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Il rimpasto di Haitham

Svolta in Oman: meno deleghe per il sultano, più familiari al governo

24 Ago 2020 - Eleonora Ardemagni - Eleonora Ardemagni

L’Oman che emerge dal rimpasto di governo voluto, con 28 decreti reali, dal neo-sultano Haitham bin Tariq Al Said (succeduto nel gennaio scorso all’indimenticato Qaboos), è più collegiale e meno personalizzato: il sovrano ha tenuto per sé pochi portafogli. Ma la gestione politica diventa familiare, come nelle vicine dinastie del Golfo.

I due fratelli del sultano sono vice-premier, il figlio maggiore diventa ministro e il nipote più in vista guiderà la Banca centrale: Qaboos non aveva né figli né nipoti o fratelli. Mentre Muscat cerca aiuti economici e apre cautamente a Israele, la nuova distribuzione del potere omanita somiglia, da oggi, un po’ di più a quella dell’Arabia Saudita.

Nomine e debutti
Il sultano assegna due ministeri-chiave che finora gli erano formalmente attribuiti: Esteri e Finanze. Infatti, Badr bin Hamad Al Busaidi (già segretario generale del ministero degli Esteri) e Sultan bin Saeed Al Habsi entrano in carica come ministri a pieno titolo e non più “ministri responsabili”. Al Busaidi sostituisce il veterano Yusuf bin Alawi bin Abdullah in carica dal 1997, l’uomo che ha guidato con raffinata operosità la diplomazia omanita mediando, per esempio, tra Stati Uniti e Iran. Il nuovo titolare delle finanze dovrà gestire anche “l’ufficio del debito” (debt management office) lì istituito nel 2017, quando Muscat ottenne il primo prestito dalla Cina. L’Oman vuole essere ancora più business-friendly, con un occhio particolare al settore privato: il neo-ministro del commercio, industria e promozione degli investimenti è infatti l’ex capo della Camera di Commercio.

Uno dei due figli maschi del sultano (che ha anche due femmine), Theyazin, 30 anni, un’esperienza diplomatica a Londra, entra nella squadra come ministro di un nuovo super-dicastero che raggruppa cultura, sport e giovani: il padre aveva guidato il ministero del patrimonio culturale dal 2002 al gennaio scorso. Il più noto dei nipoti del sultano, Taimur bin Asaad, 40 anni, figlio di uno dei fratelli, diventa presidente del consiglio dei governatori della Banca Centrale, con rango di ministro, responsabilità finora era esclusiva del sovrano: Taimur si occupava già di banche e finanza islamica.

Una macchina efficiente per “Vision 2040”
Alcuni ministeri sono stati accorpati o ridenominati per la trasformazione post-petrolifera dell’Oman: la squadra di governo è comunque snella (19 ministri invece che 26). L’obiettivo è tradurre in politiche coerenti la “Vision 2040”, di cui il sultano è stato il promotore, mediante un’unità di implementazione. Per esempio, non esisteva un ministero del lavoro, ora affidato all’ex capo del College Internazionale Marittimo perché “c’è molto lavoro da fare davanti a noi” ha commentato il neo-ministro, consapevole che la Banca Mondiale stima al 49% la disoccupazione giovanile. Le rinnovate denominazioni dei ministeri offrono una mappa delle prossime coordinate politiche del Sultanato: comunicazione e informazione tecnologica (tra le competenze del ministero dei trasporti), così come le risorse idriche (che rientreranno nel ministero dell’agricoltura e della pesca), la pianificazione urbana (nel ministero dell’edilizia) e il turismo (insieme al patrimonio culturale). Anche il ministero del petrolio e del gas cambia nome: sarà il ministero dell’energia e delle risorse minerarie, come già fatto dall’Arabia Saudita nel 2019 accorpando anche l’industria. Le ministre salgono a cinque (erano due), con le nuove titolari di università e sviluppo sociale.

Quindi, il sultano rimane “solo” primo ministro, ministro della difesa e capo della Forze armate. L’Oman di oggi è di fatto guidato da un triumvirato composto dai nipoti del defunto Qaboos. Insieme alla storica figura di Fahd bin Mahmoud Al Said (con delega al Consiglio dei ministri e in carica dal 1972), i due fratelli di Haitham, Shihab e Asaad, sono gli altri vice primi ministri: Shihab con una pesante delega alla difesa, Asaad agli affari internazionali e cooperazione (in carica già dal 2017), anche se il nome di quest’ultimo non appare nella lista di governo resa pubblica. Il rinnovamento governativo consolida gli equilibri post-Qaboos e rende più attrattivo il paese agli occhi di investitori e alleati: l’Oman in crisi di debito ha aperto un dialogo con le monarchie vicine per ottenere assistenza finanziaria e sarebbe in contatto anche con gli Stati Uniti. Per la seconda volta nel 2020, l’agenzia di valutazione Fitch ha tagliato il rating omanita portandolo a “BB meno”.

Politica regionale e il nodo Israele
Gli equilibri di potere nel Sultanato riguardano da vicino anche l’Italia e non solo per la stabilità del Medio Oriente: Eni vi opera dal 2017 e quest’anno ha iniziato le prime trivellazioni offshore nella storia del Paese.

L’Oman ha salutato, insieme al Bahrein, l’annunciata normalizzazione delle relazioni diplomatiche tra gli Emirati Arabi Uniti e Israele: il ministro degli Esteri uscente ha subito telefonato al suo omologo israeliano. Tra le monarchie del Golfo, il Sultanato aveva rotto, per primo, il “tabù Israele” con la visita, nel 2018, del premier Benjamin Netanyahu a Muscat. Ma ciò che è diventato possibile non è detto che sia probabile e, soprattutto, immediato: per esempio, il gran mufti dell’Oman Ahmed Al Khalili ha scritto che “la liberazione della moschea di Al Aqsa rimane un dovere sacro” e un gruppo di venticinque intellettuali omaniti ha preso le distanze dalla normalizzazione dei rapporti degli Emirati Arabi con Israele.

Dopo il rimpasto di governo, il sultano ha ricevuto una telefonata da re Salman dell’Arabia Saudita: i due sovrani hanno discusso della “cooperazione fraterna” tra i due paesi. Al di là dei riassetti interni, il rapporto con Riad condizionerà il percorso del rinnovato Oman, stretto fra crescenti necessità di bilancio e l’intenzione di preservare l’indipendenza in politica estera.