoziati, sia la presidente della Commissione von der Leyen che il premier Johnson hanno ribadito la volontà di portare avanti il dialogo. Ma il tempo a disposizione è agli sgoccioli. La scadenza del 15 ottobre – che era stata fissata per poter compiere i passi istituzionali necessari per la ratifica di un eventuale accordo entro la fine dell’anno – non è stata rispettata. Così il Consiglio europeo di questa settimana, che avrebbe dovuto sancire la conclusione dei negoziati, non potrà trarre alcuna conclusione definitiva su Brexit. Molto probabilmente, la scadenza verrà posticipata con il consenso sia di Johnson che del Consiglio europeo.
Quest’ultimo dovrà quindi delineare una posizione comune europea che fornisca al capo negoziatore di Bruxelles le linee guida per le tappe negoziali delle prossime settimane. Barnier ha già affermato che il 31 ottobre potrebbe essere una scadenza realistica per la conclusione dell’accordo. Il governo francese, attraverso il ministro degli Affari Europei Clément Beaune, ha confermato questa tempistica. Più ambigua, ancora una volta, è la posizione di Boris Johnson. Al telefono con la Cancelliera Angela Merkel avrebbe affermato che c’è lo spazio per raggiungere un compromesso. Al tempo stesso, tuttavia, non esita a dichiararsi pronto a un no-deal.
D’altra parte, diversi osservatori evidenziano che sul piano strettamente commerciale la differenza tra un poco ambizioso accordo di libero scambio e l’introduzione dei dazi fissati dal Wto in caso di no-deal non sarebbe abissale. Ma sta proprio qui l’errore di prospettiva. Non si può pensare che i futuri rapporti tra Ue e Regno Unito si limitino al campo commerciale. In politica estera, sul piano della sicurezza, ma anche in quello della cooperazione scientifica e tecnologica, le due parti hanno enormi interessi strategici comuni.
È un vero peccato che questi temi siano stati quasi ignorati dai negoziati. L’auspicio è che nelle prossime settimane queste considerazioni invece prevalgano. Se così fosse un accordo anche sui dettagli economico-commerciali, per quanto importanti, potrebbe essere trovato. Sarebbe davvero nell’interesse di tutti.
Questo articolo è stato pubblicato nell’ambito dell’Osservatorio IAI-ISPI sulla politica estera italiana, realizzato anche grazie al sostegno del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale. Le opinioni espresse dall’autore sono strettamente personali e non riflettono necessariamente quelle dello IAI, dell’ISPI o del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale.