Trump è veramente così debole?
Era il 1° maggio 1930, erano passati solo pochi mesi dal quel martedì 29 ottobre che aveva visto il crollo di Wall Street quando Herbert Hoover – il presidente repubblicano che dal marzo 1929 si era insediato alla Casa Bianca – pronunciò una frase che sarebbe finita nei libri di storia: “Il peggio è passato“.
Poco lucido e mal consigliato, Hoover non si rese conto che in quei giorni migliaia di persone stavano iniziando a morire di fame, che la Grande Depressione era solo agli inizi, che la più grave crisi americana dai tempi della Guerra Civile sarebbe durata ancora a lungo e che gli sarebbe costata una rielezione che molti davano per scontata.
Crisi e popolarità del presidente
Nella Casa Bianca di oggi, quella di Donald Trump, i più attenti consiglieri del presidente – una minoranza, i più capaci sono stati spazzati via (o se ne sono andati volontariamente) negli ultimi 24 mesi – guardano ai numeri dei primi anni Trenta con una certa preoccupazione. Occorre risalire a novanta anni fa per trovare una situazione peggiore di quella attuale, che vede più disoccupati (oltre 40 milioni) che durante la Grande Depressione e con oltre 110mila cittadini americani morti più inutilmente che in tutte le guerre americane dalla Corea ad oggi messe insieme.
Le risposte date da The Donald a quanto accaduto negli ultimi tre mesi sono state all’insegna della confusione e della contraddizione. Con un’America che si è trovata di fronte alla più grave crisi sanitario-economica dai tempi della Seconda Guerra Mondiale e da un’altrettanto grave crisi sociale (razzismo, violenze della polizia, scontri di piazza e saccheggi) come non si vedeva dal 1968, il “Commander in Chief” eletto all’insegna di America First, slogan che si è dimostrato tra i più divisivi di sempre, ha raggiunto il livello di popolarità peggiore di sempre.
Cosa dicono i numeri
Gli indici di gradimento del presidente Usa nell’ultimo mese sono peggiorati, stando alla stima di FiveThirtyEight, il sito di Nate Silver che si basa su una media corretta di tutti i sondaggi in circolazione e che ha quasi sempre azzeccato i pronostici elettorali. Se la percentuale di “approvazione” nei confronti di The Donald è scesa solo leggermente (dal 43,3 al 42,9), quello di “disapprovazione” è salito di quasi tre punti (dal 50,7 al 53,6). Se risaliamo a due mesi fa, vediamo che il presidente Usa aveva addirittura ottenuto i suoi migliori indici da quando si è insediato alla Casa Bianca nel gennaio 2017. Una breve luna di miele, dovuta soprattutto ai miliardi di dollari stanziati nel programma di lotta al coronavirus per aiutare i cittadini americani.
Sono numeri, quelli di oggi, che assomigliano a quelli degli ultimi due presidenti che sono stati sconfitti nella corsa a un secondo mandato, ovvero George H.W. Bush (sconfitto da Bill Clinton nel 1992) e Jimmy Carter (sconfitto da Ronald Reagan nel 1980). Numeri che lo collocano più indietro di chi – come Barack Obama nel 2012 e George W. Bush, nel 2004 – hanno avuto contendenti di peso e a larghissima distanza da coloro che sono stati rieletti con quella che viene definita una ‘valanga’, come Richard Nixon (1972), Ronald Reagan (1984) e Bill Clinton (1996).
Verso il 3 novembre
Per il celebre economista, saggista e columnist Robert Reich (che ha servito nei governi Usa di Ford, Carter e Clinton, di cui è stato ministro del Lavoro) “in realtà, Donald Trump non dirige il governo degli Stati Uniti. Non gestisce niente. Non organizza nessuno. Non amministra, non controlla e non supervisiona. Non legge promemoria. Odia le riunioni. Non ha pazienza per i briefing. La sua Casa Bianca è nel caos perpetuo. Da quando si è trasferito nello Studio Ovale nel gennaio 2017 non ha mostrato un briciolo di interesse a governare. È ossessionato solo da se stesso”.
Trump è veramente così debole? Come ha scritto James Fallows su The Atlantic, “l’anno più traumatico della storia moderna americana è stato il 1968, ma il secondo più traumatico, questo 2020, ha ancora sette mesi di vita; e il confronto fornisce poco conforto e diversi motivi di preoccupazione”.
Sono proprio i prossimi mesi, quelli che ci porteranno fino a martedì 3 novembre (data delle elezioni presidenziali), che potrebbero servire a The Donald per ribaltare ancora una volta la situazione a suo favore.
Alcuni segnali già si vedono. Nonostante pandemia e disoccupati l’economia, dicono diversi esperti, potrebbe migliorare. Nonostante tutti i sondaggi nazionali diano Biden largamente in testa, negli Stati-chiave del 2016 (Wisconsin, Pennsylvania, Michigan) e in altri quattro-cinque Stati in bilico Trump potrebbe vincere con facilità. Le conseguenze della pandemia hanno reso il ciclo elettorale del 2020 forse il meno tradizionale della storia moderna, dando un’importanza fuori del comune alla pubblicità digitale. In assenza di una struttura tradizionale della campagna elettorale, Trump e Biden (ormai candidato ufficiale) si sfideranno in una battaglia ad alto contenuto digitale. E in questo campo il vantaggio di The Donald su “Sleeping Joe” (come lo deride Trump) è abissale.