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Finalmente al voto il 15 luglio

Macedonia del Nord: il peso delle legislative sul percorso euro-atlantico

10 Lug 2020 - Lo Spiegone - Lo Spiegone

A seguito delle dimissioni del primo ministro Zoran Zaev il 3 gennaio scorso, i cittadini macedoni attendono da mesi di tornare alle urne. Le elezioni anticipate erano state inizialmente fissate per il 12 aprile, per poi essere rimandate – come molte altre a causa della pandemia di Covid-19 – al 15 luglio.

La Costituzione del 1991 definisce la Macedonia del Nord come una repubblica parlamentare, dotata di una sola camera (Sobraine) di 120 seggi. I membri del Parlamento sono eletti con un mandato quadriennale attraverso un sistema proporzionale, in cui gli elettori esprimono le proprie preferenze scegliendo tra varie liste. Il territorio nazionale è suddiviso in sei distretti elettorali, con 20 seggi ciascuno. Con gli emendamenti costituzionali del 2001, sono stati introdotti dei provvedimenti che garantiscono la presenza della minoranza albanese in parlamento.

Il sistema costituzionale macedone prevede una rigida separazione dei poteri, con una netta prevalenza dell’esecutivo a scapito del potere legislativo e di quello giudiziario. Essi agiscono principalmente da contrappesi alle attività governative, motivo per cui il governo è legato al Parlamento da un rapporto fiduciario. Tale rigidità fa anche sì che il primo ministro e i membri del governo non siedano in Parlamento.

La scommessa di Zaev
Il governo uscente, guidato dal socialdemocratico Zoran Zaev, si era insediato nel giugno 2017. Al tempo, il Paese usciva da un decennio di governo conservatore guidato da Nikola Gruevski, storico leader del partito nazionalista Vmro-Dpmne (Vnatrešno-Makedonska Revolucionerna Organizacija–Demokratska Partija za Makedonsko Nacionalno Edinstvo). Il governo di Zaev era sostenuto da una coalizione di partiti di centro-sinistra: la SDSM (Unione Socialdemocratica di Macedonia), l’Unione Democratica per l’Integrazione e l’Alleanza per gli Albanesi.

Il mandato di Zaev si fondava su tre obiettivi chiave: la crescita economica del Paese, il rafforzamento del sistema giudiziario, il compimento del percorso di adesione all’Unione europea e alla Nato. Il premier aveva investito in particolare sull’ultimo punto, come dimostrato dalla risoluzione della storica disputa sul nome con la Grecia, sancita dagli Accordi di Prespa firmati da Skopje e Atene nel 2018. L’adozione del nuovo nome “Macedonia del Nord” ha permesso di sbloccare i negoziati per l’integrazione euro-atlantica a lungo sospesi a causa del veto posto dalla Grecia.

Eppure, se l’adesione alla Nato è arrivata a compimento relativamente in fretta nel marzo scorso, la strada verso l’Unione europea pare ancora accidentata. Infatti, il terzo rinvio dell’inizio dei negoziati da parte del Consiglio europeo a fine 2019 aveva seriamente indebolito la leadership politica di Zaev, portandolo alle dimissioni e alla sostituzione con un governo di unità nazionale che ha indetto elezioni anticipate.

Nonostante il via libera del Consiglio europeo sia arrivato nel marzo del 2020 e il sentimento europeista della maggioranza del Paese sia rimasto saldo, il livello di fiducia dei cittadini macedoni nell’effettivo compimento del processo di integrazione è notevolmente sceso rispetto agli anni precedenti. Infatti, recenti indagini hanno mostrato che solo il 28% dei rispondenti ritiene che la Macedonia del Nord aderirà all’Ue nei prossimi 5 anni, anche se l’80% rimane a favore di tale adesione. La stessa indagine, però, ha anche evidenziato come più del 50% dei cittadini sia convinto che la classe politica si sia concentrata troppo poco su temi quali disoccupazione, povertà e previdenza sociale.

Ritorno al passato?
Un nuovo mandato di quattro anni permetterebbe al premier uscente di rafforzare il proprio progetto politico, proiettando definitivamente il Paese nell’arena euro-atlantica. In questi anni, però, il partito conservatore Vmro-Dpmne, relegato all’opposizione dopo un decennio di potere, si è fortemente opposto alle politiche di Zaev, identificato come responsabile dell’attuale crisi politica. Infatti, pur essendo favorevole all’adesione del Paese all’Ue e alla Nato, il partito era particolarmente insofferente davanti al cambio del nome, ritenendo l’accordo con la Grecia un’umiliazione per la Macedonia.

Una vittoria della Vmro-Dpmne, guidato dal nuovo leader Hristijan Mickoski, potrebbe mettere in discussione non solo l’accordo faticosamente raggiunto con la controparte greca, ma l’intero processo di integrazione europea, riportando il Paese allo stallo. Come anche nel referendum sul nome tenutosi nel 2018, un ruolo cruciale sarà giocato dalla minoranza albanese. Nell’ultima coalizione di governo, i partiti rappresentanti della comunità albanese avevano sostenuto in maggior parte i socialdemocratici, ma in occasione del referendum del settembre 2018 – che vide un’affluenza alle urne di appena il 36% – la comunità albanese si era schierata dalla parte del governo meno del previsto.

Questa campagna elettorale dominata dall’emergenza sanitaria ha visto i due principali partiti in un testa a testa nei sondaggi, con la Sdsm in lieve vantaggio rispetto alla Vmro-Dpmne. La comunità albanese pare orientata verso piccoli partiti quali l’Unione democratica per l’integrazione e l’Alleanza per gli albanesi, vecchi alleati di governo di Zaev.

Condizioni difficili
La pandemia di Covid-19 ha aggravato una situazione politica ed economica già piuttosto critica. Gli alti livelli di corruzione e di disoccupazione, cui si aggiunge un mercato del lavoro in grave difficoltà, non hanno trovato risposte soddisfacenti da parte di socialdemocratici e conservatori. Il rinvio delle elezioni a causa delle misure di contenimento del contagio, in piena crisi di governo, ha fatto sì che i due partiti principali abbiano negoziato per settimane la data in cui tenere le elezioni, esasperando ulteriormente il dibattito politico.

Dalle dimissioni del governo è in carica un governo ad interim formato da rappresentanti dei diversi partiti di maggioranza e opposizione, che invece di occuparsi della normale amministrazione si è ritrovato a gestire una crisi sanitaria internazionale. Il partito che uscirà vincitore dalle elezioni si troverà ad affrontare le conseguenze sociali ed economiche della pandemia, senza poter tralasciare politiche importanti di cui il Paese ha un disperato bisogno.

A cura di Lidia Bonifati, vice-direttrice de Lo Spiegone e autrice della redazione Europa

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