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Donne e Diplomazia

Una Corte per una Costituzione aperta al mondo. Parla Daria de Pretis, giudice della Corte costituzionale

24 Ago 2020 - Serena Santoli - Serena Santoli

Per far sorridere anche gli occhi della giudice della Corte costituzionale Daria de Pretis bisogna parlare di università. O meglio, della sua università, a Trento, quella dove ha ricoperto il ruolo di rettrice. E il perché di questo legame ce lo spiega lei stessa: “Le studentesse si rivolgevano a me con entusiasmo per la mia carica. Sentivo di rappresentare per loro un modello di ruolo, che io non avevo avuto”.

Un’altra esperienza che lei custodirà per sempre è senza dubbio il tempo trascorso nelle carceri, che le ha lasciato impresso “la percezione di un mondo isolato, ma molto compiuto al suo interno”.

La nostra conversazione si sposta verso un altro simbolo, di rilievo soprattutto per la Corte: intervistiamo Daria de Pretis sette giorni dopo la sentenza storica firmata da tre donne, e che “per la prima volta insieme hanno fatto accadere una cosa nuova, simbolica di una maggiore presenza delle donne nelle istituzioni”.


Professoressa de Pretis, noi la intervistiamo e la conosciamo per la carica che ricopre oggi, giudice della Corte costituzionale, ma lei è anche stata rettrice dell’Università di Trento, prima donna rettore dell’ateneo. In generale, in Italia, non ci sono molte donne che ricoprono questo ruolo.
Ce ne sono molto poche. Quando fui eletta, eravamo in cinque su 72 rettori, e anche oggi non mi risulta che ci siano molte donne rettrici. Tra di noi, ci siamo anche date una mano. Di quell’esperienza una cosa che mi è piaciuta è stato che le studentesse si rivolgevano a me con entusiasmo per la mia carica. Sentivo di rappresentare per loro un modello di ruolo, che io non avevo avuto”.

Per la prima volta, la firma di tre donne in una carta cosa può significare per la Corte costituzionale?
“È un fatto che ha rilievo soprattutto sul piano del costume. Quelle tre firme per la prima volta insieme hanno fotografato una cosa nuova, che è simbolica di una maggiore presenza delle donne nelle istituzioni, tra l’altro su due fronti interessanti – due giudici, di cui una prima donna Presidente, e la cancelliera – in ruoli che fino a poco tempo fa erano monopolio degli uomini. Credo che questa sia un’immagine che ci fa capire che la nostra società sta finalmente cambiando. Quella promessa contenuta nella Costituzione di uguaglianza e parità tra uomini e donne si sta realizzando anche in questo palazzo che per tanto tempo è stato occupato da soli uomini. La prima donna giudice costituzionale l’abbiamo avuta nel 1996 quando il Presidente della Repubblica nominò Fernanda Contri. Per tanto tempo c’è stata solo una donna alla volta, prima Fernanda Contri, poi la professoressa Maria Rita Saulle e poi Marta Cartabia. Soltanto quando sono stata nominata io, per la prima volta, ci siamo ritrovate in due e quasi subito in tre, con la professoressa Silvana Sciarra“.

Un bellissimo lavoro di squadra…
“Adesso possiamo fare un lavoro di squadra, certo”.

C’è stato un evento o un intervento per lei particolarmente significativo della sua esperienza nelle carceri e con i detenuti?
“È stata un’esperienza profondamente toccante e molto intensa, in particolare per me, che non avevo dimestichezza con quel mondo, non essendomi mai occupata di diritto penale. Di episodi da raccontare ne avrei molti, ma forse una cosa che mi ha colpita in particolare è stata la percezione di un mondo isolato, ma molto compiuto al suo interno. Noi pensiamo che le carceri siano solo i detenuti, ma sono veramente un mondo: ci sono i detenuti, che sono i protagonisti di quel mondo, ma c’è anche il personale amministrativo, ci sono i direttori e le direttrici delle carceri. Ricordo intensamente l’incontro con la direttrice del carcere di Lecce, che ho visitato. C’è anche il personale di polizia penitenziaria e, anche in quel caso, ci sono molte donne e giovani, che fanno un lavoro molto difficile e delicato. In questo mondo in sé chiuso e conchiuso, essere entrata in contatto con loro, in particolare dopo aver cominciato ad occuparmi qui di questioni che riguardano i detenuti, è stato molto importante e significativo”.

Cosa si potrebbe migliorare, non solo in Italia ma anche nel resto d’Europa, per quanto riguarda la protezione e la difesa dei diritti fondamentali dei detenuti?
“Il nostro ordinamento, e in generale quelli europei, sono molto attenti alla tutela delle persone detenute. Tutti i diritti sviluppati da questi ordinamenti offrono un insieme molto avanzato di protezione. Le corti, in particolare la nostra Corte costituzionale, li ha sempre interpretati nelle sue decisioni con grande saggezza e con la consapevolezza di tradurre quello che i costituenti hanno voluto. Molti dei costituenti erano stati in carcere. Quindi, quando hanno scritto la Costituzione, vi hanno messo quello che da detenuti avevano capito essere fondamentale per la protezione delle persone che si trovano in quella condizione. Quello che manca, quello che si può fare, più che intervenire sugli ordinamenti giuridici o su coloro che li interpretano, è occuparsi in concreto di quelle strutture, che sono largamente insufficienti e inadeguate. Tra l’altro, il nostro Paese si trova purtroppo nella triste condizione di essere stato più volte segnalato per la dimensione degli spazi a disposizione dei detenuti. Direi che c’è più da lavorare sul concreto, sulla gestione e sull’amministrazione, che non sulle leggi, le regole e la loro applicazione”.

Nel podcast “La Corte e le donne” che lei ha registrato, pubblicato ne “La libreria dei Podcast della Corte costituzionale”, ha sottolineato la necessità di leggi che tengano conto del contesto e dei condizionamenti subiti dalle donne. In quale modo questo può e viene attuato? Ci sono esempi nella scena internazionale a cui si potrebbe fare riferimento e prendere spunto?
“Le leggi devono disciplinare le diverse situazioni tenendo conto della realtà. La realtà, spesso, presenta situazioni molto diverse: il compito della legge è riportare su un piano di parità situazioni che sono nei fatti diseguali. Questo vuol dire tener conto del contesto, anche quando si parla di donne. Ormai, anche grazie al lavoro compiuto dalla Corte costituzionale, non è facile trovare leggi che formalmente discriminino le donne. Quello che è vero invece è che non si possono cambiare le cose solo con leggi che trattino tutti alla stessa maniera, ma occorre tenere conto della situazione generale, sociale e di contesto culturale, e lavorare per cambiarla, anche attraverso leggi che riequilibrino le disparità. In questo senso, le leggi vanno valutate dal punto di vista della loro ragionevolezza, affinché tengano conto in maniera coerente delle situazioni di diversità. Determinati benefici concessi solo alle donne si giustificano proprio per il fatto che sono diretti a superare una situazione di disparità“.

Nello stesso podcast ha spiegato che il lavoro della Corte costituzionale è dichiarare incostituzionali le leggi che discriminano le donne. Le è mai capitato, nel suo lavoro di giudice, di dover giudicare leggi che avrebbero potuto essere o erano discriminatorie nei confronti delle donne?
“Ormai di leggi così ce ne sono poche, ma la sua domanda sulla sentenza della Corte mi offre l’occasione per ricordarne una, cioè quella che stabilisce che il cognome del figlio è solo quello paterno. La Corte si è pronunciata tre volte su questa vicenda. La prima volta ha detto che non poteva fare nulla perché era compito del legislatore. La seconda ha sollecitato il legislatore a intervenire. La terza volta, due o tre anni fa, in assenza di intervento da parte del legislatore, ha ritenuto illegittimo negare a due genitori, che lo desiderano di comune accordo, di dare a loro figlio anche il cognome della madre. In virtù di una sentenza della Corte, è stata superata, almeno per il caso dei due genitori d’accordo, questa normativa che, vietando la trasmissione del cognome della madre, è una forma di discriminazione nei confronti della donna, oltre che una forma di limitazione del diritto all’identità del figlio”.

Lei ha parlato di sentenze della Corte costituzionale che hanno dato una svolta importante al ruolo della donna nella società. Ci sono sentenze significative anche nell’ambito dell’immigrazione? Sono in qualche modo in relazione con le decisioni, gli accordi e le leggi europee?
“Non ho in mente sentenze che si riferiscano specificamente alle donne immigrate. Indirettamente, però, determinate sentenze della Corte che riconoscono agli immigrati gli stessi diritti dei cittadini, si riferiscono a servizi che interessano più  direttamente le donne. Pensiamo agli asili nido. L’offerta del servizio dell’asilo nido non è un beneficio per la donna di per sé, perché in realtà è un beneficio offerto anche all’uomo. Sappiamo però che la cura dei figli pesa, nella nostra società, quasi esclusivamente sulle spalle della donna. Sentenze di questo tipo sono sentenze che aiutano le donne”.

La Corte costituzionale italiana può giudicare una legge incostituzionale, se essa non rispetta i diritti fondamentali delineati a livello europeo con la Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione europea?
“Sì, lo può fare. Il discorso è molto complicato, perché in questi ultimi decenni assistiamo a un grande arricchimento del panorama delle carte dei diritti che si affiancano alla nostra Costituzione, affermando diritti a volte uguali, a volte leggermente diversi, a volte anche nuovi. Insieme a queste carte dei diritti ci sono anche Corti che tutelano il rispetto di quei diritti. La nostra è una Costituzione aperta al mondo, aperta anche alle Carte dei Diritti alle quali il nostro Paese ha aderito. Quindi, la Corte costituzionale si trova non di rado a dover applicare, attraverso la via della Costituzione che fa richiamo a questi atti, anche norme contenute in queste Carte, quindi diritti proclamati in quelle Carte”.

Shamima Begum, una delle tre teenager inglesi che nel 2015 presero l’aereo per giurare fedeltà allo Stato Islamico, può tornare nel Regno Unito per prendere parte al processo per la revoca della sua cittadinanza, decisa dal Ministro degli Interni. Che significato ha questa decisione a livello giuridico e di rispetto dei diritti fondamentali?
“Ha almeno due significati. Il primo è che uno Stato costituzionale è tollerante anche verso coloro che sono intolleranti verso di esso, almeno entro certi limiti. Quindi, lo Stato tiene conto dei diritti anche di quelli che negano la sua stessa funzione. Dall’altro lato, da questa vicenda emerge l’importanza del diritto di difesa, che non può essere mai disconosciuto. Nel caso che citava lei, si tratta di una persona che era fuori, alla quale doveva essere revocata la cittadinanza, ma che non di meno aveva un diritto a un processo e a prendere parte a quel processo. Questa è la ragione per la quale le è stato concesso comunque di tornare nel Regno Unito. Il diritto di difesa è un diritto fondamentale: essere posti nella condizione di potersi difendere. Nell’ordinamento anglosassone anche la stessa presenza dell’imputato è condizione per lo svolgimento del processo”.

Recentemente, il presidente del Mali ha sciolto la Corte costituzionale su richiesta dei protestanti contro il governo. Questi ultimi ritengono che la Corte non sia stata imparziale nel giudicare i risultati elettorali e che abbia favorito il partito dell’attuale presidente. Lo scioglimento della Corte, in queste situazioni e su richiesta dei cittadini, è legittimo?
“No, non è legittimo in un sistema come il nostro, dove la sovranità appartiene al popolo che la esercita nei modi e nelle forme previsti dalla Costituzione. Tra questi modi e queste forme, non c’è quello per cui i cittadini possono direttamente sfiduciare la Corte costituzionale. Nel nostro sistema, ogni organo e potere dello stato esiste e opera nel rispetto delle regole previste dalla Costituzione e, solo in quelle regole, se ne è il caso, può essere messa in discussione la sua permanenza. Questo, però, non è consentito nel nostro ordinamento per la Corte costituzionale”.

La Presidente della Corte costituzionale ha affermato che la Costituzione italiana non prevede un diritto speciale in tempi di emergenza, ma è una bussola per l’emergenza. Quali articoli della Costituzione hanno guidato l’azione del governo italiano e il lavoro della Corte durante l’emergenza da Covid-19?
“È una domanda alla quale non posso rispondere, perché mette in campo un giudizio dell’operato del governo e, in particolare, su quali siano le norme di riferimento alle quali il governo si è ispirato, e su questo non ho nulla da dire. Posso solo confermare quello che lei diceva riprendendo le parole della nostra Presidente, cioè che la nostra Costituzione non prevede lo stato di emergenza. Prevede che, anche nelle situazioni di emergenza, ci si muova secondo le regole ordinarie, le quali prevedono, in via ordinaria, la possibilità che ci sia estrema urgenza di un certo provvedimento, anche legislativo. In quel caso, il governo è autorizzato a intervenire senz’altro, se davvero le situazioni di necessità e urgenza ci sono, e poi il Parlamento è chiamato a convertire in legge quello che il governo, in via d’urgenza, ha adottato. Il sistema funziona sempre fisiologicamente e, nella fisiologia, è prevista la possibilità che ci siano casi di necessità e di urgenza”.