Biden regista, Harris centravanti. Il ticket anti-Trump
Con Kamala Harris, Joe Biden si è messo in squadra una centravanti di sfondamento e l’ha subito schierata al centro dell’attacco, riservandosi il ruolo di regista. Nelle sue prime sortite pubbliche insieme a Biden, la Harris alza tono e livello degli attacchi e delle critiche a Donald Trump e alla sua amministrazione.
Invece, i repubblicani – notano quasi all’unisono Lisa Lerer sul New York Times e Amber Phillips sul Washington Post – paiono incerti se bollare la Harris come troppo “liberal” o se sostenere la tesi diametralmente opposta, che non è abbastanza “liberal” per soddisfare la sinistra: un’incertezza che, secondo le giornaliste, potrebbe significare che è la persona giusta per creare imbarazzi al duo Trump/Pence. La promuove la finanza newyorchese come lo show-biz californiano.
Il sondaggio e il precedente
Nelle 24 ore successive all’annuncio della scelta della Harris come vice, la campagna di Biden ha raccolto “una somma record, 26 milioni di dollari, con 150 mila persone che hanno donato per la prima volta”: lo ha detto lo stesso Biden, partecipando con la Harris a una raccolta di fondi. E ha aggiunto: “L’entusiasmo è davvero palpabile”.
Un sondaggio a caldo Reuters/Ipsos premia la scelta della Harris che piace a quasi nove democratici su dieci: la senatrice risulta più popolare di Biden tra le donne (60% a 53%), gli under 35 (62% a 60%) e anche in una fetta di repubblicani (25% a 20%). Il 60% degli intervistati, fra cui l’87% dei democratici e il 37% dei repubblicani, considera la scelta della Harris – prima donna afro-americana e asiatica a essere nominata per la vice-presidenza da uno dei due maggiori partiti – una “tappa fondamentale” per gli Stati Uniti.
Il WP ha però scovato un precedente generalmente ignorato: nel 1952, il Progressive Party candidò alla vice-presidenza una donna nera, Charlotta Bass – ma il partito e la Bass ebbero un ruolo minore in quelle elezioni .
Nel giro di 24 ore dall’annuncio della scelta della Harris come vice, però, il vantaggio di Biden su Trump è rimasto praticamente immutato: 46% per Biden-Harris e 38% per Trump-Pence, a fronte del 44% contro il 37% del giorno prima – misure sempre rilevate da Reuters/Ipsos.
Trump contro il ticket dem
La prossima settimana, quando ci sarà la convention democratica, sostanzialmente virtuale, ma formalmente a Milwaukee, Donald Trump non intende lasciare al duo Biden/Harris tutta l’attenzione mediatica: farà campagna in quattro Stati incerti, Arizona, Minnesota, Pennsylvania e proprio il Wisconsin, dove si terrà la kermesse democratica. Dovrebbe essere un mix di comizi ed eventi ufficiali.
All’esordio con Biden, la Harris ha alternato parole chiare – “Combattiamo una battaglia per l’anima di questa Nazione, una battaglia che insieme possiamo vincere” – e bordate contro Trump, che, “nel mezzo di una pandemia, sta tentando di smantellare il sistema sanitario. Mentre le piccole imprese chiudono, agevola i ricchi. E quando la gente invoca sostegno, usa i gas lacrimogeni”.
Trump cerca di smontare il ticket rivale: dice che la Harris “è il genere di rivale che tutti sognano“, ne evoca gli scontri con Biden nei dibattiti fra gli aspiranti alla nomination democratica; ricorda che, nelle primarie democratiche, “partì forte e finì debole”. Ma Mike Pence, il suo vice, che dovrà affrontare la Harris in un dibattito televisivo il 7 ottobre, ha motivo di preoccuparsi della grinta che la senatrice della California sa sciorinare.
Biden spiega così la sua scelta: “Se saremo eletti erediteremo numerose crisi, una nazione divisa e un mondo nel caos. Non avremo un minuto da perdere. È proprio per questo che l’ho voluta: è pronta a guidare dal primo giorno … E’ cresciuta credendo nella promessa dell’America perché, figlia di immigrati, l’ha vista in prima persona. Insieme, io e Kamala combatteremo ogni giorno perché quella promessa sia mantenuta per tutti gli americani”.
Donne in lizza a Usa 2020
Kamala Harris candidata vice-presidente democratica è solo la punta d’un iceberg di diversità e contrasti. Se 130 afro-americane sono scese in lizza per il Congresso – mai così tante – e una cinquantina sono sopravvissute alle primarie, c’è una decina di candidati che “sposano” il complottismo di QAnon; e una di essi, Marjorie Taylor Greene, ha vinto le primarie e ha buone possibilità di essere eletta nel 14.o distretto della Georgia.
Secondo uno studio di NewsGuard, QAnon nasce negli Usa nell’ottobre del 2017 e ha rapidamente attratto migliaia di seguaci. Per QAnon, il presidente Trump sta compiendo una missione segreta per liberare il mondo da una cricca di cui fanno parte, tra gli altri, Hillary Clinton, Bill Gates e George Soros, che controllerebbero un Deep State, ovvero un sistema di potere sotto il quale opera una rete di “pedofili e criminali”.
Il 21 luglio 2020 Twitter ha reso noto di avere rimosso dalla piattaforma oltre 7.000 account legati a QAnon. E dal 2019 l’Fbi ha individuato in QAnon una potenziale minaccia di terrorismo interno.
La Taylor Greene, imprenditrice, ex istruttrice di CrossFit, ha battuto nelle primarie repubblicane John Cowan, un neurochirurgo, mentre il deputato uscente, Tom Graves, in carica dal 2010, non si ripresentava. Contestando sue affermazioni su neri e musulmani e su Qanon, Cowan le disse in un dibattito: “Il mio modo di essere il miglior alleato di Trump sarà di tenerti fuori dalla Camera, perché i democratici sfrutteranno a loro vantaggio tutte le cose folli e ridicole che dici”. Il che non le ha impedito di vincere il ballottaggio con il 57% dei voti.
Sul fronte democratico, hanno passato le loro primarie le quattro deputate oltranziste di The Squad, coagulate intorno alla giovane leader newyorchese di origini portoricane Alexandria Ocasio Cortez: anche le due islamiche, che rischiavano di più. Martedì, Ilhan Omar s’è imposta in Minnesota; e Rashida Tlaib ce l’aveva già fatta nel Michigan, in una una sfida difficile.