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Lo stato di salute dell'informazione

Il ritorno di Radio Free Europe in Ungheria (nonostante i buoni rapporti Trump-Orbán)

20 Set 2020 - Massimo Congiu - Massimo Congiu

Sono passati quasi trentuno anni dalla caduta della Cortina di Ferro e Radio Europa Libera (Radio Free Europe, Rfe), l’emittente fondata dal Congresso Usa nel secondo dopoguerra, riprende a occuparsi di cose ungheresi.Attiva dal 1949 al 1993 con sede a Monaco di Baviera, ha fatto la sua comparsa come strumento della Guerra fredda concepito per fare contro-informazione rispetto alla propaganda dei regimi est-europei ed “educare” le popolazioni interessate alla libertà con una contro-propaganda. Era quindi uno strumento di contrapposizione politica al blocco filo-sovietico, non necessariamente sensibile alle sorti degli abitanti di quei Paesi. Di fatto, proprio diversi ungheresi raccontano di essersi sentiti “traditi” da Rfe nel contesto dell’insurrezione del 1956, in quanto incoraggiati a ribellarsi e poi, secondo i loro ricordi, abbandonati al loro destino dall’emittente e dal mondo occidentale.

Oggi Rfe ritorna in una versione aggiornata, è accessibile su Internet e dichiara l’intenzione di dare il suo contributo alla difesa della libertà d’informazione partendo dal caso ungherese.

La vicepresidente della radio, Daisy Sindelar, sostiene che l’emittente si è posta il problema del “grave declino della libertà di stampa in Ungheria“, dove il sistema di potere concepito e guidato da Viktor Orbán controlla non solo i media pubblici ma anche la gran parte di quelli commerciali. L’interesse di Rfe ha suscitato la reazione del ministro degli Esteri di Budapest Péter Szijjártó, per il quale la presenza di Rfe è un'”offesa“, giacché, a suo avviso, non c’è alcun problema a livello di libertà d’informazione nel Paese.

Di fatto, però, le valutazioni delle ong internazionali che monitorano il settore descrivono una situazione ben diversa. Di recente Reporters Sans Frontières (Rsf) ha collocato l’Ungheria all’ottantanovesimo posto nella classifica dei Paesi in cui la stampa è o dovrebbe essere libera.

Alla fine dell’anno scorso una missione congiunta a Budapest di diverse ong operanti nel settore aveva accusato il governo Orbán di aver “sistematicamente demolito l’indipendenza, la libertà e il pluralismo dell’informazione dando luogo ad un controllo sui media senza precedenti in un Paese dell’Ue”.

I casi Index e Klubrádió
Per l’esecutivo danubiano si tratta di accuse strumentali di marca liberale tese a screditare un governo liberamente eletto dalla popolazione e volenteroso di difendere la sovranità nazionale. Il suo impegno nel mettere a tacere le voci dissenzienti è però testimoniato da diversi episodi come quello recente del licenziamento di Szabolcs Dull, che dirigeva index.hu, principale giornale online ungherese letto in media da un milione di persone al giorno. L’acquisto della società editrice di Index da parte di un oligarca vicino a Orbán per la riorganizzazione dello staff del giornale in chiave filogovernativa e il già menzionato licenziamento di Dull avevano portato la redazione a dimettersi in blocco, sostenuta da numerosi manifestanti scesi in piazza in segno di protesta.

Purtroppo, però, non è tutto: l’esecutivo ha infatti ripreso ad attaccare anche Klubrádió: l’ultima radio libera ungherese rischia seriamente di perdere la licenza. La cosa potrebbe avvenire fra qualche mese stando a quanto annunciato dall’Autorità sui media (Nmhh), organo governativo che ha il compito di regolare l’uso delle frequenze e controllare i contenuti dei media.

Klubrádió è un’emittente privata molto critica nei confronti del governo. Secondo la Nmhh, ha più volte infranto le regole vigenti nel settore, pretesto col quale è stata privata delle frequenze nelle zone di provincia fino a limitarne il campo d’azione alla sola Budapest. Secondo Ágnes Urbán, analista indipendente delle questioni media, l’annuncio della Nmhh non è altro che una sentenza in attesa di esecuzione.

L’attacco alla libertà di stampa fa parte delle violazioni che nel 2018 hanno messo in moto il meccanismo che potrebbe portare all’applicazione dell’articolo 7 del Trattato sull’Ue. La procedura, però, è lunga e non ha scoraggiato il governo ungherese a portare avanti le sue iniziative volte a estendere un controllo sempre più stretto sui principali settori della vita pubblica del Paese. Intanto, nelle scorse settimane, gli studenti della facoltà di Teatro e cinema (Szfe) di Budapest sono scesi in piazza per protestare contro il cambio di governance dell’istituto, passato nell’orbita di Orbán.

Il ritorno di Rfe
Questo stato di cose ha richiamato l’attenzione di Rfe che, attiva di nuovo in Bulgaria e Romania dal 2018, è tornata anche in Ungheria. Le trasmissioni avvengono in rete con contenuti multimediali realizzati da una redazione composta da dieci giornalisti ungheresi. I medesimi promettono un’informazione quanto più obiettiva possibile e indipendente sui fatti interni. Niente pubblicità, i finanziamenti provengono dal Congresso degli Stati Uniti.

L’operazione appare, però, delicata visto che il presidente americano Donald Trump non nasconde le sue simpatie per il sistema di Viktor Orbán, tanto che l’ambasciatore David Cornstein avrebbe chiesto alla redazione ungherese di “trattare bene Orbán e la sua famiglia”. Una nota in controtendenza con l’impegno dichiarato dall’emittente