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IL TRIBUNALE PER IL LIBANO E L'ASSASSINIO DI HARIRI

Una sentenza giunta a 15 anni dalla strage di San Valentino

24 Ago 2020 - Marina Castellaneta - Marina Castellaneta

Quattro imputati, tutti contumaci, un solo condannato. Oltre 2.600 pagine di sentenza senza, però, il nome del mandante dell’omicidio di Rafiq Hariri. Quindici anni di attesa per il verdetto. Sono questi i numeri della sentenza resa dalla Trial Chamber del Tribunale speciale per il Libano depositata il 18 agosto 2020, che avrebbe dovuto fare luce sull’uccisione dell’ex Primo ministro Rafiq Hariri e degli uomini della sua scorta.

Una strage, quella del 14 febbraio 2005, che aveva causato, oltre ad Hariri, 21 morti e 226 feriti, facendo precipitare il Libano in una nuova stagione di instabilità e conflitti. Prevista per il 7 agosto, la pronuncia è stata rinviata per evitare ulteriori proteste – che non ci sono state, anche a causa della pandemia – dopo la drammatica esplosione del 4 agosto che ha devastato Beirut e provocato le dimissioni del governo.

Sin da subito, all’indomani della strage di San Valentino, era apparso chiaro che la giustizia libanese non sarebbe stata in grado di individuare e processare i colpevoli. Troppi i rischi di insabbiamento e di continui attentati. Così, da parte delle autorità libanesi, era partita la richiesta indirizzata all’Onu per l’istituzione di un tribunale ibrido (internazionale e interno) per svolgere le indagini e processare i colpevoli. Il Segretario generale aveva nominato una Commissione di inchiesta che aveva traghettato l’Onu verso la conclusione dell’accordo tra Libano e Nazioni Unite per l’istituzione di un nuovo tribunale ad hoc.

Tuttavia, i ritardi nella ratifica dell’accordo da parte del Libano hanno condotto all’istituzione del Tribunale con la risoluzione del Consiglio di sicurezza n. 1757 del 30 maggio 2007, in base al capitolo VII della Carta. Il Tribunale, che ha applicato il diritto penale libanese, ha poi iniziato l’attività nel 2009, con il primo Presidente Antonio Cassese.

Le attese, malgrado i ritardi nell’esercizio della giustizia internazionale, erano molte, ma non c’è dubbio che l’elefante abbia partorito un topolino, soprattutto perché i giudici hanno scritto molto chiaramente che non ci sono prove che la leadership di Hezbollah abbia avuto un coinvolgimento nell’omicidio di Hariri così come non ci sono prove dirette del coinvolgimento della Siria, malgrado il Tribunale affermi che entrambi avevano dei motivi per l’eliminazione dell’ex Primo ministro.

L’assoluzione poi degli altri imputati, membri di Hezbollah (inizialmente 5, ma un imputato è morto in Siria), nel rispetto naturalmente del principio fondamentale della presunzione d’innocenza che impone – come chiarito dalla Trial Chamber – di considerare gli imputati innocenti fino a prova contraria e di applicare il principio in dubbio pro reo, attenua ulteriormente il ruolo dell’organizzazione. L’unico colpevole (sull’entità della pena è attesa la sentenza) è Samil Jamil Ayyash: pure membro di Hezbollah, è ritenuto colpevole al di là di ogni ragionevole dubbio di cospirazione al fine di commettere un atto terroristico, della commissione dell’atto terroristico, dell’omicidio intenzionale di Hariri e di altre 21 persone, con l’aggravante della premeditazione, nonché del tentato omicidio dei 226 feriti. Tuttavia, non ci sono prove del fatto che Ayyash fosse stato diretto da Hezbollah.

Va detto, poi, che, a una prima lettura, non convincono alcune affermazioni della Trial Chamber, la quale ha sostenuto, con riferimento al terrorismo, che il ricorso al diritto internazionale seguito dalla Camera di appello nella decisione interlocutoria del 16 febbraio 2011 non era e non è necessario (par. 6167), anche in ragione del fatto che, in base all’art. 2 dello Statuto, il Tribunale deve applicare il codice penale libanese.

Non mancano altri aspetti negativi generali sul funzionamento del Tribunale speciale per il Libano. Primi tra tutti, la celebrazione in contumacia, prevista ovviamente dalle regole dell’organo giurisdizionale, e l’eccessiva durata del procedimento – il verdetto è arrivato dopo 15 anni – dovuta anche alla complessità delle regole procedurali e all’enorme quantità di documenti e prove prodotte, incluse intercettazioni telefoniche (che hanno portato a numerosi accertamenti tecnici) e ben 269 testimonianze.

Gli aspetti indicati incidono in senso negativo sulla percezione della giustizia da parte della collettività, minando l’effettività dell’accertamento della colpevolezza che arriva dopo troppo tempo. E il procedimento non è ancora chiuso tenendo conto della possibilità di appello, entro 30 giorni dalla pronuncia, sia da parte dell’unico condannato, sia del Procuratore.

Non tutta l’attività del Tribunale per il Libano è segnata da valutazioni negative perché resta di fondamentale importanza l’accertamento della nozione di terrorismo compiuta dal Tribunale – presieduto in quel periodo dal giudice Antonio Cassese – con la decisione interlocutoria del 16 febbraio 2011 che ha fornito la nozione di terrorismo applicabile dalla Corte ma, in modo ancora più rilevante, ha ricostruito i caratteri di tale crimine e ha affermato una nozione consuetudinaria di terrorismo.