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OSSERVATORIO IAI/ISPI

Ripresa economica: le misure dell’Ue

18 Giu 2020 - Franco Bruni - Franco Bruni

Se la discussione e le delibere del Consiglio europeo non stravolgeranno il Next Generation EU proposto dalla Commissione, il complesso dei provvedimenti dell’Unione per fronteggiare la crisi del Covid-19 sarà adeguato e, se ben utilizzato dai Paesi membri, efficace. Non solo: la sua ideazione e attuazione immetteranno nuova linfa nella costruzione di un’Europa più unita, economicamente e politicamente.

La politica monetaria
È arrivata prima la politica monetaria, con un’ingentissima iniezione di liquidità della Banca Centrale Europea (Bce), decisa in tre tappe. Una prima, più esitante, il 12 marzo, che ha un poco rafforzato il preesistente programma di acquisto di titoli ma che era diretta soprattutto ad alimentare e facilitare il rifinanziamento delle banche. Una seconda, solo sei giorni dopo, molto ampia e decisa, che ha introdotto un nuovo programma di acquisto di titoli pubblici e privati (Pepp), specificamente diretto all’emergenza Covid-19, per 750 miliardi entro fine anno.

Sono stati inoltre rilassati i criteri di accettabilità dei titoli al risconto della Bce e i requisiti di capitalizzazione delle banche nell’erogazione dei prestiti. Il 30 aprile le misure si sono nuovamente concentrate sul rafforzamento dei prestiti alle banche commerciali. Il 4 giugno c’è stato un nuovo salto dimensionale dell’intervento monetario con il quasi raddoppio della dimensione del Pepp (+600 miliardi) e la sua estensione fino a fine giugno 2021.

Liquidità nell’eurozona
Il bilancio del sistema europeo delle banche centrali, che meno di 5 anni fa era pari al 30% del Pil dell’eurozona e alla fine del 2019 era del 33%, all’inizio di giugno 2020 è poco meno del 45% e si avvia a superare il 50% a fine anno. Poiché quasi tutto questo bilancio corrisponde ad attività liquide create dalla Bce e detenute da banche e operatori economici privati, queste percentuali danno un’idea di come le dimensioni della liquidità disponibile per l’eurozona stiano crescendo rispetto al valore della produzione di beni e servizi.

È la liquidità che costituisce la materia prima per alimentare il credito nei confronti delle imprese, delle famiglie e delle pubbliche amministrazioni. È cioè un aiuto alla formazione di nuovi debiti, indispensabili per far fronte alla crisi. L’eccessiva crescita dei debiti, pubblici e privati,è il pericolo che le attuali reazioni delle politiche europee alla crisi Covid non hanno ancora affrontato. Andrebbe presto progettata, anche se a lungo termine, la loro riduzione, non solo in rapporto al Pil ma anche in assoluto, per evitare che infragiliscano troppo il futuro finanziario delle economie europee e che il loro gravame sia di ostacolo alla crescita. Occorrono programmi accettabili e condivisi e, nel caso dei debiti privati, forti incentivi a sostituirli con l’impegno di capitali propri.

Va notato che il nuovo programma Pepp per la prima volta consente l’acquisto di titoli dei vari Paesi membri in proporzioni anche diverse dalle loro quote nel capitale della Bce. Perciò l’Italia, più colpita dal virus e finanziariamente più debole, può beneficiarne più che nei precedenti programmi del quantitative easing. Questa asimmetria nei benefici dell’espansione monetaria si aggiunge a quella derivante dal fatto che i titoli italiani hanno tassi di interesse maggiori che, corrisposti alla Bce, ritornano ai Paesi membri sotto forma dei suoi profitti.

L’importanza del Pepp va valutata anche tenendo conto che il canale alternativo per creare liquidità, quello attraverso il quale la Banca Centrale finanzia le banche commerciali, non funziona molto bene: nonostante il costo di indebitarsi con la Bce sia addirittura negativo, le banche erogano credito in misura insufficiente soprattutto in un periodo in cui le imprese che lo richiedono sono molto rischiose. Le banche tengono invece notevoli quantità di titoli di Stato. Un limite (per non dire difetto) della politica monetaria in Europa è che per far arrivare moneta alle economie è quasi obbligatorio passare dai governi privilegiando così un0allocazione molto pubblica e “politica” delle risorse.

La politica di bilancio
Veniamo dunque alla politica di bilancio. Eliminando temporaneamente i vincoli del Patto di Stabilità, la Commissione ha innanzitutto consentito un abbondante dispiego di spese in disavanzo da parte dei governi nazionali. Si è poi proceduto a disegnare un pacchetto di provvedimenti di finanza pubblica propriamente “europea”. In tappe successive è nato un insieme di misure ricco e articolato.

Il Meccanismo Europeo di Stabilità (Mes) è stato dotato di un nuovo strumento di finanziamento di spese pubbliche sanitarie che può erogare a ciascun Paese somme fino al 2% per suo Pil alla sola condizione che i fabbisogni sanitari siano l’effettiva destinazione delle spese. È stato creato il Sure per finanziare, con fondi comunitari e garanzie degli Stati membri, esigenze straordinarie dei meccanismi nazionali di sostegno ai disoccupati. La Banca europea per gli Investimenti (Bei) ha ampliato le sue attività, che finanzia emettendo titoli (che è difficile non chiamare “eurobond”) sui mercati internazionali, con un programma diretto soprattutto a facilitare la ricapitalizzazione delle piccole e medie imprese. Infine e soprattutto, vista la dimensione e lo spettro delle misure che contiene, la Commissione ha disegnato il Next Generation EU che è ora in discussione da parte del Consiglio.

Tre grandi meriti
Senza entrare nel dettaglio della ricca articolazione del progetto e senza esaminare le discussioni divisive che rendono problematica la sua approvazione nel Consiglio europeo, se ne possono sottolineare tre grandi meriti.

Primo merito: il riconoscimento che vanno privilegiati i Paesi che hanno più sofferto dalla pandemia, sia per come il virus li ha colpiti che per come si presentavano, prima del virus, la loro struttura sanitaria e la loro macro-finanza. Fra i favoriti della proposta di suddivisione dei finanziamenti vi è l’Italia, cui sono destinate somme più che proporzionali al peso del Paese nell’economia dell’Unione e della sua quota nel bilancio comunitario. Poiché le risorse distribuite proverranno prevalentemente da un indebitamento comunitario che andrà invece rimborsato lungo i prossimi decenni in proporzione alla quota istituzionale di ogni Paese nell’Ue, è implicito nel progetto un trasferimento reale e definitivo di risorse a vantaggio dei Paesi più colpiti e deboli. Va tenuto presente che, più che con una generica “solidarietà”, questo trasferimento è giustificato – anche dal diritto    comunitario – con la difesa dei destini del mercato unico, che è un pilastro dei Trattati europei e verrebbe compromesso da eccessive divergenze economiche strutturali fra gli Stati membri.

Secondo merito: il legame che viene proposto fra Next Generation EU e il bilancio pluriennale dell’Unione che dev’essere preparato per il settennato 2021-27. Il progetto coglie anche l’occasione per sbloccare una discussione che l’anno scorso era sorta fra chi voleva innovare e ingrandire il bilancio e chi era più conservatore. Il programma raddoppierebbe quasi la dimensione del bilancio (raggiungendo il 2% del Pil dell’Ue), lo legherebbe meglio a obiettivi genuinamente comunitari e – cosa ancor più rivoluzionaria – lo manderebbe in deficit con un fabbisogno che ‘’Unione coprirebbe emettendo obbligazioni. Le quali meriterebbero il nome di eurobond più di quelli che altre proposte farebbero nascere, come temono i nemici di questo termine, come panieri di titoli pubblici nazionali emessi in passato. L’emissione di questi eurobonds sui mercati mondiali sarebbe di per sé un impulso al ruolo internazionale dell’euro e all’immagine di un’Europa economicamente e finanziariamente integrata.

Terzo merito: il legame con i Programmi nazionali di riforma (Pnr). Questi sono documenti programmatici che da tempo, ogni anno, i Paesi devono presentare alla Commissione e che seguono indirizzi molto generali adottati dall’Unione. Per ora i Pnr non sono stati un gran successo. L’idea del Next Generation EU è di farne la base per l’erogazione dei finanziamenti, valorizzandoli e rendendone più trasparente e controllata la realizzazione. Importante è notare che l’iniziativa e la scelta delle riforme rimarrebbe ai Paesi, mentre dall’Unione verrebbero indirizzi generali per disegnarle, fondi essenziali per realizzarle e controlli periodici più incisivi sul loro avanzamento.

Questo articolo è stato pubblicato nell’ambito dell’Osservatorio IAI-ISPI sulla politica estera italiana, realizzato anche grazie al sostegno del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale. Le opinioni espresse dall’autore/autori sono strettamente personali e non riflettono necessariamente quelle dell’ISPI o del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale.