IAI
Comunità internazionale

Ricetta per un’Italia che voglia tornare a contare (Parte 2)

24 Giu 2020 - Giuseppe Cucchi - Giuseppe Cucchi

Quanto alla nostra politica a riguardo essa si è rivelata in alcuni anni di agonia libica del tutto inefficace , quando non controproducente.

Come al solito nell’ottica di quel mondo bipolare che era del tutto irenico perché la possibilità di un confronto nucleare rendeva in pratica impossibile ogni tipo di guerra, ci siamo mossi sui soliti canali ritenuti validi e praticabili ai tre diversi livelli nazionali (politico, mass media e opinione pubblica).

La nostra insistenza sul duplice piano politico/diplomatico da un lato, ed economico dall’altro, ha così prodotto solo inefficaci ircocervi come il cosiddetto processo di Berlino, rivelatosi del tutto inefficace sin dai momenti immediatamente successivi alla conclusione della riunione .

Boots on the ground
Anche perché, se vogliamo raccontarla con precisione, il nostro prestigio politico è da tempo ridotto a zero, la nostra diplomazia è sottoposta a un controllo così stretto da parte della politica da costringerla sempre a volare rasoterra, e quanto all’economia l’Italia negli anni più recenti è divenuta ben conosciuta come un Paese che prende e certo non come un Paese che da .

Le uniche mosse efficaci le abbiamo fatte attraverso il personale dei nostri Servizi, che propiziò la miriade di accordi destinati a rallentare il flusso dei migranti, quello della Marina Militare, che ha allevato la Guardia Costiera Libica, e quello delle altre Forze Armate, che ha assicurato una indispensabile presenza tecnica e sanitaria nelle aree di Misurata e dell’aeroporto di Tripoli .

Boots on the ground, quindi, ed è veramente un peccato che ne abbiamo mandati tanto pochi, perdendo tra l’altro con questo riserbo anche alcune occasioni d’oro per proporci come nucleo duro di una operazione di peacekeeping che controllasse il rispetto di eventuali accordi fra le parti in lotta.

Rivedere il sistema
Perciò non vi è da meravigliarsi se i veri arbitri della situazione libica siano divenuti i turchi e i russi, entrambi disposti, con una perfetta scelta di tempo, a rischiare impegnandosi al momento giusto. Per arrivare a ragionare nei medesimi termini, e per riuscire ad avere una politica estera che ci consenta se non altro di agire efficacemente in difesa dei nostri interessi, ci troviamo quindi palesemente di fronte alla necessità di procedere a una revisione di tutto quel sistema di Yalta e degli anni della guerra fredda di cui facevamo cenno all’inizio .

Certo, il rapporto bilaterale transatlantico è vitale e la Nato ancora indispensabile. Non è detto però che essa debba rimanere in eterno sbilanciata e priva di un pilastro europeo che in qualche forma equilibri il peso straboccante di quello americano consentendo anche, allorché indispensabile, di contrapporvisi.

È urgente poi anche che venga ricercato con immediatezza il corretto equilibrio fra l’interesse da dedicare al fronte di Nord Est ed a quel lato Sud dell’Alleanza che sta rapidamente diventando anch’esso un fronte. Si tratta di un compito in cui l’Unione Europea potrebbe giocare un ruolo straordinario, sempre che non preferisca continuare a ricoprire il ruolo della “bella addormentata nel bosco”.

Svecchiare la Costituzione
A livello nazionale poi dovremmo prendere il coraggio a due mani e fare seriamente i conti con la nostra Costituzione. C’è chi continua a sostenere che si tratta della più bella Costituzione del mondo, e forse ha anche ragione, ma si tratta comunque di una legge fondamentale datata, frutto della condizione di una Italia che ora non esiste più e che viveva tempi che adesso sono da lunga pezza finiti .

Occorre quindi perlomeno spolverarla, svecchiarla. Se è ancora giusto che il nostro Paese rinunci alla guerra come soluzione delle controversie internazionali, non è più ne giusto né opportuno che abdichi a priori anche all'”uso della forza giusta per fermare la violenza ingiusta”, come ebbe a dire un Papa Santo in più momenti della lunga crisi Jugoslava .

In primo luogo, quindi, su scala nazionale serve un cambio di mentalità che ci porti se non altro a moderare la nostra visione irenica e pacifista del mondo e a fare i conti con una realtà di tutti i giorni. Che forse non è del tutto hobbesiana, ma che comunque è una realtà dura in cui il primo imperativo di ogni Paese rimane sempre quello di sopravvivere, continuando tra l’altro a garantire ai suoi abitanti il tenore di vita cui essi sono abituati al punto tale da considerarlo come un loro diritto acquisito .

Investire nelle Forze Armate
Fondamentale è poi anche il fatto che nel momento giusto si possa disporre di uno strumento idoneo. Il che significa investire in prospettiva nelle Forze Armate, risorse che con una diversa mentalità potrebbero invece sempre apparire più efficacemente impiegate altrove. Qualcosa in verità è già stato fatto, soprattutto nei settori della Marina e della Aeronautica Militare. Parimenti si può dire dei Carabinieri, che fruiscono di una maggiore visibilità rispetto alle altre Forze Armate, nonché di più elevati finanziamenti giustificati dalla loro funzione di polizia .

Lo sforzo maggiore quindi andrebbe indirizzato verso l’Esercito, la cenerentola del gruppo, che tra l’altro non ha mai potuto usufruire di quel vantaggio della convergenza di interessi con l’industria militare nazionale che ha invece permesso in alcune occasioni a marinai ed avieri di progredire. Forse perché nessun Capo di Stato Maggiore è mai riuscito a far costare un soldato, al chilo, più di un aereo o di una fregata.

The power and the will
Torniamo così all’essenza di tutto, vale a dire alla capacità di allineare il giusto peso di Boots on the ground sul terreno ogni volta che ciò si riveli indispensabile. Di certo non con intenti aggressivi, ma con la chiara visione di come per riuscire se non altro a esercitare una deterrenza efficace occorra la disponibilità di due elementi, “the power and the will“, il potere e la volontà .

Non vi è niente di nuovo in tutto questo , considerato che si tratta degli stessi termini che utilizzava Giulio Cesare raccontando di come avesse costruito il ponte che portava al di là del grande fiume per dimostrare ai Germani come “posse et volle populi romani exercitum Rhenum transire!” .

E noi europei, noi italiani in particolare, le moderne versioni, per il momento solo turche e russe ma domani chissà, dei guerrieri di Ariovisto le abbiamo già alle nostre porte. In Ucraina e in Libia, mentre anche sui Balcani si sta addensando una nuvola che diviene sempre più scura.

Questa è la seconda parte dell’articolo pubblicato su AffarInternazionali il 23 giugno 2020