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POST SOVIETICO

Stallo in Bielorussia: Lukashenko e la piazza di Minsk vanno in trincea

23 Set 2020 - Anna Zafesova - Anna Zafesova

Dopo più di un mese dalle cosiddette elezioni del 9 agosto, il braccio di ferro tra il presidente uscente Aleksandr Lukashenko e la piazza bielorussa è entrato in una fase di stallo. Nessuna delle due parti è riuscita a prevalere con un blitzkrieg, ed è iniziata una guerra di trincea, in un equilibrio molto precario.

È evidente che il dittatore bielorusso non riuscirà più a riportare il Paese sotto il suo pugno: è impossibile governare quando ogni domenica centinaia di migliaia di persone scendono in piazza contro il governo, quando la solidarietà con la protesta contagia operai e giornalisti, studenti e diplomatici, conducenti dei mezzi pubblici e attori, in un fronte della resistenza diffuso, ma organizzato e tenace.

È altrettanto evidente che la protesta non è riuscita ad assumere un’espressione politica: la repressione di Lukashenko, che ha arrestato o deportato dalla Bielorussia tutti i leader del Consiglio di coordinamento dell’opposizione, tranne la scrittrice premio Nobel Svetlana Alexievich – cui hanno fatto da scudo umano gli ambasciatori europei – ha reso impossibile quel dialogo politico sulla transizione che avrebbe offerto uno sbocco pacifico con nuove elezioni.

L’esitazione di Mosca
Uno stallo garantito in buona parte dalla posizione esitante del Cremlino, che nonostante le pressioni dei “falchi” per intervenire anche militarmente a fianco di Minsk e sventare così il rischio di “perdere” la Bielorussia impedendole di seguire l’Ucraina sulla strada verso l’Europa, ha preferito non promettere troppo.

I progetti di un referendum su un’anschluss con la Russia sono stati se non altro rinviati, probabilmente soprattutto perché Lukashenko viene percepito da Vladimir Putin come un partner la cui inaffidabilità è conclamata. Le componenti moderate dell’establishment russo ritengono inoltre inopportuno annettere un Paese dove è in corso una rivolta, rischiando di importare una massa critica di protesta che potrebbe incendiare la miccia dello scontento in Russia, proprio nel momento in cui Mosca rischia nuove sanzioni e una nuova escalation con l’Occidente per l’avvelenamento di Alexey Navalny.

Di conseguenza, al tanto atteso (da Lukashenko) vertice con Putin la parte russa ha scelto di attendere e osservare: il prestito da 1,5 miliardi di dollari è di fatto un rifinanziamento dei prestiti precedenti alla stessa Russia, e la promessa di aiuto militare è stata formulata in termini estremamente vaghi.

Il dittatore e la piazza
Il rifiuto del Cremlino di ribaltare il tavolo ha lasciato Lukashenko e la piazza a scrutarsi dai lati opposti della barricata, ciascuno troppo debole per prevalere sull’altro.

Il dittatore continua a rinviare la sua investitura ufficiale, anche perché l’Unione europea non ha riconosciuto le sue elezioni falsificate, ma continua a contare sull’appoggio della burocrazia e degli organi repressivi, che in assenza di un’alternativa politica e con un’opinione pubblica sempre più agguerrita nei loro confronti preferiscono aggrapparsi a Lukashenko, nonostante sia disprezzato e deriso praticamente dalla schiacciante maggioranza della popolazione. La proposta di una “riforma costituzionale” con successive nuove elezioni in una data imprecisata ma abbastanza lontana nasconde la speranza di Lukashenko in un sgonfiamento della protesta, scoraggiata dal freddo oltre che dalla repressione.

L’opposizione spera invece che il peggioramento di una situazione economica già critica spingerà gli esponenti più moderati dello Stato a unirsi alla protesta e costringere Lukashenko a una transizione della quale non vuole nemmeno sentire parlare.

L’alternativa
L’alternativa, della quale entrambe le parti si rendono conto, è una soluzione violenta. L’opposizione continua a rifuggire ogni tentazione di scontro, temendo giustamente che Lukashenko non aspetta che un pretesto per lanciare la sua personale Tienanmen, che oltretutto spingerebbe probabilmente Mosca ad abbandonare i suoi dubbi e intervenire direttamente al suo fianco.

Allo stesso tempo una repressione sempre più violenta dei manifestanti provocherà prima o poi un’inevitabile recrudescenza della reazione, con l’emersione accanto al volto pacifico della protesta – le ormai celebri donne bielorusse – anche di un’ala più dura.

L’unica speranza di evitare uno scontro è un’iniziativa europea che costringa Lukashenko – e convinca Putin – ad aprire un dialogo politico, per esempio, una tavola rotonda sul modello del 1989 in Polonia per una transizione che, ogni giorno che passa, ha sempre meno possibilità di essere indolore.