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COVID, ECONOMIA E DIRITTI

Economia e diritti: e se superassimo la crisi azzerando il gender gap?

13 Ago 2020 - Lucia Conti - Lucia Conti

La crisi globale causata dal Covid-19 sta aggravando contraddizioni sistemiche e disuguaglianze preesistenti. Con la pandemia, sta per esempio peggiorando una forma di discriminazione che da sempre colpisce la metà della popolazione mondiale: quella di genere.

In una recessione economica che alcuni hanno definito la peggiore degli ultimi cento anni, e che di sicuro affligge tutti in modo drammatico, circa il 60% delle donne al mondo stanno guadagnando e risparmiando ancora meno e sono più esposte al rischio di tornare vittime dell’economia sommersa, primo motore del precariato.

Le donne nell’imprenditoria
Mentre la crisi si abbatte sulle filiere e sui mercati, anche nell’imprenditoria le donne perdono ulteriore terreno a causa del gender gap.

Metà delle imprese a conduzione femminile, solo nella regione euro-mediterranea, hanno dovuto sospendere tutte le loro attività e questa situazione rischia di cancellare anni di affermazione e di progressi all’interno del settore. Ma siamo sicuri che tutto questo sia un problema solo per le donne?

La web-conference dell’Unido
Molti attori pubblici e privati, istituzioni, imprese e agenzie internazionali stanno riconsiderando il gender gap come un ostacolo economico, oltre che come un’ingiustizia.

In questa direzione si è mossa ad esempio la web conference internazionale “Women in Industry and Innovation“, organizzata dall’Unido (l’Organizzazione delle Nazioni Unite per lo Sviluppo Industriale) insieme a UN Women, Fao e al governo Italiano.

Tra il 15 e il 17 luglio, la conferenza ha raggiunto più di 130 Paesi e il programma ha incluso discussioni a tema sull’affermazione femminile nell’agribusiness, nella tecnologia e nell’economia circolare.

I 56 speaker della conferenza sono stati tutti concordi nel ritenere che la disuguaglianza di genere in questi settori non solo sia ingiusta, ma stia anche esponendo il pianeta e l’umanità a sfide sempre più ingestibili.

Quanto costa discriminare le donne in Europa
In rappresentanza della Commissione Europea Signe Ratso ha spiegato che più donne nel settore digitale potrebbero creare un incremento di ben 16 miliardi di euro all’anno di Pil, a vantaggio dell’intera Unione.

Al momento nei settori scientifici e tecnologici le donne restano in minoranza, a causa soprattutto di una serie di fattori culturali e sociali rilevati anche dal Comitato economico e sociale europeo (Cese).

Ci sono in realtà moltissimi talenti femminili nella tecnologia e alcuni di loro hanno preso parte alla Conferenza dell’Unido, promuovendo un nuovo modello di economia globale e inclusiva.

Etica come un fattore economico
Mona Itani, ingegnere e fondatrice di Riyada for Innovation, forma tecnologicamente moltissimi giovani allo scopo di creare una nuova generazione di innovatori socialmente responsabili.

Megan Reilly Cayten si occupa di temi ambientali ed è una consulente sulle risorse sostenibili per investitori e imprese, che guida verso modelli di business che non contribuiscano alla catastrofe ecologica.

Amel Saidane, esperta di innovazione e leader responsabile della Fondazione Bmw, ritiene che l’approccio più multidimensionale che sequenziale delle imprenditrici sia particolarmente adatto alla rivoluzione digitale, che sarà sempre più legata a organizzazioni orizzontali e fluide.

Liat Shentser, che guida l’espansione della multinazionale Cisco a livello mondiale ed è la prima donna ad aver fatto parte del relativo team dirigenziale di ingegneria virtuale globale fa un ragionamento analogo, legandolo all’intelligenza emotiva.

Lisa Di Sevo, presidente della no-profit SheTech, dal 2016 ha già raccolto 45 milioni di euro.

Che si debba far leva sulla “convenienza dell’equità” può sembrare e di fatto è molto triste, ma il pragmatismo è indispensabile in una fase storica che rischia di rendere più difficile la vita di tutti e disperata quella di chi è già marginalizzato.Potrebbe dunque non essere sbagliato indicare nella tutela dei diritti e del pianeta anche un indifferibile bisogno economico, oltre che un imperativo etico.

Come ci comporteremo quando tutto sarà finito?
In realtà per risolvere il problema del gender gap bisognerebbe partire da questa crisi, più che fare buoni propositi per il futuro. Le donne non dovrebbero essere escluse dalla ripresa, cominciando dalla reale accessibilità dei pacchetti di soccorso finanziario stanziati durante il Covid-19.

Si dovrebbero poi utilizzare i cosiddetti “dati disaggregati per genere” per monitorare i progressi di un Paese, allo scopo di comprendere meglio la situazione reale di una società, fotografata nelle sue disuguaglianze effettive. Si dovrebbe, infine, includere il contributo femminile nei processi decisionali, perché non esiste uguaglianza senza rappresentatività.

Oltre a ripagare con la moneta dell’emarginazione chi è in prima linea nella lotta al virus ed è spesso maggiormente esposto al rischio del contagio, come accade alle donne che operano nei settori sanitari e socio-sanitari, l’umanità sta rinunciando, di fatto, al supporto di metà della popolazione mondiale.

Ed è questo il messaggio di luglio delle Nazioni Unite. Provare a invertire la tendenza significa andare verso il futuro e quindi verso nuove soluzioni, risorse e opportunità per tutti, uomini e donne.