Resa dei conti in Mauritania
Il 6 agosto scorso, il primo ministro della Mauritania Ismail Bodde Ould Sidiya ha rassegnato le dimissioni insieme a tutto il governo nelle mani del presidente Mohamed Ould Ghazouani. Il presidente, accentando il passo indietro, ha contestualmente annunciato la nomina di Mohamed Ould Bilal come nuovo primo ministro incaricato. Le dimissioni di Sidiya arrivano un anno dopo la sua nomina, in seguito ad elezioni più contestate del previsto, che avevano portato Ghazouani alla vittoria, e vanno lette nel contesto della resa dei conti che sta dominando la scena politica mauritana in cui l’attuale presidente si contrappone al suo predecessore, di cui era alleato storico, Mohamed Ould Abdel Aziz.
Ghazouani è stato capo di Stato maggiore dal 2008 fino al novembre 2018, quando fu nominato ministro della Difesa. Dimessosi nel marzo successivo, quando divenne chiaro che si andasse verso una transizione guidata, Ghazouani specificò che avrebbe garantito continuità. In effetti, la scelta di Sidiya, per anni ministro sotto Abdel Aziz, venne vista come chiaro segnale della volontà di garantire continuità con il vecchio sistema, di cui anche Ghazouani era espressione.
Lo scontro Ghazouani-Abdel Aziz
Sin dai primi mesi, però, Ghazouani ha mostrato la volontà di caratterizzare il proprio mandato in termini diversi. Le tensioni con Abdel Aziz sono cresciute a dismisura, culminando nel primo, visibile momento di attrito: il congresso di dicembre dell’Unione per la Repubblica (Upr), in cui i due si sono scontrati, con Ghazouani chiaro vincitore. Da allora, il redde rationem è diventato sistemico. A inizio giugno, Ghazouani ha cambiato parte dei vertici delle Forze armate, con una parziale riorganizzazione che portato alla creazione di un gruppo di forze speciali, di cui fa parte la Guardia presidenziale, con il generale Mohamed Ould Beyda al comando. In un Paese che ha conosciuto svariati colpi di stato militari – e Ghazouani fu uno dei protagonisti del colpo di stato che portò Abdel Aziz al potere nel 2008 – la prudenza per chi è al potere, da questo punto di vista, non è mai troppa. Ma la questione più importante in questo scontro è l’inizio di una serie di inchieste su corruzione e illeciti durante i dieci anni al potere di Abdel Aziz.
Una commissione parlamentare d’inchiesta creata a gennaio ha cominciato a indagare sulla gestione dei contratti nel settore degli idrocarburi, industria divenuta sempre più importante negli ultimi anni. I lavori della commissione si sono focalizzati non solo su Abdel Aziz, ma anche su alcuni dei principali membri del suo “cerchio magico”. Nel report finale vi sono i nomi del premier Sidiya e di altri tre ministri uscenti. Tra di essi spicca Mohamed Abdel Vetah, ministro del petrolio, dell’energia e delle miniere nominato dall’ex presidente e uno dei rappresentati più significativi, insieme a Ismail Ould Ahmed (Esteri) e del nuovo – ma vicino ad Abdel Aziz – Mohamed Lemine Ould Dhehbi (Finanze), della continuità esistente tra nuovo e vecchio sistema. Data l’immunità di cui gode da ex presidente, Abdel Aziz si è rifiutato di testimoniare. Ma il lavoro della commissione è andato avanti, con il Parlamento che ha votato alla fine di luglio in favore di una legge che permetterà la creazione di un’Alta Corte di Giustizia, per cui l’immunità dell’ex capo di Stato non è valida, essendo questa istituzione l’unica che può processare ex presidenti.
Tra Bidham e Haratin
Questo è il contesto in cui le dimissioni del governo e la nomina di Bilal sono avvenute. A guardare la scelta, il neo-premier Bilal rappresenta un elemento di discontinuità a vari livelli. Bilal è un tecnico molto stimato, già ministro nel governo di Zeine Ould Zeidane nel 2007. Con Abdel Aziz, fu nominato a capo della Société Mauritanienne d’Electricité (Somelec), prima di essere sostituito a causa di divergenze con il presidente rispetto alla gestione dei contratti pubblici della compagnia. Quindi la scelta di Bilal vuole essere un segnale di presa di distanza dall’eredità di Abdel Aziz. Inoltre, è un hartani. Gli Haratin, i “mauri neri” che parlano arabo e berbero, diffusi in tutto il Nord Africa, discendenti degli schiavi, formano circa il 48% della popolazione mauritana – anche se le percentuali sui gruppi etnici vanno presi con molta cautela in questo Paese di poco più di 4 milioni di abitanti nel Sahel – e sono storicamente il gruppo sociale ed etnico più svantaggiato.
Storicamente, l’autorità sociale e il potere politico sono stati nelle mani dei Bidhan, “i mauri bianchi”, mentre gli afro-mauritani – diversi dagli Haratin, e presenti principalmente nel sud del Paese, hanno spesso occupato posizioni amministrative e tecniche, eredità del dominio coloniale francese la cui presenza era più forte nel sud (data la vicinanza a Saint-Louis, nell’odierno Senegal).
Tentativi di un cambio di passo
La Mauritania soffre storicamente di marcate divisioni interne, e uno dei motivi per cui il Paese si è proclamato “Repubblica islamica” è esattamente dovuto al fatto che la religione rappresentasse uno dei pochi elementi di coerenza e unità.
In tal senso, sebbene in passato non siano mancati Haratin in posti di responsabilità politica, un Hartani proviente dal sud (Bilal è nato a Rosso, nella regione di Trarza) come primo ministro è un messaggio, da parte di Ghazouani, della necessità di garantire maggiore inclusione, vista come imprescindibile per ridurre le tensioni interne. In tal senso, le indagini sulla corruzione e una crescente inclusione di tutti, sono percepite come due facce della stessa medaglia: combattere la corruzione significa combattere il clientelismo che guida l’accesso alle cariche pubbliche, con relative occasioni d’arricchimento privato, cariche pubbliche spesso precluse a chi non fa parte dell’élite storica ed etnica del paese.
Queste mosse di Ghazouani, però, non è detto che portino ad un reale cambio di passo: in Nord Africa, il cambiamento cosmetico e limitato è spesso la regola, più che l’eccezione.