Di fronte alle sfide del nuovo mondo serve un’Europa delle geometrie variabili
Per l’Europa è arrivato il momento di diventare grande e, finalmente, un attore globale di fronte alle enormi sfide di inizio millennio. È un auspicio che è stato espresso molte volte e da molte parti negli ultimi anni, da quando l’Unione europea è entrata nella profonda crisi politica, economia e sociale iniziata nella primavera del 2005 quando il “no” di Francia e Paesi Bassi nei referendum sulla Costituzione europea bloccarono un percorso di crescita iniziato a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta.
Dal 2005 ad oggi, l’Europa ha cercato di tenere il naso sopra la superficie di un mare agitato. Il mondo ha subito scosse terribili: prima la crisi economica del 2008 e poi la pandemia del coronavirus. Nel primo caso, l’Europa è rimasta schiava di se stessa e delle sue paure. Viceversa, nella seconda sfida, l’Unione, dopo un inizio disastroso, ha corretto la rotta ed è stata capace di fare scelte senza precedenti, culminate nel progetto rivoluzionario del Recovery Fund.
Da qui bisogna partire, sapendo che il percorso sarà ancora lungo. Ma l’auspicio di un’Europa protagonista può essere rinnovato non soltanto per la buona prova europea di questi mesi, ma anche perché l’Ue in questa fase non ha scelta: o proseguirà su questa strada approfondendo l’unione politica o sarà costretta a un ridimensionamento storico decisivo.
Se l’Europa vuole sopravvivere dovrà dotarsi di una sua forte autonomia geopolitica, economica e militare, altrimenti sarà destinata a soccombere.
Basta guardarsi intorno per capire il perché. Il mondo e gli equilibri geopolitici stanno mutando molto velocemente. Il multilateralismo, base del dialogo internazionale nel secolo scorso, non esiste più così come lo conoscevamo; le grandi istituzioni internazionali, punti di riferimento irrinunciabili nel ‘900, sono scomparse dai radar, a cominciare dall’Onu; i grandi Paesi guida si sono ritirati dentro un nazionalismo politico ed economico, le guerre commerciali hanno messo in crisi gli aspetti positivi della globalizzazione mentre quelli negativi continuano ad avanzare aumentando le diseguaglianze, le sfide dell’ambiente, delle migrazioni e dell’innovazione tecnologica vengono affrontate a livello nazionale e non globale.
Ma la questione più preoccupante è che questa nuova situazione ha portato a far saltare il banco delle regole che, in qualche modo, avevano consentito di gestire i rapporti internazionali e ha indebolito quell’eredità di principi, valori e ideali che avevano contraddistinto quello che una volta veniva chiamato Occidente.
I tradizionali rapporti geopolitici sono saltati e al posto di nuovi equilibri in questa fase storica assistiamo all’inseguirsi di veloci cambiamenti diplomatici e politici che sembrano avere sempre un punto di arrivo ma si limitano a gestire la precarietà dell’esistente. In questo senso i cambiamenti voluti dall’amministrazione Trump nei rapporti globali hanno inciso parecchio. Ma, allo stesso modo, l’avanzata strategica della Cina ha cambiato le carte in tavole. Il sorgere o il rafforzarsi di populismi e di “uomini forti” in Paesi come Brasile, Russia e Turchia ha fatto il resto.
L’Europa non è rimasta immune: basta guardare all’involuzione di Ungheria e Polonia e al rafforzarsi dei nazionalismi in Austria e nei Paesi Bassi, alla nascita dei frugali, al consolidamento del gruppo di Visegrád, al modo triste e irritante con cui il Regno Unito si avvia a un possibile “no deal“.
Tutto questo crea una situazione storica unica in cui l’Ue sarà costretta a muoversi perché non ha più quelle antiche sicurezze che derivavano da una sicurezza garantita dagli Usa, da un ordine mondiale fragile ma pressoché immutabile, da rapporti collaudati, nella loro ambiguità, con i grandi attori degli scenari globali. Questo mondo non esiste più e l’Europa adesso è sola di fronte a un mondo con equilibri geopolitici tutti da costruire.
In qualche modo la strada appare segnata e la capacità europea di reagire di fronte alla pandemia potrebbe far ben sperare, a patto che si cammini velocemente. Bisognerà partire prendendo coscienza e piena consapevolezza di un semplice fatto: l’Europa a 27 non potrà continuare a funzionare con le attuali regole. Molti Paesi rappresentano una zavorra, rallentano le decisioni, le frenano o le impediscono. Il voto all’unanimità non ha più senso in un’Unione in cui ormai molti Stati hanno perso di vista i valori fondanti o considerano l’Europa poco più che una grande area di libero scambio.
Si tratta quindi di costruire l’Europa delle geometrie variabili, delle cooperazioni rafforzate, dei cerchi concentrici.
Il risultato dovrà essere quello di costruire un nucleo forte di Paesi fortemente europei ed europeisti che insieme dovranno costruire un’unione politica, con una politica estera comune dotata di tutti mezzi necessari compresa una capacità di sicurezza e militare. Dovrà essere un’Europa capace di affrontare unita le grandi sfide di questi anni a cominciare dalla pandemia, creando una concreta cooperazione nel settore sanitario. Insieme bisognerà individuare nuove rotte per la tutela dell’ambiente, per gestire le nuove tecnologie come il 5G e la grande sfida dell’immigrazione con un superamento netto di Dublino, affrontare la concorrenza feroce dei commerci internazionali.
Bisognerà riflettere anche sulle norme che hanno regolato le economie europee in questi anni, da Maastricht al Fiscal compact. Probabilmente non sono più attuali: sono state sospese per la crisi economica dovuta al Coronavirus ma il ritorno sic et simpliciter alle vecchie regole dimostrerebbe una mancanza di visione e di coraggio.
L’Europa dovrà fare tutto questo continuando ad avere come faro quei principi e valori che sono alla base della costruzione comunitaria e che in gran parte del mondo non vanno più di moda. Dovrà farlo un gruppo di Paesi pionieri, quelli che credono in questo progetto. Gli altri, che continueranno a far parte dell’Ue, decideranno, di volta in volta, se vorranno e potranno partecipare ai passi in avanti della costruzione europea.
La presidenza di turno tedesca e la Conferenza sul futuro dell’Europa potranno sicuramente aiutare ad aprire questo cammino verso la Nuova Europa. Come spesso le è capitato l’Europa è di fronte a un bivio. Questa volta non può permettersi di scegliere la strada sbagliata.
Questo articolo è il quarto contributo dedicato a una riflessione sulla ripresa autunnale dell’Ue iniziata con l’editoriale del presidente dello IAI Ferdinando Nelli Feroci.