Obiettivo Usa: l’Iran con le spalle al muro
L’affossamento dell’accordo Jcpoa (Joint Comprehensive Plan of Action) sul nucleare iraniano rimarrà uno dei pochi risultati di politica estera che il presidente Donald Trump potrà offrire alle prossime elezioni presidenziali. Non vi sarà nulla di cui vantarsi. Dopo quattro anni l’unico risultato è che egli è riuscito a silurare uno dei pochi successi raggiunti negli ultimi anni nel settore del disarmo e della non proliferazione nucleare.
Nel 2015 la comunità internazionale era riuscita a bloccare gli aspetti più preoccupanti del programma nucleare iraniano e a sottoporli a un controllo ferreo senza precedenti. A due anni dall’uscita dell’America dall’accordo ciò che raccoglie è che l’Iran si sta progressivamente svicolando dai suoi impegni avvicinandosi nuovamente a capacità nucleari più critiche. La classe dirigente moderata che aveva gestito il negoziato è stata sconfessata aprendo la strada al rischio di interlocutori più oltranzisti. I dirigenti attuali non chiedevano di meglio che di avvicinarsi, attraverso un primo accordo nella sfera occidentale.
Ora questi non hanno altra scelta che quella di ricadere nell’orbita della Russia e della Cina. La politica sanzionatoria della “massima pressione” non ha portato affatto all’accettazione da parte dell’Iran a quella nuova intesa con Teheran che Trump aveva preconizzato all’inizio del suo mandato.
Iran spalle al muro
Oggi, nonostante questi fallimenti, l’Amministrazione Trump intende perseverare, nell’intento di mettere l’Iran con le spalle al muro. Il mese scorso gli Usa sono riusciti a riaprire, in seno all’Agenzia internazionale sull’energia atomica (Aiea) di Vienna, una questione del passato riguardante le “attività pregresse” dell’Iran in campo militare nucleare, la quale in realtà era già stata risolta tra l’Iran e l’Aiea in concomitanza con la conclusione dell’accordo Jcpoa.
Nei giorni scorsi non gli è andata così bene alle Nazioni Unite, nell’ambito delle quali gli Usa sono tornati alla carica prendendo questa volta di mira la disposizione del Jcpoa che prevede il decadimento dell’embargo sulle forniture di armi per e dall’Iran allo scadere dei 5 anni dalla stipula dell’accordo. Originariamente, l’Amministrazione Usa aveva proposto al Consiglio di Sicurezza un progetto assai più punitivo. Prevedendo un fiasco, la delegazione americana all’Onu ha dovuto correggere il tiro proponendo un nuovo testo che si limitava a una proroga dell’embargo. Ma per quanto annacquato, il testo è stato ugualmente bocciato facendo fare agli Usa una magra figura.
Iniziativa rischiosa degli Usa
Ma l’amministrazione Trump non si vuole dare per vinta e intende perseverare in una partita che appare persa in partenza. Pur essendo uscita dall’accordo Jcpoa – essendo quindi in violazione della risoluzione 2231 del Consiglio di Sicurezza che lo recepisce e che è tuttora in vigore – l’amministrazione Trump ha ora in animo di invocare una disposizione dell’accordo Jcpoa che prevede una riattivazione (“snapback“) di tutte le sanzioni nel caso che una delle parti ritenga che l’Iran non si stia attenendo all’accordo.
In sostanza gli Usa intenderebbero invocare una disposizione punitiva contro l’Iran per non attenersi a un accordo che essi stessi stanno violando, di cui non sono più parte e che impediscono agli altri di rispettare. Una iniziativa così costruita rischia di ricevere un’ulteriore bocciatura. La Cina e la Russia hanno già preannunciato il loro veto. Anche i più accodanti tre Paesi europei che hanno sottoscritto l’accordo Jcpoa (Francia, Gemania e Regno Unito) hanno preso le distanze da un’iniziativa così rischiosa.
Cosa c’è in gioco
In gioco non vi è solamente la questione della rimozione dell’embargo delle armi all’Iran. Nessuno stato sarà obbligato a vendere o acquistare armi dall’Iran. Esitono comunque norme nazionali e internazionali che non consentono il commercio armamentistico con l’Iran in relazione anche al suo coinvolgimento nel conflitto in Yemen (lo stesso dovrebbe valere per l’Arabia Saudita). Ciò che è soprattutto in questione è il rispetto delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza.
Nessuno più che un membro permenente dovrebbe avere interesse a che il principio pacta sunt servanda si applichi alle risoluzioni del CdS. La risoluzione 2231 votata all’unanimità e tuttora in vigore, è vincolante per tutti nella sua interezza. Non è possibile che gli Usa invochino l’applicazione di un sua singola disposizione allorchè essi stessi hanno denunciato l’intero accordo e si rifiutano di applicare nella sua interezza la risoluzione dell’Onu che lo ufficializza.
L’Europa nel suo insieme – non solo i tre firmatari dell’accordo Jcpoa – deve continuare a mantenere la barra dritta e scoraggiare Washington dal perseguire un sentiero così strampalato.