Stravolti i piani Usa per Kosovo e Serbia, un’occasione per l’Europa
Non saranno sicuramente stati i dieci giorni che hanno sconvolto il mondo di sovietica memoria, ma gli eventi della settimana appena trascorsa hanno certamente capovolto il piano inclinato che l’Amministrazione Trump aveva predisposto per “risolvere” la questione tra Serbia e Kosovo, facendo tirare un sospiro di sollievo a Bruxelles e in molte cancellerie europee.
La bomba è stata sganciata il 24 giugno dall’ufficio del Procuratore della Kosovo Specialist Chamber (Ksc), la corte di diritto kosovaro con sede all’Aia e dallo staff internazionale creata nel 2017 grazie alle forti pressioni dell’Unione europea dopo che nel 2010 il rapporteur del Consiglio d’Europa per il Kosovo aveva raccolto numerose prove di crimini contro l’umanità commessi dall’Uçk, l’esercito di liberazione del Kosovo durante la guerra del 1998-99. L’ufficio del Procuratore ha emesso un’accusa in dieci capi d’imputazione, inclusi omicidio e tortura, contro il presidente kosovaro Hashim Thaçi, all’epoca capo politico dell’Uçk, e Kadri Veseli, altro capo militare dell’organizzazione, ex speaker del Parlamento di Pristina e attuale leader del partito di Thaçi, il Pdk.
Due sono i dati decisamente inquietanti inclusi nel comunicato: Thaçi e Veseli sarebbero penalmente responsabili di quasi 100 omicidi e l’accusa – che un giudice per le indagini preliminari dovrà ora valutare se trasformare in incriminazione – sarebbe stata resa pubblica per scongiurare i “ripetuti tentativi” dei due politici kosovari di ostacolare i lavori della Ksc.
Saltano i colloqui a Washington
Il terremoto politico scaturito dal comunicato si è innanzitutto abbattuto sull’evento che poteva gettare al macero anni di politiche transatlantiche comuni sui Balcani: i colloqui previsti sabato 27 giugno alla Casa Bianca tra Thaçi e il suo omologo serbo Aleksandar Vučić – fresco di trionfo in controverse elezioni legislative avversate dall’opposizione, ndr -, sotto l’egida dell’inviato presidenziale statunitense Richard Grenell, ansioso di poter consegnare un successo diplomatico a Trump in vista delle prossime elezioni. Ancor più rilevante, l’annuncio ha mandato all’aria quello che secondo alcuni sarebbe stato uno dei risultati del vertice, oltre al potenziale scambio di territori: un’amnistia reciproca per i crimini commessi e lo smantellamento della Ksc, da cui Thaçi ha sempre avuto (a ragion veduta) timore di venire incriminato – da qui il sospetto che il timing del comunicato dell’Aia non sia stato per nulla casuale -.
A poche ore dall’annuncio dell’Aia, Grenell ha dichiarato via Twitter che Thaçi (già sull’aereo per Washington) aveva rinunciato alla partecipazione al vertice, inviando al suo posto il premier Hoti. Tale configurazione – alquanto sbilanciata, dato che avrebbe visto il presidente serbo di fronte al primo ministro kosovaro – è durata appena 24 ore, con Hoti che ha twittato la sua impossibilità a recarsi negli Stati Uniti in tali circostanze, spingendo quindi Grenell a posticipare i colloqui a data da destinarsi.
Hoti e Vučić vanno invece a Bruxelles
Questa débâcle è stata resa più amara per la Casa Bianca dalla visite (separate) di Hoti e di Vučić alla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, nei due giorni successivi all’annuncio dell’ufficio del Procuratore. Anche se in entrambi i casi i colloqui hanno riguardato soprattutto aspetti tecnici e politici legati ai due Paesi – la liberalizzazione dei visti per il Kosovo e lo stato di avanzamento dei negoziati di adesione per la Serbia –, il rilancio del dialogo mediato da Bruxelles tra Pristina e Belgrado è stato affrontato sia col premier kosovaro sia col presidente serbo. Francia e Germania hanno riproposto il loro coinvolgimento a fianco della Commissione e del Servizio europeo di azione esterna, per ridare slancio all’azione politica necessaria per far riprendere i negoziati nel solco europeo, da dove erano partiti nel 2010 per poi arenarsi dopo l’accordo di Bruxelles del 2013.
Gli ultimi avvenimenti possono aver posto la parola fine ai tentativi di Thaçi e Vučić di arrivare ad un’intesa modellata sullo scambio di territori grazie ad uno sponsor – l’Amministrazione Trump – pronto a sacrificare il concetto di inviolabilità dei confini nei Balcani per un successo diplomatico da spendere elettoralmente. Ma gli eventi messi in moto hanno anche altre implicazioni.
L’annuncio della Ksc getta ulteriormente il Kosovo in una crisi politica che difficilmente può essere risolta senza ricorrere a nuove elezioni, che con molta probabilità porterebbero Albin Kurti e il suo Vetëvendosje di nuovo al potere, e con esso la possibilità di eleggere il successore di Thaçi, il cui mandato scade il prossimo anno, con il presidente kosovaro che aveva già espresso la propria volontà di non ricandidarsi e di uscire dalla vita politica. Se il percorso giudiziario annunciato dalla Corte dovesse andare avanti, l’élite politica e la società kosovare si troveranno nel difficilissimo compito di mettere in discussione il mito fondante dell’esistenza stessa del Kosovo come entità statuale, ovvero la guerra di liberazione del ’98-’99, dovendo fare i conti con gli abusi compiuti dai liberatori contro serbi, rom e gli stessi albanesi non allineati all’Uçk.
Da dove ripartiranno i negoziati
Con Thaçi fuori dai giochi, Vučić si trova senza sparring partner: difficilmente il leader di Belgrado potrà ora ottenere quanto il presidente kosovaro sembrava disposto a offrirgli – i territori a maggioranza serba a nord del fiume Ibar -. Vučić potrebbe quindi tornare a chiedere come principale partita di scambio la creazione della Comunità delle municipalità serbe, un ente previsto dall’accordo di Bruxelles e che darebbe molte funzioni di autogoverno alle zone a maggioranza serba.
Si tratterebbe di una concessione particolarmente difficile da accettare per Pristina, che così avrebbe al suo interno quello che in un certo senso è la Republika Srpska in Bosnia-Erzegovina: un freno ai processi decisionali interni e un ostacolo all’integrazione tra etnie diverse. Se dopo il 24 giugno l’Unione europea può dire di aver riportato un successo contro lo scenario dello scambio di territori e l’intromissione non coordinata di Washington nei Balcani, la strada per un accordo di normalizzazione tra Serbia e Kosovo resta in salita, forse ancor più che in precedenza, dato che alle soluzioni di aggiustamento dei confini dovranno ora sostituirsi proposte che sanciscano una convivenza difficile ma dignitosa tra Belgrado e Pristina.
Le opinioni espresse appartengono unicamente all’autore e non riflettono necessariamente l’opinione della Commissione europea o del Servizio europeo di azione esterna.