Libia: al Serraj in bilico e il rischio di una nuova incertezza
Si è chiusa una settimana intensa sul versante del conflitto in Libia. La notizia delle dimissioni, non ancora formalmente accettate, del primo ministro del Governo di accordo nazionale (Gna) libico, Fayez al Serraj, ha naturalmente assorbito gran parte dell’attenzione.
Ma non si tratta dell’unico evento importante per la Libia negli ultimi giorni, tanto che si è tornato a parlarne dopo settimane in cui l’attenzione mediatica e dei politici europei si era spostata più a Est, sul più ampio conflitto del Mediterraneo orientale
Dopo mesi di scontri, intromissioni e rovesciamenti degli equilibri sul terreno e in seguito all’annuncio della tregua sulla città contesa di Sirte il 21 agosto scorso, si moltiplicano ormai le voci di un accordo tra Russia e Turchia – i due padrini più importanti che sostengono rispettivamente l’Esercito nazionale arabo libico comandato dal Generale Khalifa Haftar e il Gna di al Serraj – per mettere fine al conflitto.
Una settimana cruciale
Anche la questione petrolifera, ovvero l’embargo imposto da Haftar a metà gennaio 2020 per fare pressione sui negoziati in corso nella Conferenza di Berlino, sembra in procinto di uscire dalla paralisi totale degli ultimi mesi. Essa rappresenta il più grave problema per il Paese al momento attuale, a causa delle sue ripercussioni sulle casse dello Stato e sulla fornitura di energia elettrica per la popolazione.
Il fatto che l’embargo del petrolio potrebbe essere sollevato dopo otto mesi grazie a un accordo dietro le quinte tra il vice primo ministro del Gna Ahmed Maiteeq, da una parte, e il figlio di Haftar, Khalid, dall’altra, la dice lunga sulle ragioni che hanno portato al Serraj ad annunciare il proprio passo indietro a partire dal prossimo 31 ottobre. Sembra infatti che al Serraj non abbia gradito la mossa del proprio vice. Infine, come se non bastasse, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha chiesto questa settimana al segretario generale António Guterres di nominare un nuovo inviato speciale dopo l’uscita di scena di Ghassan Salamé a inizio marzo scorso.
Proprio la mancanza di una figura di punta come Salamé a far da scudo ad al Serraj negli ultimi mesi ha fatto aumentare le pressioni su di lui all’interno del Gna e in generale della Libia occidentale, portando alla superficie lotte di potere interne che certamente stanno già indebolendo profondamente la posizione del governo di unità nazioanel all’interno del conflitto.
All’interno del proprio campo, al Serraj è stato accusato di aver dato facilitazioni alle milizie che si sono infiltrate nei servizi segreti. Inoltre, le proteste in corso nel Paese, una novità degli ultimi mesi che hanno coinciso con l’estensione dei contagi da Covid-19 e con l’approfondirsi della crisi umanitaria in alcune aree anche a causa dell’embargo petrolifero, si sono anche scagliate con la loro furia distruttrice contro l’inefficienza e la corruzione dell’intera classe politica che governa il Paese e di cui al Serraj non rappresenta che la punta dell’iceberg e un utile capro espiatorio in questo momento di frammentazione degli schieramenti.
Nuovi negoziati, stessi rischi di personalizzazione
Dopo quasi cinque anni ai vertici del governo internazionalmente riconosciuto della Libia, al Serraj sembra intenzionato a fare un passo indietro anche in vista del processo che potrebbe mettersi in moto con la prossima conferenza di Ginevra in programma per ottobre. Da una parte, l’aspettativa che da questo incontro possano scaturire passi concreti per far avanzare il Paese verso la pacificazione, la ricostruzione istituzionale e le elezioni deve essere smorzata dalla consapevolezza che tutto dipenderà dalla tenuta o meno e dai termini del possibile accordo turco-russo sulla Libia, secondo il modello già sperimentato in Siria. Sia Haftar sia i suoi sostenitori di punta, ovvero gli Emirati Arabi Uniti, sembrano avere ancora tutte le carte in regole per provare a far fallire qualsiasi tentativo di negoziato.
Dall’altra, l’attenzione e l’apprensione generate dall’annuncio delle dimissioni di al Serraj tra gli analisti e i politici europei sono un esempio lampante dell’eccessiva personalizzazione che ha caratterizzato il conflitto e la ricerca di una risoluzione a esso. Tale approccio è ulteriormente accentuato dal fatto che si è già scatenata una serrata lotta per accaparrarsi la posizione di primo ministro e ognuna delle parti coinvolte nel conflitto sta lustrando i propri cavalli di battaglia.
In conclusione, la probabile fuoriuscita di al Serraj avrà certamente un impatto sull’andamento del conflitto in Libia. Esso, tuttavia, non sarà tanto legato alla perdita di una figura che non si è rivelata fino a oggi particolarmente risolutiva o in grado di incidere sui processi in atto. Al contrario, i prossimi mesi saranno caratterizzati da possibili forti tensioni tra negoziati e nuovi tentativi di imporre una soluzione militare; da crescente frammentazione, soprattutto nel campo del Gna, e contestazioni dell’ordine; e da sempre maggiori forme di interferenza da parte degli attori esterni.
Si aprirà dunque una nuova fase incerta per la Libia a dieci anni ormai dall’inizio del conflitto.