Karlsruhe contro Francoforte
Il 5 agosto è scaduto il termine di tre mesi dettato dalla Corte Costituzionale tedesca a governo e Parlamento per ottenere dalla Bundesbank un rapporto che dimostri la legittimità e opportunità (“proporzionalità”) del programma di acquisti di titoli pubblici avviato da Mario Draghi nel 2015. Pena il divieto alla Banca centrale stessa di continuare a partecipare al Ppsp, ed eventuale invito al governo ad adoprarsi per la totale cessazione del programma.
Come si ricorderà, la sentenza emessa il 5 maggio, con cui venivano in buona parte accolti dei ricorsi di alcuni politici tedeschi di destra, aveva destato scalpore in quanto stigmatizzava duramente l’operato di due istituzioni indipendenti per antonomasia: la Banca centrale europea e la Corte di Giustizia dell’Ue. Ad entrambe imputava di aver travalicato le proprie competenze: la prima per non essersi limitata a perseguire finalità di politica monetaria (inflazione sotto il 2%), la seconda per aver risposto ad un quesito posto dagli stessi giudici di Karlsruhe in modo “arbitrario”, cioè valutando acriticamente il comportamento della Bce.
Accusando le due istituzioni sovranazionali di avere violato la Costituzione tedesca, la Corte era sembrata rovesciare il principio del primato del diritto comunitario. In realtà, dall’analisi della sentenza emerge un ragionamento meno drastico, ma comunque discutibile: fino a quando l’Ue diventerà uno stato federale, legittimato democraticamente, il trasferimento di sovranità rimane parziale, non annulla quindi le residue prerogative delle istituzioni nazionali. Il primato non viene negato, ma relativizzato.
Ciò significa che Karlsruhe si riserva di controllare se gli organi dell’Unione agiscono ultra vires, ma solo se l’invasione di campo risulta “evidente” e lede in misura sostanziale i diritti degli stati. In altre parole, le violazioni imputate ai banchieri di Francoforte e ai giudici di Lussemburgo sarebbero state gravi.
Questa presa di posizione gradita ai sovranisti aveva provocato imbarazzo e probabilmente irritazione alla Cancelliera Angela Merkel. La sua allieva Ursula von der Leyen era arrivata ad ipotizzare una procedura di infrazione contro Berlino. Entrambe, e così pure la terza donna alla guida dell’Europa, Christine Lagarde, si sono mostrate decise a non lasciarsi imbrigliare dai giudici costituzionali. Per ottemperare alla loro richiesta, la Bundesbank ha ottenuto nuovi documenti sulle consultazioni del direttivo della Bce, e su questa base ha attestato la correttezza del suo operato.
Ma non è detto che la questione sia chiusa con una semplice autocertificazione. Intanto perché questa verrà probabilmente contestata dagli autori dei ricorsi. Ma anche perché la pronuncia di Karlsruhe fornisce munizioni ai rigoristi in seno alla Cdu, che potrebbero in futuro tornare alla carica se per effetto delle iniezioni di liquidità della Bce e dei maxi-crediti del Recovery Fund i Paesi già molto indebitati, in primis l’Italia, si lasceranno andare a una crescita eccessiva dei deficit di bilancio.
Più ancora che una censura all’operato di Draghi, la sentenza di Karlsruhe è una messa in guardia che Berlino e Francoforte non potranno ignorare: il Ppsp ha sin qui violato il criterio di “proporzionalità“; non viene definito illegale solo perché non ha formalmente violato il preciso divieto di finanziare il deficit dei bilanci statali, avendo rispettato le condizioni (acquistare titoli sul mercato secondario e non nuove emissioni); non favorire singoli Stati più indebitati, e quindi distribuire le risorse in proporzione al Pil di ciascuno; non superare il 33% del debito di ogni singolo Stato.
Ciò significa che se uno di questi paletti venisse in futuro calpestato dal nuovo Pepp (ad esempio acquistando più Btp italiani per calmierare lo spread), la Bce si troverebbe sul terreno della illegalità e la Bundesbank sarebbe tenuta a interrompere la propria partecipazione. Karlsruhe chiede inoltre che il divieto di finanziare i deficit statali venga rafforzato: l’emittente non deve avere la certezza che la Bce assorbirà i titoli emessi da poco, né che li terrà fino alla scadenza (deve ogni tanto venderne).
Se i suddetti paletti costituiscono un limite oggettivo al salvataggio di Paesi troppo indebitati mediante iniezioni di liquidità selettive, l’interpretazione riduttiva del mandato della Bce dettata dai giudici di Karlsruhe non dovrebbe invece destare troppe preoccupazioni: è infatti basata su una distinzione teorica difficilmente applicabile nella pratica, fra misure di politica monetaria (unico compito della Bce) e finalità di politica economica (vietate).
Secondo la Corte, la Bce dovrebbe anzi, nell’adottare misure monetarie, valutarne attentamente le conseguenze economiche (sull’indebitamento ulteriore degli stati, i redditi da risparmio, il mantenimento in vita di imprese decotte, la creazione di bolle nei mercati immobiliari e azionari, ecc…), intese come “danni collaterali” da contenere quanto possibile, rispettando il sacro principio della proporzionalità.
Nell’attuale congiuntura queste istanze rigoriste sono destinate ad essere scavalcate dall’esigenza di uscire dalla recessione, ma a medio termine, quando la Germania tornerà ad avvicinarsi al pareggio di bilancio, sarà bene che l’Italia non si illuda di poter contare in via permanente sul “whatever it takes“.