Come cambia la strategia degli Stati Uniti fra Mar della Cina e Mediterraneo
Il duro statement del Dipartimento di Stato americano inchioda la Cina alle sue responsabilità per le ambigue rivendicazioni nel Mar cinese meridionale (Mcm). Più sfumata, invece, la posizione di Washington verso le pretese turche nel Mediterraneo. Tra i due casi c’è un comune filo conduttore: l’applicazione della Convenzione del diritto del mare del 1982 (Cnudm), ed in particolare la sua disciplina delle isole. Proprio sulle isole si gioca, in entrambi gli scenari, una partita volta ad acquisire spazi di alto mare e sfruttamento di risorse. Esse sono avamposti in prossimità delle Filippine, per la Cina; eccezioni geografiche (perché greche e perché troppo vicine alle proprie coste) per la Turchia. Mentre per il Mcm non s’intravedono soluzioni a breve, nel Mediterraneo Ankara ha sospeso lo scorso 28 luglio le attività offshore in vicinanza di Kastellorizo.
Impero marittimo cinese
Gli Stati Uniti ritengono che la Cina consideri il Mcm il suo “impero marittimo”, imponendo il proprio volere in modo illegittimo; per questo Washington approva la decisione del 2016 del Tribunale arbitrale innanzi al quale le Filippine hanno citato la Cina nell’ambito della procedura per la soluzione delle controversie relative alla Cnudm di cui la Cina è parte.
In discussione sono la miriade di scogli disabitati o emergenti a bassa marea delle formazioni insulari come le Spratly e le Paracels, di cui Pechino pretende il possesso, costruendovi anche strutture fisse, in modo da poter reclamare spazi di acque territoriali e Zona economica esclusiva (Zee).

Il Tribunale arbitrale, in assenza della Cina non costituitasi nel procedimento, ha stabilito in particolare che 1) i diritti pretesi da Pechino nella cosiddetta “Nine Dash Line“ (linea dei nove tratti) esulano dall’ordinario regime della Cnudm e non trovano fondamento in consolidati titoli storici; 2) le scogliere affioranti a bassa mare su cui Pechino ha costruito installazioni (spesso di natura militare), non possano avere propri spazi marittimi.
In relazione a tale pronuncia, Washington svolge sistematicamente operazioni navali nel Mar cinese meridionale per affermare la libertà di navigazione nelle aree di acque territoriali illegittimamente pretese dalla Cina, operando anche congiuntamente con Australia, India e Giappone nell’ambito del Quadrilateral Security Dialogue (Quad).
Turchia contro Grecia
A differenza di quanto accade nel Mcm, gli Stati Uniti non hanno mai assunto posizioni nette nei confronti di Grecia e Turchia, i due contendenti della disputa dell’Egeo, tranne schierarsi a favore di Cipro nel contenzioso del Mar di Levante.
La controversia greco-turca riguardava in origine la sola piattaforma continentale dell’Egeo, mentre ora si è allargata alla zona economica esclusiva dell’intero Mediterraneo orientale coinvolgendo anche Cipro ed Egitto. Negli anni Settanta del secolo scorso, il tentativo della Grecia di portare il caso avanti alla Corte internazionale di giustizia (Cig) si era infranto nel 1978 per la volontà della Turchia di risolverlo con negoziato bilaterale.

Alla base di tutto c’è sempre il problema della titolarità delle isole ad essere assimilate alla terraferma ai fini della definizione di un confine marittimo di equidistanza. Assediata dalle isole greche vicine alle sue coste come Kastellorizo, la Turchia immagina soluzioni che riducano gli spazi marittimi di queste e le consentano di spingere la sua Zee verso il largo.
La questione degli spazi marittimi delle isole è dibattuta a livello dottrinario; varie sono tuttavia le pronunce di corti internazionali che riducono il loro effetto sulle delimitazioni. Non a caso, nella citata dichiarazione statunitense per il Mcm, si condannano le pretese cinesi a spazi marittimi al di là delle acque territoriali delle Spratly.
Navigazione nell’Egeo
In passato, Ankara aveva obbedito ai diktat statunitensi di non alterare lo status quo dell’Egeo. Oggi, spinta dall’assertività cipriota (che non fa parte della Nato), ha deciso di giocare la partita con la Grecia più a sud, definendo un confine della Zee con Tripoli che tiene conto solo delle attuali 6 miglia di acque territoriali delle isole greche.
Atene, oltre ad immaginare una sua grande Zee dal confine con l’Italia ad Egitto e Cipro, potrebbe essere tentata di usare l’arma letale dell’allargamento a 12 miglia delle acque territoriali. Gli effetti di questa decisione (già prevista dalla Grecia in sede di ratifica della Cnudm) sarebbero devastanti in termini di libertà di navigazione. Il transito nell’Egeo subirebbe limitazioni, per via della scomparsa di vaste porzioni di alto mare negli stretti tra un’isola e l’altra. La Turchia verrebbe invece ancor più confinata nel Mar Nero e lungo le coste anatoliche.
È difficile pensare che Washington, fedele ai suoi principi wilsoniani sulla libertà di navigazione, accetti un simile fatto compiuto, perlomeno per coerenza con la politica seguita nel Mar cinese meridionale.
Svolta distensiva
Come spesso accade quando il gioco si fa troppo duro, uno dei contendenti si è fermato: Ankara ha sospeso le attività offshore in prossimità di Kastellorizo, dichiarandosi disponibile all’apertura di colloqui con Atene.
In teoria il merito di aver favorito tale svolta dovrebbe essere della Germania che, evidentemente, pur facendo mostra di europeismo nel condannare l’espansionismo marittimo turco, ha sempre avuto riserve verso il massimalismo greco-cipriota.
Ma, dietro le quinte, si intravedono gli Stati Uniti il cui approccio sembra ancora basato sul mantenimento dello status quo e sulla soluzione negoziale, nello spirito dell’Accordo di Berna del 1976 o della Dichiarazione di Madrid del 1997, e come auspicato da Corte internazionale di giustizia e Nazioni Unite.