Crisi tunisina e migrazioni: miti e realtà
Il ritorno delle partenze di migranti dalla Tunisia nell’ultimo periodo ha riacceso l’attenzione della politica e dell’opinione pubblica italiana su tale fenomeno, con punte di isteria ed eccesso, come mostrato dal paragone con l’Albania degli anni ’90 o con l’idea di una presunta invasione di tunisini pronti a stabilirsi in Italia.
Che la Tunisia stia affrontando un crinale complicato è innegabile. E sottovalutarlo sarebbe altrettanto fuorviante. Vi è una profonda crisi economica, e un’altrettanta difficile crisi politica. Sebbene la pandemia sia stata contenuta, gli effetti del confinamento e della crisi globale stanno avendo effetti devastanti. Per il Fondo Monetario Internazionale, la Tunisia avrà una contrazione del Pil del 4.3%, mentre per altri il crollo sarà intorno al 7%. In ogni caso, la peggior recessione nella storia della Tunisia indipendente. Ciò arriva dopo anni di problemi economici dovuti all’onda lunga della stagione degli attentati del 2015, che ha messo in ginocchio paese.
Vi è poi la crisi politica: un parlamento diviso e litigioso, con il suo Presidente, l’islamista e leader storico di EnNahda, Rached Ghannouchi, salvato dai voti di Qalb Tunis del suo ex nemico Nabil Karoui. I problemi tra EnNahda e Elyes Fakhfakh hanno portato alle dimissioni di quest’ultimo, e sullo sfondo vi è lo scontro sistemico tra il presidente Kais Saied e Ghannouchi. La scelta del ministro degli interni uscenti, Hichem Mechichi, come nuovo primo ministro risponde alla logica di Saied di voler fare un “governo del Presidente”, limitando il ruolo delle forze parlamentari e puntando sul fatto di essere il politico più popolare nel paese. Ma, senza uomini propri in Parlamento, Saied avrà difficoltà a portare avanti questa idea.
Questo è lo sfondo politico ed economico in cui le partenze sono riprese. Certamente, una situazione difficile. Però, da qui a dire che la Tunisia sia al collasso e che i migranti tunisini siano pronti a invadere l’Italia e l’Europa, ce ne passa.
Numeri, fronti e logiche
Se guardati in prospettiva storica, i numeri non sono estremi – si pensi, ad esempio, alle partenze del periodo 2011 e 2012. Che nell’ultimo periodo vi sia stato un incremento sostanziale delle partenze – con un’evoluzione problematica nella logistica di tali partenze, visto che sono sempre di più i casi di piccole imbarcazioni private – è innegabile, ma va visto nella logica di riapertura post-confinamento.
Inoltre, con l’aumento delle proteste e la crisi istituzionale, le forze di sicurezza si trovano a gestire fronti diversi con una catena di comando politico in transizione. Queste partenze interessano tante aree del Paese, rendendo ancora più complesso il controllo costiero: Zarzis, Sfax, Sousse, Nabeul, isole Kerkenna, e in misura relativamente minore, Biserta.
Su logiche e le motivazioni di tali migrazioni, vanno fatti una serie di passaggi chiarificatori. La Tunisia non è più solo Paese di partenza, ma sempre di più anche Paese di arrivo o hub per migranti proveniente dal resto dell’Africa. Partendo dall’ultimo punto, la struttura demografica tunisina sta diventando sempre di più simile a quella europea. In particolar modo nei centri urbani vi è un numero crescente di immigrati sub-sahariani che si fermano per lavorare, o arrivano temporaneamente per poi provare il viaggio verso l’Europa. Nel lungo periodo, questa probabilmente sarà una sfida significativa, sia per la Tunisia che per l’Europa. Inoltre, dal 2011 in poi, si è stato un afflusso notevole di libici, con alcune aree in cui questa presenza è sempre più visibile: basti pensare ai quartieri di el-Nasser e al-Aouina a Tunisi.
Diverse realtà in viaggio
Vi è poi la questione dei tunisini che lasciano il Paese. Ma, anche in questo caso, l’idea di orde di tunisini pronti a invadere l’Italia per stabilirsi, stimolati dalla regolarizzazione promossa durante la crisi, non ha molta attinenza con la realtà. La migrazione tunisina è molto variegata. La crisi economica certamente spinge famiglie intere a provare il viaggio, ma sono ancora eccezioni più che la regola.
Vi è la realtà dei cervelli in fuga, vera emergenza di lungo periodo, dei tunisini laureati, che però raramente approdano in Italia, ma emigrano con altri percorsi in Francia, Canada e Germania. Vi è poi il cosiddetto popolo degli haraga, i migranti che provano ad arrivare con imbarcazioni di fortuna. Anche qui, con profili diversi: vi sono i tunisini del sud e delle zone interne, che provano a fuggire data la situazione di crisi economica perenne di questi territori, storicamente svantaggiati, e la discriminazione socio-culturale che affrontano; vi sono poi i giovani poco istruiti che campano alla giornata delle periferie urbane, la figura dell’houmani (ragazzo di quartiere) popolarizzata dal hip-hop tunisino post-rivoluzione, sorta di versione tunisina degli hittisti algerini degli anni ’90; vi sono poi tunisini, spesso poco più che ventenni, che vedono il viaggio in Italia come un’avventura e sorta di rito di passaggio all’età adulta, viaggio che parenti hanno fatto ciò in passato quando era più facile muoversi.
Per i migranti economici tunisini, l’Italia non è necessariamente approdo, ma spesso passaggio verso altri luoghi, e chiaramente il fenomeno deve essere visto in un un’ottica europea, non solo italiana. Ma creare allarmismi, alimentare paranoie o sostenere l’idea che vi sia un’invasione in atto, non solo è sbagliato in sé, ma non aiuta neanche ad approntare risposte politiche serie ed efficaci a una questione che, in un modo o nell’altro, continuerà a essere sul tavolo nei prossimi anni.