Cavalcare il cambiamento senza esserne travolti
Il cambiamento suscita forti emozioni. La sua attesa spesso alimenta sogni e speranze. Perché schiude la possibilità di nuovi scenari che ognuno disegna nel modo che preferisce. E perché il nuovo che arriva è considerato un miglioramento rispetto allo status quo. Quando però il cambiamento è all’orizzonte, il timore di non saperlo gestire tende a suscitare incertezza, generare ansia, diffondere sentimenti di paura.
Stiamo vivendo l’epoca di più intensi cambiamenti nel corso di tutta la storia. Frequenti crisi economiche, rapidi cambiamenti del quadro geopolitico internazionale, forti flussi migratori, disastri ambientali, pandemie.
Per non dimenticare i cambiamenti, dirompenti, determinati dall’innovazione tecnologica, dai quali emergono enormi opportunità ma anche molti rischi. La diffusione di macchine e algoritmi migliora produttività e qualità della vita ma, al contempo, minaccia occupazione ed equilibri economici e sociali consolidati. Analogamente lo sviluppo di biotecnologie, nanomateriali, microsensori, l’avanzamento della neurobionica, il perfezionamento dell’ingegneria del genoma umano, la crescita della space economy, consentono progressi senza precedenti in campo medico e scientifico. Ma queste stesse innovazioni si prestano a manipolazioni e utilizzi controversi, creando rischi giganteschi e sollevando dilemmi etici di straordinaria complessità.
Che cosa determina se il cambiamento è positivo o negativo? Questo è il tema centrale de L’Onda Perfetta, uscito il 3 settembre per LUISS University Press.
Il posizionamento iniziale
La “situazione di partenza“, il posizionamento iniziale dal quale si affronta il cambiamento, è importante. Ma non è sufficiente. Il luogo geografico in cui è situata una città, le risorse naturali di cui è dotato un Paese, la quota di mercato e i brevetti detenuti da un’azienda, il gruppo anagrafico-sociale cui appartiene un individuo, rappresentano un vantaggio nell’affrontare il cambiamento e coglierne le opportunità.
Tuttavia, diversi sono gli esempi di Paesi e territori che, pur ricchi di risorse naturali o situati in posizioni geografiche strategiche, non hanno saputo sfruttare il vantaggio iniziale e hanno vissuto con difficoltà grandi cambiamenti quali la ridefinizione degli equilibri geopolitici mondiali e la globalizzazione. Si pensi a Venezuela, Mongolia, Argentina, Sudafrica: Paesi con equilibrio economico-sociale precario nonostante la straordinaria dotazione di risorse naturali.
Analogamente, diverse imprese hanno dilapidato il posizionamento iniziale – derivante da leadership di mercato, solidità finanziaria, forza del marchio, elevata reputazione – e sono state travolte dal cambiamento. Alcune l’hanno previsto e anticipato, altre ne hanno sottovalutato l’impatto. È il caso di Kodak, ToysRUs, Blockbuster, Nokia, Motorola, che non hanno saputo gestire con successo la rivoluzione digitale.
La gestione
Al di là del posizionamento iniziale, quindi, gli effetti del cambiamento possono risultare positivi o negativi soprattutto in base alla gestione dello stesso. Gestione che oggi è più difficile rispetto al passato. Per almeno tre motivi. Perché i cambiamenti dirompenti si succedono con maggiore frequenza rispetto al passato. Perché siamo condizionati in tempo reale anche da eventi che hanno luogo a grande distanza, talvolta dall’altra parte del mondo. E perché, indipendentemente dal fatto che i cambiamenti ci riguardino, esserne costantemente informati genera un senso di ansia che rende più difficile determinare priorità e prendere decisioni.
La gestione del cambiamento è più difficile che mai, ma nel mondo attuale è un fondamentale elemento di successo, talvolta di sopravvivenza. Dalla rilettura de L’origine della specie di Charles Darwin emerge che a sopravvivere non è la specie più forte o la più intelligente ma quella più predisposta al cambiamento. Ciò è vero anche per le imprese.
A prevalere nel lungo periodo non sono necessariamente quelle di maggiori dimensioni o che generano più profitti, bensì quelle che meglio gestiscono i continui cambiamenti: di trend di mercato, gusti dei consumatori, tecnologia, scenario competitivo. Ne è convinto Philip Kotler, economista di Kellogg, per cui “l’unico vantaggio competitivo sostenibile è la capacità di apprendere e di imparare più rapidamente degli altri”.
La chiave di volta per indirizzare il cambiamento in senso positivo è quindi la sua gestione. Ciò è vero anche a fronte di vere e proprie catastrofi, come l’emergenza sanitaria causata dalla diffusione del coronavirus e le pesanti conseguenze economiche e sociali. In poche settimane un virus ha fatto emergere la fragilità del sistema economico basato sulla globalizzazione. La pandemia ha creato panico mondiale, fatto crollare borse, chiuso porti, aeroporti e fabbriche, fermato merci e container, interrotto flussi di turisti e di migranti. E stanno cambiando geografia produttiva e organizzazione del lavoro, relazioni commerciali tra paesi e allocazione degli investimenti di imprese e governi, abitudini di acquisto dei consumatori e modalità di relazione tra le persone. Vi sarà un’accelerazione nella diffusione di tecnologia in tutti gli ambiti. Saranno scardinati equilibri economici, sociali e politici consolidati.
Questa volta l’onda del cambiamento rischia di essere travolgente. Riuscire a cavalcarla, per cercare di cogliere alcune opportunità, è molto difficile. Ma non impossibile.