Stati Uniti contro Corte penale internazionale
L’attacco degli Stati Uniti alla Corte penale internazionale si arricchisce di un nuovo atto a seguito dell’adozione dell’Executive Order on Blocking Property of Certain Persons Associated with the International Criminal Court. Un atto, quello voluto dal presidente Donald Trump, promulgato l’11 giugno, senza precedenti per portata e soggetti colpiti e anche per il cambio di scena che vede passare gli Stati Uniti da tradizionali sostenitori della giustizia penale internazionale (da Norimberga al Tribunale per l’ex Jugoslavia) a demolitori della rule of law al pari di governi dittatoriali.
Il nuovo colpo sferrato non solo alla Corte dell’Aja – definita dal segretario di Stato Mike Pompeo come una “kangaroo Court” – ma in generale alla giustizia penale internazionale, segue quello con il quale era stata decisa la revoca del visto, nell’aprile 2019, nei confronti della procuratrice della Corte, Fatou Bensouda, colpevole di avere avviato, ad ampio raggio, le indagini sui crimini commessi in Afghanistan.
L’indagine sui crimini in Afghanistan
Ma il nuovo decreto è ben più diretto e ad alto tasso di aggressività. Infatti, l’Executive Order dispone sanzioni economiche, restrizioni all’ingresso e altre misure nei confronti dell’intero staff (e, come vedremo, non solo) della Corte penale internazionale coinvolto, a vario titolo, nelle indagini.
In pratica, Pompeo potrà creare delle blacklist nelle quali non ci saranno dittatori, criminali, ma normali funzionari internazionali e, in generale, ogni cittadino straniero che sia stato coinvolto nelle attività della Corte per le indagini che riguardano personale americano (non solo cittadini statunitensi). Un cambio di passo di rilievo perché un conto è non aderire allo statuto della Corte penale internazionale, un altro boicottare e impedire una giustizia alle vittime, fornendo un modello per ogni altro Stato i cui vertici o cittadini siano accusati di crimini (si veda il caso del Myanmar).
La scelta di Trump è la diretta conseguenza della decisione del 5 marzo 2020 (ICC-02/17-138) della Camera di appello della Corte dell’Aja con la quale è stato ribaltato il giudizio della Camera di primo grado del 12 aprile 2019, autorizzando l’indagine della procura sui possibili crimini di guerra e contro l’umanità commessi in Afghanistan. Ma non solo. L’amministrazione Usa attacca la Corte anche per l’avvio di indagini nei confronti di possibili crimini commessi in Cisgiordania, a Gerusalemme est e a Gaza.
Per quanto riguarda la prima questione, si profila uno scenario inaccettabile per Trump che nel provvedimento sostiene l’illegittimità della decisione della Camera di appello contestando la giurisdizione nei confronti del personale Usa e dei suoi alleati. La scelta del presidente è stata bollata dalla Corte penale internazionale come un evidente tentativo di interferire con lo stato di diritto e con i procedimenti in corso. Il tutto dimenticando le vittime di crimini internazionali e la richiesta di giustizia che arriva dall’intera comunità internazionale per atti efferati che colpiscono il mondo intero.
Il fondamento “giuridico” del provvedimento
La base giuridica del provvedimento è individuata dall’amministrazione Usa nella circostanza che gli Stati Uniti non hanno ratificato il Trattato istitutivo della Corte e dal fatto che hanno sempre respinto ogni forma di esercizio della giurisdizione nei confronti dei cittadini Usa. In pratica, l’azione della Corte implica una violazione della sovranità territoriale degli Stati Uniti che, per Trump, deve portare a conseguenze rilevanti per gli autori di questa violazione.
Nella foga di mostrare i muscoli Trump ha dimenticato che la Corte può esercitare la giurisdizione anche nei confronti di cittadini di Stati non parti a condizione che si trovino sul territorio di uno Stato parte. Ed è questo il caso, tenendo conto che l’Afghanistan è parte allo Statuto della Corte dal 10 febbraio 2003.
Nessuna violazione, quindi, della sovranità Usa, che certo non può frenare il cammino, seppure troppo lento, della giustizia penale internazionale. Arrivare poi a scrivere nel testo che l’azione della Corte costituisce una grave minaccia alla sicurezza nazionale e dichiarare l’emergenza nazionale per fronteggiarla significa aver perso di vista la realtà.
Le misure previste nell’Executive Order
Il provvedimento voluto da Trump predispone un arsenale di misure che sarebbe stato meglio destinare a migliori cause. Sono previste sanzioni come il congelamento immediato di fondi, di beni, di proprietà di funzionari della Corte penale presenti negli Stati Uniti, ma anche, con aspetti simili al modello della legge Helms-Burton, verso ogni altro cittadino straniero che abbia collaborato con la Corte nelle indagini. Un raggio d’azione enorme che include finanche coloro che si siano limitati a fornire un supporto tecnologico o beni o servizi. Inoltre, è stata prevista la restrizione dei visti di ingresso negli Stati Uniti per i funzionari della Corte e per i loro familiari.
Difficile dire quali effetti potranno avere queste misure sull’attività della Corte penale. Certo, varrebbe la pena che anche gli Stati parti allo statuto e l’Unione europea facessero sentire la propria voce tenendo conto che è in gioco l’accertamento della verità sui crimini e lo stesso futuro della giustizia penale internazionale.