Recovery Fund: compromesso cercasi
Mentre i leader europei si apprestano a un altro Consiglio europeo virtuale, le speranze per giungere a compromesso sul piatto forte dell’incontro – il Recovery Fund – sembrano affievolirsi. Infatti, si punta già a un Consiglio da tenere a luglio e questa volta con presenza fisica. La negoziazione è così complessa perché riguarda al contempo sia il nuovo fondo sia il bilancio Ue 2021-2027, su cui il fondo stesso dovrà poggiare.
Il cambio di paradigma della Germania
Riaffiorano, quindi, quelle divisioni che avevano già impedito il raggiungimento di un accordo sul bilancio lo scorso febbraio, appena prima dell’emergenza del Covid-19. Ancora una volta ad assumere le posizioni più dure sono i “Paesi frugali” del Nord, ma con una importante defezione: quella della Germania. Nelle settimane scorse la cancelliera Merkel ha infatti spiazzato tutti con un cambio di passo che ha cancellato in un sol colpo un vero e proprio tabù di Berlino: condividere i debiti prima di aver ridotto i rischi.
Certo, questa condivisione riguarda “solo” le centinaia di miliardi che verranno prese a prestito dai mercati per rimpinguare il Recovery Fund e non i debiti pregressi, ma si tratta comunque di una presa di posizione coraggiosa e senza precedenti da parte della cancelliera. Tanto più che insieme al Presidente Macron ha espressamente proposto – anticipando anche la proposta della Commissione europea – che 500 miliardi vengano distribuiti nella forma di contributi a fondo perduto ai Paesi più colpiti dalla crisi, ancora prima di stabilire precisamente (e a quali condizioni) questi soldi saranno spesi. Un ulteriore cambio di paradigma per la Germania che denota una ritrovata forza da parte della cancelliera dopo la positiva gestione dell’emergenza Covid-19 nel proprio Paese.
È quindi un colpo di fortuna che la chiusura dei negoziati e la successiva implementazione del Recovery Fund possano avvenire proprio durante il semestre di presidenza tedesca del Consiglio dell’Ue. Chi altri se non la Germania potrebbe avere gli argomenti giusti per convincere i Paesi “frugali” e spingere tutti verso un compromesso finale?
Le preoccupazioni dei Paesi “frugali”
Ma il punto rimane: su quali basi potrà reggersi questo compromesso? Per abbozzare una risposta è bene richiamare brevemente le principali richieste e preoccupazioni dei Paesi “frugali”. Essenzialmente, questi lamentano che i 750 miliardi proposti dalla Commissione siano troppi e che bisognerebbe dunque puntare a un ammontare più basso, che riduca sensibilmente quanto loro potrebbero essere costretti a pagare a favore dei Paesi più colpiti dal coronavirus. In effetti una riduzione dell’ammontare complessivo potrebbe rientrare nell’accordo finale e una avvisaglia in tal senso la si è avuta in occasione dell’ultimo Consiglio dei ministri delle finanze, in cui la Germania sembra essere tornata alla cifra dei 500 miliardi prevista nella dichiarazione franco-tedesca.
Spetterà inoltre alla presidenza tedesca (oltre che alle istituzioni europee) ricordare a Danimarca, Svezia, Austria e Olanda che il Recovery Fund non si tradurrà automaticamente in un drammatico aumento dei contributi che dovranno versare alle casse di Bruxelles. In effetti, attraverso l’innalzamento della headroom sul bilancio Ue, i governi si impegnano a fornire solo una sorta di garanzia sulla base della quale la Commissione potrà emettere dei titoli e reperire sui mercati le risorse necessarie al Recovery Fund.
Nuove entrate e investimenti
Il ripagamento dei titoli in scadenza, di cui quindi tutti i Paesi europei si fanno garanti, dovrebbe avvenire mediante nuove entrate proposte dalla Commissione europea: 10 miliardi all’anno attraverso la riforma dell’Ets (i permessi di inquinamento – a pagamento – per le grandi imprese), dai 5 ai 14 miliardi all’anno attraverso una carbon tax sulle importazioni ad alto contenuto di gas serra, e ancora 10 miliardi all’anno da una tassa per le imprese che traggono i maggiori benefici dall’esistenza del mercato unico e 1,3 miliardi da una digital tax sui giganti del web (una proposta che sta comunque attirandosi diverse critiche visto che in buona parte si tratterebbe di nuove tasse).
Inoltre, i prestiti che potrebbero essere concessi ai Paesi membri attraverso il Recovery Fund dovrebbero avere secondo la Commissione caratteristiche simili (scadenza, valore e cedola) ai titoli emessi dall’Ue. Quindi la Commissione procederebbe a incassare via via i soldi dagli Stati membri per ripagare così i titoli in scadenza.
In estrema sintesi, le garanzie dei governi europei si tradurranno in effettivi e consistenti esborsi aggiuntivi solo se le nuove entrate auspicate dalla Commissione non si verificassero (o si realizzassero solo in parte o in un momento successivo) e se qualche Paese beneficiario dei prestiti non volesse/potesse ripagare alla scadenza i prestiti ricevuti dal Recovery Fund. Chiarire quindi il quadro, le procedure e la tempistica delle nuove entrate sarà fondamentale per cercare di arginare i timori dei Paesi ‘frugali’.
A ciò andrebbe aggiunto un credibile sistema di verifica della qualità della spesa dei Paesi beneficiari per evitare “sprech”’ e investimenti che non incidano strutturalmente sulla loro potenzialità di crescita, anche attraverso riforme lontane dai “tagli” della troika del passato ma che siano invece orientate ad ammodernare le loro economie.
Sugli investimenti la Commissione ha già indicato la strada maestra prediligendo quelli che permettono una transizione “green” e la digitalizzazione, mentre per le riforme è probabile che tornino le stesse richieste che ormai da anni la Commissione rivolge ai Paesi del sud dell’Ue. Per l’Italia queste includono la riforma fiscale (nella direzione di una minore imposizione sul lavoro), la riforma della pubblica amministrazione (inclusa l’istruzione e la formazione) e la riduzione dei tempi della giustizia penale e civile.
Il timore dei Paesi frugali del Nord è che se questo controllo dovesse avvenire con le attuali regole del semestre europeo, i Paesi beneficiari potrebbero disattenderle sapendo che nessun Paese in effetti ha mai subito una sanzione, anche quando l’infrazione è stata acclarata. Approntare quindi piani di investimento e di riforma credibili e con una chiara tabella di marcia da parte del nostro Paese – beneficiario numero uno del Recovery Fund – sarebbe funzionale a ridurre la sfiducia che arriva dal Nord e agevolerebbe di molto la difficile ricerca del compromesso a cui è chiamata in primis la Germania nell’ambito della sua ormai imminente presidenza di turno.
Questo articolo è stato pubblicato nell’ambito dell’Osservatorio IAI-ISPI sulla politica estera italiana, realizzato anche grazie al sostegno del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale. Le opinioni espresse dall’autore/autori sono strettamente personali e non riflettono necessariamente quelle dell’ISPI o del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale.