Tunisia di nuovo senza governo (e in piena crisi)
Dopo meno di cinque mesi dal suo insediamento, il primo ministro tunisino Elyes Fakhfakh, sotto accusa per un presunto conflitto di interessi, ha rassegnato le sue dimissioni mercoledì 15 luglio. Si apre una nuova fase di profonda incertezza, triste conferma di un’instabilità politica – la durata media dei vari esecutivi in Tunisia è di un anno e mezzo, senza contare singoli e ripetuti rimpasti ministeriali – che sta diventando la norma e non più l’eccezione.
Le dimissioni di Fakhfakh “cadono” in un momento in cui il Paese, dopo aver efficacemente contenuto la diffusione del coronavirus annoverando “solo” 50 decessi e circa 1300 contagi, si trova a dover fare i conti con le ricadute economiche e sociali delle misure di confinamento e della chiusura dei confini. A complicare il quadro, la ripresa, nel sud del Paese, delle mobilitazioni nei pressi dell’oleodotto di El Kamour. La parola passa ora al presidente Kais Saied che avrà dieci giorni a disposizione per nominare un possibile successore.
Le accuse di conflitto di interessi
L’annuncio delle dimissioni anticipa il voto sulla mozione di sfiducia contro Fakhfakh depositata da un gruppo di 105 parlamentari, tra cui anche esponenti di Ennahda, forza islamista moderata che siede al governo, e i suoi “alleati dell’opposizione” in Parlamento: il partito Qalb Tounes, e la coalizione islamista El Karama. La proposta di ritirare la fiducia al premier è il culmine di mesi di schermaglie e dissapori nel già fragile esecutivo e all’interno del Parlamento, ma prende le mosse, ufficialmente, da un’accusa per conflitto di interessi. Nell’occhio del ciclone una società che si è aggiudicata appalti pubblici per lo smaltimento di rifiuti in aprile rispondendo ad un bando nell’autunno quando Fakfakh, azionista di minoranza, non rivestiva ancora alcuna carica pubblica. L’inchiesta, condotta anche dall’Istanza nazionale per la lotta alla corruzione (Inlucc) – la cui condotta nello scoppio della vicenda non è stata esente, in questi giorni, da critiche – prende le mosse dalla pubblicazione, a fine giugno scorso, di una serie di documenti che mostrerebbero il coinvolgimento di Fakhfakh in alcune società di servizi private in affari con lo Stato.
Secondo un comunicato, la scelta del primo ministro andrebbe ad “evitare al Paese un conflitto tra istituzioni” in attesa dei risultati dell’inchiesta. Contestualmente, Fakhfakh, che rimarrà a capo del governo in carica per il disbrigo degli affari correnti, ha però prontamente sostituito i sei ministri di Ennahda, ammonendo “coloro che attentano alla sicurezza e agli interessi” nazionali.
L’antefatto
Incaricato dal presidente Saied dopo la bocciatura parlamentare del candidato proposto da Ennahda, Fakhfakh, si era insediato il 27 febbraio, ponendo fine – solo temporaneamente, col senno del poi – a mesi di infruttuose consultazioni e stallo politico dopo le ultime legislative di ottobre 2019.
Nel braccio di ferro tra Saied e lo storico leader di Ennahda Rashid Ghannouchi, speaker del Parlamento, il partito musulmano-democratico aveva votato a malincuore la fiducia all’esecutivo di Fakhfakh, messo alle strette di fronte dell’alternativa dello scioglimento del Parlamento paventato dalla presidenza della repubblica. Nei mesi a seguire, Ennahda, che detiene la maggioranza relativa dei seggi in parlamento (55 su 217), non ha mai rinunciato a chiedere l’inclusione di Qalb Tounes e El Karama in una coalizione di governo in cui ha lamentato una crescente marginalizzazione, vedendo anche diminuire la sua influenza in Parlamento, dove si era opposto invano alla cessione di “poteri speciali” all’esecutivo per fronteggiare l’emergenza Covid-19.
Negli scorsi mesi, Fakhfakh, la cui popolarità è notevolmente cresciuta, ha mostrato notevole autonomia decisionale – troppa, secondo alcuni -, puntando sull’immagine di politico efficiente e competente pur senza il diretto sostegno di un partito in Parlamento, ed oscurando la centralità di Ghannouchi nelle scelte politiche vitali per il paese.
Instabilità politica ed economica: rischi calcolati?
E proprio Ennahda sembra aver rovesciato il tavolo per prendersi la sua rivincita. Ma a quale prezzo? Ancora una volta la Tunisia si ritrova impantanata in una crisi di governo che comporterà un dispendio enorme di capitale politico, sottraendolo alla programmazione di riforme economiche e strutturali, da anni rimandate. Questa volta, però, con lo spettro della recessione globale e le difficoltà dell’Unione europea, primo partner commerciale della Tunisia, l’emergenza economica e sociale provocata dalla crisi sanitaria del coronavirus rischia di avere effetti davvero imprevedibili.
A giugno, inoltre, sono riprese le proteste nella regione meridionale di Tataouine con pesanti scontri tra le forze di sicurezza e i manifestanti, continuazione del movimento El Kamour che nel 2017 aveva bloccato per oltre tre mesi l’estrazione di petrolio nell’omonima stazione nel deserto e in piena zona militare contro la mancanza di lavoro, investimenti locali e prospettive in una regione frontaliera troppo spesso stigmatizzata con terrorismo e contrabbando. Le proteste, pur rimanendo geograficamente concentrate e con scarsa risonanza a livello nazionale, restano la prova tangibile di un malcontento popolare che, soprattutto nelle aree più marginali del Paese, riesplode ciclicamente – in questo caso per rivendicare la mancata applicazione degli accordi col precedente governo – e che trova scarsa, se non nulla, accountability da parte della classe dirigente nazionale.
I vari attori politici mostrano i muscoli tra loro e rimescolano le carte, ma senza fornire risposte concrete alle attese della stragrande maggioranza dei cittadini, distratti o impegnati come sono a giocare una partita personale contro l’avversario di turno. Con la speranza che il loro sia davvero un rischio calcolato.