Il tour di Conte e la partita sul Recovery Fund
Sarà estremamente difficile chiudere la partita del Recovery Fund nel prossimo Consiglio europeo del 17 e 18 luglio. La stessa Angela Merkel, che pure spinge per una soluzione rapida, ha prudentemente dichiarato di fronte al Parlamento europeo di volerci riuscire “entro l’estate”.
L’unico aspetto positivo della prossima riunione dei capi di stato e governo dell’Ue è che si terrà finalmente in presenza, dopo il lungo periodo affidato ai sistemi remoti in videoconferenza. Sarà quindi possibile verificare direttamente sul posto i compromessi da negoziare e le alleanze da stringere fra gruppi di Paesi.
Proprio nell’ottica delle alleanze si colloca anche l’iniziativa di incontri bilaterali che dal 7 luglio in poi ha preso il presidente del Consiglio italiano Giuseppe Conte. Il tour europeo è cominciato con il leader portoghese António Costa, seguito a ruota dal premier spagnolo Pedro Sánchez, entrambi forti sostenitori assieme all’Italia del lancio di strumenti di debito comunitari per fare fronte alla drammatica crisi economica e sociale originata dalla pandemia.
Conte è stato tuttavia molto attento a non definire questi suoi primi appuntamenti come l’organizzazione di un “fronte sud” in contrapposizione con i Paesi del centro e nord Europa. Ha ben riconosciuto che la crisi economica sarà molto più profonda in alcuni Paesi rispetto ad altri, ma che in ogni caso il rischio di tracollo del mercato interno (se non dell’euro) riguarda tutti e non solo i Paesi più deboli del sud.
In effetti, la tappa successiva è stata all’Aia per incontrare il premier olandese Mark Rutte, sostenitore di una linea di aiuti comunitari in termini di prestiti (da restituire) e non di sussidi (da erogare a fondo perduto). Naturalmente le posizioni di Italia e Paesi Bassi non sono cambiate all’indomani del faccia a faccia, ma hanno cominciato ad evidenziare in modo più netto i punti di contrasto su cui negoziare.
Poiché va subito detto che, al di là della cifra di 750 miliardi di euro proposta dalla Commissione per il Recovery Fund, il vero problema da risolvere sarà quello della “governance” di questo fondo. Due le questioni sul tappeto. La prima riguarda il legame fra il nuovo fondo e il bilancio settennale dell’Ue (2021-27) che deve essere approvato entro fine anno. Nella proposta della Commissione europea, sostenuta a spada tratta anche dal premier italiano, il fondo confluisce nel bilancio complessivo dell’Unione.
Per Conte questa prospettiva è tatticamente utile anche per fare passare l’eventuale richiesta di un prestito del Meccanismo europeo di stabilità (Mes), che tanti mal di pancia sta creando nella maggioranza di governo. Legare assieme questi diversi strumenti finanziari può essere più accettabile anche da parte del Movimento Cinque Stelle.
In secondo luogo, e più in generale, un unico bilancio comprendente quello settennale e il Recovery Fund può permettere al Parlamento europeo di giocare il suo ruolo di autorità di controllo e alla Commissione di essere l’organo decisionale nella concessione dei prestiti e dei fondi da erogare ai singoli Paesi. Prospettiva che potrebbe giovare anche all’Italia, sottraendola al “ricatto” di questo o quel Paese rigorista del nord Europa. Ma è proprio su questo punto che si sta scatenando la battaglia più dura fra i quattro Paesi “frugali” e i nove firmatari, fra cui l’Italia, della lettera del 25 marzo in cui si accennava alla necessità di strumenti di debito dell’Ue.
È ancora una volta l’olandese Rutte a chiedere che sia il Consiglio dell’Unione (dove siedono i ministri degli Stati membri, ndr) e non la sola Commissione a decidere l’erogazione degli aiuti comunitari ai Paesi in difficoltà. Anzi, tanto per rincarare la dose, il premier olandese pretende che all’interno del Consiglio si voti all’unanimità e non a maggioranza, come normalmente avviene. Per l’Italia sarebbe un autentico disastro poiché ciò rallenterebbe enormemente i tempi per ottenere il denaro comunitario e per fare approvare i propri piani di riforma, pur nelle linee di condizionalità previste dalla Commissione.
Di fronte al rischio di un’impasse decisionale il 17 e 18 luglio su queste posizioni contrapposte, il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, ha preparato una proposta di compromesso che in parte accoglie le richieste di Rutte. La decisione sui piani nazionali sarebbe quindi presa congiuntamente dalla Commissione e dal Consiglio che, però, voterebbe a maggioranza qualificata.
È evidente che per l’Italia questa proposta di compromesso rappresenta una linea rossa da non superare. Per evitare che anche questo baluardo salti sotto la pressione dei “frugali”, cui si sono aggiunti anche alcuni Paesi dell’Est, a cominciare dall’Ungheria, Giuseppe Conte ha continuato il suo mini-tour incontrando, in attesa di vedere anche Emmanuel Macron, l’unico possibile “deus ex machina” di questa intricata vicenda: la cancelliera e presidente di turno del Consiglio dell’Ue Angela Merkel.
Fino ad oggi la Merkel ha dato l’impressione di allinearsi parzialmente con le richieste del gruppo dei nove e di agire in modo da salvaguardare sia il ruolo della Commissione sia del Parlamento europeo. Pur non comprendendo perché il governo italiano non attivi immediatamente il Mes, la Cancelliera è ancora una nostra alleata. Ma è bene ricordarsi che al di là della comprensione della Cancelliera è l’intera Germania a cui dobbiamo guardare. Per non ritrovarcela contro sarà quindi necessario approntare nel più breve tempo possibile il nostro piano di riforme e investimenti nazionali: che deve essere credibile e in linea con i dettami della Commissione.
La politica delle alleanze va bene, anzi è necessaria. Ma se poi ad essa non segue una grande capacità di azione concreta, allora anche il migliore alleato finirà per abbandonarci. I compiti a casa – è bene ricordarlo – non terminano mai. Sarà questo il passaggio cruciale e decisivo per Giuseppe Conte e per l’Italia.