Quo vadis, Marianna? Le crisi francesi e i sogni di grandeur
“Marianna – si guarda l’ombelico ! – Compiaciuta”, recitava un tempo una breve poesia dedicata alla Repubblica Francese ed alla sua politica, specie a quella internazionale. E si tratta, a dire il vero, dell’atteggiamento che Marianna mantiene ancora adesso, soprattutto in Europa, ma non solo, malgrado i tempi siano radicalmente mutati, la situazione del mondo sia cambiata di conseguenza e al giorno d’oggi Parigi non abbia più tutti quei motivi di autocompiacimento che un tempo costituivano il suo orgoglio.
Soltanto in apparenza le cose restano quelle di una volta, mentre la Costituzione voluta a suo tempo dal generale Charles de Gaulle continua a garantire la stabilità di governo e gli ex allievi delle grandi Scuole francesisi alternano alle massime cariche della Repubblica.
In realtà la Francia si trova ora nel bel mezzo di una crisi di crescita in cui confluiscono più malesseri che, pur rimanendo ben distinti fra loro, sono resi ancor più gravi dal fatto di sommarsi in continuazione gli uni agli altri.
Da un lato, i giovani immigrati di seconda o addirittura terza generazione delle periferie urbane, ancora assolutamente non integrati. Dall’altro i gilet gialli, portatori di un disagio che anche essi non riescono a definire con precisione ma che sanno che esiste, ed è forte. Poi i contadini, che hanno compreso come l’Unione europea non potrà continuare in eterno a sovvenzionare l’agricoltura con più del 40% del proprio bilancio, e per di più destinandolo per buona parte alla Francia.
Infine, la lenta ma continua deriva verso destra di una politica che sembra aver dimenticato come l’ultimo governo francese veramente di destra, quello di Vichy e del maresciallo Philippe Pétain, sia stato per il Paese una vergogna permanente.
Se le acque sono agitate sul piano nazionale, in ambito internazionale le cose vanno addirittura peggio. Alle Nazioni Unite, benché la Francia conservi un seggio permanente nel Consiglio di Sicurezza, non si ha più memoria di un caso in cui abbia utilizzato da sola il proprio diritto di veto o abbia assunto in maniera decisiva una posizione autonoma.
Nell’Unione europea appare poi definitivamente tramontata l’idea del “motore franco tedesco” che assegnava a Germania e Francia un ruolo di leadership paritaria. Ora il numero di telefono da chiamare per parlare con la Ue coincide definitivamente con quello della cancelliera Angela Merkel e alla Francia è riconosciuto soltanto, grazie all’esistenza della force de frappe e all’attivismo del presidente Emmanuel Macron nel settore, un ruolo trainante in tema di Difesa.
Al di fuori del continente cala anche l’impatto francese sulle aree di influenza tradizionali che il Paese manteneva in Asia e in Africa. In Siria gli interessi in gioco sono già da tempo fuori portata per le possibilità francesi, mentre in Libano – ove la componente maronita della popolazione parlava un tempo di “notre mère la France” – la recente apparizione del presidente Macron a Beirut dopo l’incidente che ha semi distrutto la città, è suonata come un “vorrei proprio, ma proprio non posso! “.
Nel contempo, in Africa settentrionale tutti i nodi creati dalla eliminazione del colonnello Gheddafi stanno venendo al pettine, evidenziando così la reale gravità e le funeste conseguenze a media scadenza dell’evento. La sua sparizione ha infatti lasciato campo libero da un lato alle ambizioni di potenze regionali dai denti lunghi che hanno progressivamente trasformato la Libia nel loro campo di battaglia , dall’altro a movimenti insurrezionali a matrice religiosa che stanno rapidamente destabilizzando l’intero Sahel e soprattutto quella sua parte che apparteneva alla cosiddetta “Africa francofona“.
Stupisce non poco, in queste condizioni e nel momento attuale, che la Francia continui a gestire la sua politica e la sua presenza oltremare chiedendo magari ad alcuni dei maggiori partnership europei di contribuire alle sue operazioni – è già successo, e più di una volta, anche con l’Italia – ma senza decidersi ad accettare che anche altri abbiano una voce in capitolo nelle decisioni a riguardo.
A ben guardare, si tratta in sostanza di quanto fanno anche gli Usa, allorché pretendono dagli alleati europei un maggior contributo allo sforzo di difesa comune rifiutandosi però di associare al diverso “burden sharing” un corrispondente differente “power sharing” .Tanto nel caso Usa, in parte comprensibile per la grande differenza di taglia fra Stati Uniti e alleati, che in quello francese, ben più difficilmente accettabile, un discorso potenzialmente foriero di nuove prospettive si arena così immediatamente, divenendo un dialogo fra sordi.
Da chiedersi, a questo punto, se alla Francia non converrebbe ormai rinunciare a una “grandeur“ che ha fatto il suo tempo e scoprirsi autenticamente europea, aprendo la gestione di problemi che ormai superano nella maggior parte dei casi la sua portata a soluzioni che non siano solamente franco/françaises ma si adattino invece a una gestione congiunta da parte di forze dell’Unione e nel suo ambito.
Si tratta di una via che sempre più appare quale l’unica percorribile a tutto il resto dell’Unione e che consentirebbe a Parigi di continuare a rivestire un ruolo di rilievo, anche se non più il primo, in ambito Ue, restando nel contempo il riferimento dell’intera Europa allorché si parla di Difesa.
Ma forse la Francia è ancora troppo gaullista per rinunciare a tutti quei sogni che l’idea di “grandeur” comporta, imparando a vivere con realismo una situazione internazionale ben diversa da quelle che dovette a suo tempo affrontare il Generale.