La partita delle sanzioni extraterritoriali Usa su Nord Stream 2
Lo scorso 30 luglio il Segretario di Stato Usa Mike Pompeo ha affermato che gli Stati Uniti faranno tutto ciò che è in loro potere per assicurarsi che il gasdotto Nord Stream 2 non venga ultimato, a tutela dell’indipendenza energetica dell’Europa dalla Russia – che aumenterebbe l’esportazione di gas naturale di 55 miliardi di metri cubi l’anno. Il gasdotto rappresenta una “trappola russa“, secondo il senatore repubblicano del Wyoming John Barrasso, che rischia di mettere in pericolo la sicurezza del Vecchio continente nel caso Mosca decidesse di bloccare l’erogazione di gas naturale.
Anche se il progetto è giunto ormai quasi al termine, poiché resta da completare l’ultimo tratto di 160 chilometro, ossia il 5% dell’intero condotto che collegherebbe le spiagge russe di Ust-Luga a quelle tedesche di Greifswald, sembra chiara la determinazione di Washington a fare in modo che ciò non avvenga. Ma come?
La partita delle sanzioni
Il 20 dicembre 2019 il presidente Usa Donald Trump ha firmato il National Defense Authorization Act for Fiscal Year 2020 che includeva il Protecting Europe’s Energy Security Act del 2019, attraverso il quale minacciava di colpire con sanzioni extraterritoriali le navi coinvolte nella posa dei tubi di Nord Stream 2 sul fondale marino, a più di 30 metri di profondità. Di fronte al rischio di essere inseriti nella lista nera del Dipartimento del Tesoro, la società svizzero-olandese Allseas aveva ritirato a dicembre 2019 le proprie navi specializzate. Sebbene ciò abbia ritardato il completamento del gasdotto, l’intervento della nave russa Akademik Cherskij sembrava aver risolto il problema delle pressioni da Oltreoceano.
Tuttavia, lo scorso 15 luglio, il Dipartimento di Stato, modificando le linee guida relative a una normativa preesistente, ha alzato la posta in gioco, rimettendo in discussione il completamento del gasdotto. La sezione 232 del Countering America’s Adversaries Through Sanctions Act del 2017 prevede l’imposizione di sanzioni extraterritoriali con efficacia retroattiva a individui/entità che svolgono certi investimenti sui condotti russi per l’esportazione di energia.
La novità è che mentre prima del 15 luglio l’interpretazione della normativa aveva carattere restrittivo, escludendo in tal modo Nord Stream 2 e Turkstream, ad oggi ha assunto carattere estensivo, coprendo (1) tutti gli investimenti effettuati dopo il 2 agosto 2017 e di valore superiore a 1 milione di dollari per singola operazione o 5 milioni di dollari in un anno, che potenziano le capacità della Federazione russa di esportare energia, nonché (2) vendita, affitto o fornitura di beni e servizi che facilitano l’espansione, costruzione o modernizzazione dei condotti energetici. In tal modo rientrano nel mirino americano in primis le cinque società energetiche europee coinvolte: Engie (Francia), Omv (Austia), Shell (Olanda/Regno Unito), Uniper (Germania) e Wintershall (Germania); né è da escludere la designazione delle autorità europee che eventualmente concedano licenze o autorizzazioni ministeriali per la realizzazione del progetto o per la fornitura di materiali.
La risposta europea
L’Alto rappresentante per la politica estera e la sicurezza comune Josep Borrell ha manifestato, in una dichiarazione del 17 luglio, il dissenso sull’impiego da parte degli Usa di sanzioni extraterritoriali che danneggiano gli interessi europei, come avvenuto prima su Cuba e Iran e più di recente sulla Corte penale internazionale e i gasdotti Nord Stream 2 e Turkstream. Borrell ha definito questa condotta una violazione del diritto internazionale.
Sin dall’inizio del suo mandato, Josep Borrell ha messo in chiaro che l’Unione europea dovrà imparare il linguaggio del potere, promuovendo una propria politica, slegata da quella delle superpotenze. Su questa linea, ha reso noto che la Commissione sta lavorando su un meccanismo che potenzi la resilienza dell’Ue alle sanzioni Usa. Ancora non si sa quale esso sia, ma si escludono le contro-sanzioni.
Tra le probabili soluzioni, vi è l’inserimento della suddetta normativa Usa nell’Allegato I al cosiddetto “Regolamento di Blocco” che rende illecito conformarsi alle normative sanzionatorie extraterritoriali in esso contenute. Tuttavia, in passato tale meccanismo si è rivelato inutile – se non controproducente – sia nel tutelare gli operatori europei a Cuba sia, più di recente, quelli in Iran. È stata avanzata anche la possibilità di uno scudo finanziario a protezione delle imprese europee coinvolte nel progetto, ma l’impegno richiesto sembra poco sostenibile in questo momento storico e difficilmente raccoglierebbe i consensi richiesti.
Un pericoloso tiro alla fune
Se da un lato Bruxelles è persuasa da Mosca per la possibilità di ottenere l’accesso a maggiori risorse energetiche, dall’altro è dissuasa da Washington a legarsi “a doppio filo” alla Russia sia per ragioni geopolitiche sia per questioni di opportunità economiche, visto che gli Usa stanno spingendo per la vendita di gas di scisto come fonte energetica alternativa.
Nord Stream 2 coinvolge, anche indirettamente, 120 imprese di 12 Stati europei, guidati dalla Germania e, in particolare, dai forti interessi economici verso Est del partito socialdemocratico tedesco e dell’associazione di industriali Ost-Ausschuss. All’interno della stessa Ue vi è, però, una solida opposizione composta dai Paesi del Blocco di Visegrád – che dal nuovo condotto perderebbero le entrate derivanti dai diritti di transito pagati da Gazprom – e da chi, come Polonia e Lituania, sta investendo in diversificazione, costruendo infrastrutture per l’impiego del gas liquefatto statunitense.
L’Ue si trova al centro di un pericoloso tiro alla fune che, se può portare guadagni in termini di offerta energetica, rischia di spezzarsi, qualora gli Stati membri non dimostrassero sufficiente unità, come d’altronde ci ha insegnato la crisi ucraina del 2014.
Questa pubblicazione fa parte di una serie realizzata in collaborazione con lo Studio Legale Padovan.