La svolta dell’Europa e i passi ancora necessari
Nel suo primo ampio discorso sullo stato dell’Unione, la presidente della Commissione Ursula von der Leyen ha ribadito con forza la necessità di utilizzare questa fase di transizione aperta dalla drammatica crisi pandemica perché l’Europa si muova verso il futuro, utilizzando il processo di integrazione comunitaria come strumento fondamentale per rispondere alle sfide oggi presenti.
Molte le priorità individuate per andare in tale direzione e che verranno poste al centro dell’agenda europea già dai prossimi mesi (dal clima alla sanità passando per le migrazioni, Brexit e i rapporti con gli altri grandi Paesi). Per quanto riguarda l’economia, sono due le sfide fondamentali che si presentano oggi di fronte all’Unione in uno dei momenti più drammatici della storia europea, caratterizzato da una crisi tra le più gravi dagli anni Trenta del secolo scorso.
La prima è il rilancio della crescita dell’Europa, basata sul Green Deal e sulla trasformazione digitale. È una strada obbligata per far fronte all’ascesa delle forze populiste ed euroscettiche, favorite oltre che dalle ondate migratorie, dal diffuso senso di disagio e insicurezza economica dell’ultimo decennio.
Per non ripetere gli errori del passato decennio, la crescita dovrà essere pienamente sostenibile, dal punto di vista sociale e ambientale. Un ruolo centrale avrà il programma Next Generation EU con i suoi obiettivi di redistribuzione e solidarietà. È un nuovo strumento che si basa sulla decisione storica di un debito comune.
Von der Leyen ha indicato che il 37% dei 750 miliardi del Recovery Fund dovrà essere speso in politiche verdi e il 20% nella trasformazione digitale mentre il 30% dei fondi sarà raccolto attraverso green bonds. Tutto questo è molto positivo, ma non basta per far divenire il Green Deal una strategia di crescita, inclusiva e sostenibile, dell’Europa. È ancora necessario specificare una serie di interventi di natura strutturale col sostegno di risorse aggiuntive. Occorre spingere sui nuovi investimenti di qualità e a medio termine, creando la convenienza dei privati a investire e prevedendo un sostegno aggiuntivo da parte della politica fiscale.
Sono lacune che dovranno essere colmate. Perché in termini economici il problema del Green Deal sarà come garantire che producendo in un modo diverso si generi un saldo positivo in termini di produzione e posti di lavoro, non solo alla fine del percorso, ma anche durante. La grande sfida dei prossimi anni sarà dimostrare che la sostenibilità genera più occupazione e più reddito del capitalismo ad alta intensità di carbone. Al riguardo anche il patto di stabilità e crescita andrà rivisto, perché le sue regole siano rese più semplici e possano sostenere al meglio un grande sforzo di spese produttive e investimenti da parte delle singole economie.
Next Generation EU potrebbe cambiare davvero l’Europa. Ma non è affatto scontato che produrrà i risultati sperati. Molto dipenderà da come i Paesi membri sapranno utilizzare questa opportunità e dalle politiche economiche che adotteranno di qui ai prossimi anni per allocare le risorse disponibili. Il loro ruolo sarà fondamentale. Soprattutto gli stati come l’Italia, che più beneficeranno delle risorse comunitarie.
La seconda sfida fondamentale, sempre dal punto di vista economico, è relativa al rafforzamento della presenza europea nel mondo, per promuovere una “Europa vitale in un mondo fragile”, come ha detto von der Leyen nel suo discorso. Il rischio oggi è che in un’economia mondiale in corso di frantumazione, a seguito della spinta di sovranismi e nazionalismi in ascesa un po’ ovunque, l’Ue finisca relegata in una posizione marginale stritolata dallo scontro in atto tra Usa e Cina. Anche per la strutturale debolezza di essere una potenza economica con scarso potere politico. Per evitarlo si tratta di cogliere l’opportunità del nuovo mondo del post-Covid per ridefinire un ruolo più autonomo e sovrano dell’Europa a livello internazionale.
Per l’economia si possono individuare tre fronti prioritari su cui intervenire – come sosteniamo con Pier Carlo Padoan in un libro L’Economia Europea. Tra crisi e rilancio di prossima uscita edito dal Mulino.
Innanzitutto, è necessario correggere l’attuale eccessiva dipendenza dalle esportazioni e dai surplus commerciali della crescita europea, come avvenuto nell’ultimo decennio, dando più spazio agli investimenti e al mercato interno europeo. Al riguardo Green Deal e trasformazione digitale possono offrire grandi opportunità.
Poi, va messa in atto una più ampia ed efficace strategia di politica commerciale e degli investimenti esteri, anche per mantenere uno spazio il più possibile aperto a livello internazionale. Ciò comporta gestire, in primo luogo, con maggiore autonomia la relazione bilaterale con gli Stati Uniti e rispondere alla sfida della Cina in termini di maggiore e più efficace reciprocità.
Infine, è necessario colmare il ritardo che l’Europa ha accumulato in questi anni nella sfida competitiva e tecnologica a livello globale, soprattutto nei confronti di Stati Uniti e Cina. La credibilità della politica internazionale di un Paese o di un’area dipende, tra gli altri fattori, dalla forza della sua economia e questo vale anche per l’Europa.
Per affrontare la crisi economica e sociale più drammatica del secondo dopoguerra l’Ue ha deciso di voltare pagina rispetto al passato, introducendo una serie di misure senza precedenti per quantità di risorse e novità di interventi adottati. Ma il risultato non è affatto scontato. Si tratta ora di meglio definire una strategia complessiva e attuare le scelte e i cambiamenti necessari. L’accentuata frammentazione e l’assenza di adeguati meccanismi di decisione comune hanno sempre indebolito in passato la posizione europea. Un altro grande ostacolo sono le divisioni interne e la mancanza di fiducia reciproca tra i paesi membri.
Ma la posta in gioco questa volta è davvero troppo alta per rischiare un insuccesso. La sfida è la costruzione dell’Europa per le nuove generazioni.
Questo articolo è il terzo contributo dedicato a una riflessione sulla ripresa autunnale dell’Ue iniziata con l’editoriale del presidente dello IAI Ferdinando Nelli Feroci.