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Oggi Consiglio europeo straordinario

Proteste da record in Bielorussia, ma Lukashenko non cede (e schiera l’esercito)

19 Ago 2020 - Eleonora Febbe - Eleonora Febbe

Più di 200mila persone sono scese in piazza contro il presidente Aleksandr Lukashenko, domenica 16 agosto a Minsk: un decimo degli abitanti della capitale della Bielorussia. Numeri da record per un Paese che, solo tre mesi fa, sembrava rassegnato all’ennesima vittoria di Lukashenko, il padre-padrone del Paese in carica dal 1994.

E numeri che smentiscono anche chi aveva inizialmente considerato le proteste come l’espressione di un’esigua minoranza borghese, europeista e neoliberale: gli operai di molte tra le più grandi fabbriche bielorusse sono entrati in sciopero. Non solo, mentre Lukashenko visitava una fabbrica di trattori, è stato ripetutamente ridotto al silenzio dai cori dei lavoratori che gli davano del bugiardo e lo invitavano a dimettersi.

Per ora, però, “l’ultimo dittatore d’Europa” non ha intenzione di farsi da parte, anche se durante il discorso in fabbrica ha fatto una piccola concessione, dicendo di essere pronto a nuove elezioni solo dopo una riforma della Costituzione, ma non adesso. Le massicce proteste contro Lukashenko – spesso represse con la violenza, stigmatizzata dalle reazioni della comunità internazionale, fanno seguito al risultato delle consultazioni contestate del 9 agosto scorso, che gli avrebbero dato – secondo i numeri ufficiali diffusi dal governo – oltre l’80% dei consensi. Nello stesso discorso, però, il presidente ha anche dichiarato provocatoriamente di non essere pronto a piegarsi alle richieste dei manifestanti, “fino a quando non mi ucciderete”. E annuncia di aver schierato le unità di combattimento dell’esercito – in attesa di ordini – lungo il confine occidentale del Paese

Lukashenko continua quindi a soffiare sul fuoco, agitando ancora di più una popolazione già indignata dalle oltre 7mila persone incarcerate durante le proteste e in molti casi torturate in prigione, per l’uso di proiettili – di gomma ma non solo – sulla folla e per la morte di due manifestanti.

Svetlana Tikhanovskaya, una leader in esilio
Nel frattempo, la sua sfidante alle elezioni, la trentasettenne Svetlana Tikhanovskaya, non ha perso tempo e ha pubblicato su YouTube un appello alla popolazione bielorussa in cui si dichiara pronta ad assumere la responsabilità di guidare il Paese verso la normalità. Toni nettamente diversi da quelli utilizzati nel video girato prima di lasciare Minsk alla volta della Lituania, probabilmente sotto spinta delle autorità, in cui chiedeva ai suoi sostenitori di accettare il risultato ufficiale delle elezioni.

Se originariamente era scesa in politica in sostituzione del marito, il blogger e attivista Siarhei Tikhanovsky, arrestato due giorni dopo aver annunciato la sua candidatura alle presidenziali e ancora in carcere, con questo messaggio Tikhanovskaya si impone come leader a pieno titolo

Anche dal suo esilio a Vilnius,Tikhanovskaya rappresenta quindi una figura di riferimento per l’opposizione nel triumvirato al femminile composto da lei, Veronika Tsepkalo – anche lei moglie di un candidato estromesso dalle elezioni – e Maria Kolesnikova – responsabile della campagna elettorale di un terzo candidato estromesso -. Opposizione che però si è rivelata anche piuttosto autogestita, organizzandosi per le proteste tramite Telegram, nonostante i tentativi del governo di bloccare Internet nel Paese.

Un delicato compito per Putin 
Difficile non interrogarsi sul possibile ruolo del presidente russo Vladimir Putin nella vicenda bielorussa, soprattutto visto che lo stesso Lukashenko avrebbe cercato il supporto militare di Mosca per risolvere la situazione. Il Cremlino si è detto pronto a offrire aiuto in nome dell’alleanza tra i due Paesi, ma senza scendere nei dettagli.

Di fatto, con un sostegno prolungato a un leader altamente impopolare, e un eventuale intervento militare – esattamente come in Ucraina nel 2014 – la Russia rischia di inimicarsi definitivamente l’intera società bielorussa. Inoltre, i sei anni di conflitto nel Donbass sono costati cari a Mosca da tutti i punti di vista, ed è difficile che Putin voglia invischiare il Paese in un’altra guerra simile.

Paradossalmente, un intervento russo potrebbe alimentare per contrasto un sentimento pro-Ue e pro-Nato, finora non presente nelle manifestazioni bielorusse, al contrario della piazza ucraina EuroMaidan. Più che difendere Lukashenko, alla Russia interessa soprattutto mantenere il governo bielorusso – non importa se vecchio o nuovo – nella sua orbita, e l’avvicinamento di mezzi russi al confine con la Bielorussia potrebbe essere un mezzo per farlo capire sia a Minsk sia a Bruxelles.

La reazione dell’Unione europea
Dal lato dell’Unione europea la risposta è inizialmente arrivata dagli Stati membri geograficamente più vicini alla Bielorussia, in particolare dalla Lituania, che ha cercato di proporsi come leader regionale. Oltre a ospitare Tikhanovskaya, il 14 agosto Vilnius ha rilasciato, insieme ai governi di Estonia, Lettonia e Polonia una dichiarazione congiunta con la richiesta di interrompere le violenze verso i manifestanti.

La dichiarazione dell’Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza Josep Borrell è arrivata dopo le proteste di domenica e afferma il supporto dell’Unione al desiderio di cambiamento dei cittadini bielorussi. Borrell sottolinea anche, come già dichiarato dopo la riunione dei ministri degli Esteri di venerdì scorso, che l’Ue sta preparando sanzioni contro i responsabili delle violenze.

La questione bielorussa sarà discussa nel Consiglio europeo straordinario convocato dal presidente Charles Michel per questa mattina. Michel ha anche dichiarato che le violenze contro i manifestanti sono inaccettabili e non possono essere ulteriormente permesse.