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IL DIBATTITO SULLA SCUOLA

L’Italia ha un problema culturale?

29 Giu 2020 - Alfredo Roma - Alfredo Roma

In due recenti e incisivi editoriali sul Corriere della Sera, Carlo Verdelli ha puntato il dito sulla miopia del governo nei confronti della scuola, ricordando, tra l’altro, che Piero Calamandrei, uno dei padri della Costituzione, riteneva che la scuola fosse più importante del Parlamento, della magistratura e della Corte costituzionale.

Il dramma è che questa miopia è la stessa di tutti i governi e Parlamenti succedutisi negli ultimi 40 anni. Quella miopia che ha tagliato i fondi per la scuola, la ricerca e la cultura, ponendoci all’ultimo posto tra i Paesi dell’Unione europea per indice di scolarità, di cultura, di numero di laureati in rapporto alla popolazione, per investimenti nella ricerca e nella scuola. Non si è investito nella formazione del capitale umano che è il fattore principale per la creazione del benessere di un Paese e per ridurre le disuguaglianze sociali.

La pandemia ha acceso i riflettori sui problemi cronici del nostro Paese: inefficienza della burocrazia e della giustizia paralizzate da troppe leggi, industria senza massa critica nei settori chiave, poca innovazione, sistema politico basato su processi decisionali troppo lenti. Problemi che in buona parte derivano dall’abbandono della scuola e della cultura.

La classe politica e i problemi da affrontare
Oggi ci si chiede se l’attuale classe politica sia in grado di identificare e risolvere con competenza questi problemi. Sorge immediatamente un’altra domanda: questa classe politica riflette le statistiche del bassso livello di cultura e scolarità di cui abbiamo appena parlato?

I dubbi sorgono spontanei quando si pensa che pochi anni fa un ministro della ricerca pensava che i neutrini viaggiassero dal Cern di Ginevra ai laboratori del Gran Sasso attraverso un tunnel alla cui costruzione avevamo contribuito in modo sostanziale. Oppure che un ministro degli Esteri ha confuso il Cile con il Venezuela.

Non parliamo poi dell’uso improprio dell’inglese. Anni fa  fu coniato il termine “Jobs Act” per il progetto di legge sul lavoro. In corretto inglese si direbbe “Labour Bill” o “Draft Labour Law“. Bill significa appunto progetto di legge mentre Act è una legge approvata dal Parlamento. Errore ripetuto di recente per il Family Act. Per carità di patria dimentichiamo poi gli errori di pronuncia dell’inglese. Ma perché non si usa l’italiano che è una lingua ricchissima di vocaboli e comprensibile a tutti?

Nello scenario mondiale globalizzato al politico è richiesta oggi una profonda preparazione per capire le dinamiche economiche e geopolitiche e quindi difendere gli interessi nazionali nell’Unione europea e negli organismi mondiali come l’Onu, l’Organizzazione mondiale del commercio, la Nato. Ovviamente la conoscenza delle lingue, in particolare dell’inglese, diventa elemento essenziale per svolgere un ruolo credibile ed efficace. Proprio nell’attuale situazione di crisi vorremmo sentire proposte basate sul pensiero profondo e sullo studio. Al contrario, le parole dei leader di maggioranza e opposizione hanno come principale obiettivo la ricerca del consenso piuttosto che la reale volontà di partecipare alla soluzione dei gravi problemi che stiamo vivendo.

È possibile una strada virtuosa?
Sembra dunque di trovarsi in un vicolo cieco. Se la classe politica non è in grado di risolvere i problemi del Paese perché inadeguata dal punto di vista della formazione scolastica e culturale, come ne usciremo?

Dobbiamo rassegnarci a vivere in un Paese con queste croniche patologie? No, perché, per fortuna, l’Italia ha ancora un numero elevatissimo di persone colte e preparate che sarebbero in grado di risolvere i problemi citati. Abbiamo fior di economisti, fisici, ingegneri, letterati, storici, biologi, anche se una parte di questi ogni anno va a lavorare in altri Paesi. Purtroppo, però, raramente li troviamo a occupare seggi in Parlameto o far parte della compagine di governo. Solo in casi estremi, come in presenza di questa pandemia, la politica si è rivolta agli scienziati, impaurita dalla strage provocata dal coronavirus. Ma diversi politici hanno mostrato una insofferenza per questa invasione di campo. Eppure è proprio il politico intelligente e preparato che sa servirsi dei tecnici e scienziati per le materie più complesse.

Le leggi elettorali
Le ultime leggi elettorali non hanno mai aiutato a far in modo che fossero candidate persone di spessore, ma solo amici fedeli scelti dalle segreterie dei partiti. Un modo, quindi, per perpetuare una classe politica mediocre.

Si dovrebbe pensare a una legge elettorale nazionale a doppio turno come quella dei sindaci che funziona benissimo, con collegi uninominali affidati a persone di valore. L’attuale Parlamento difficilmente potrà approvare una legge del genere perché per molti dei suoi componenti significherebbe rinunciare al benessere economico e al potere. È assai più probabile che si arrivi a una legge proporzionale con una barriera modesta che assicuri a tutti una voce in Parlamento e un minimo potere di influenza, perpetuando l’instabilità della politica italiana. Ormai è definitivamente scomparsa l’idea di occupare una posizione pubblica per rendere un servizio al proprio Paese.

Un’ultima domanda: se si arrivasse per ipotesi a collegi uninominali, gli elettori sarebbero in grado di riconoscere i candidati più qualificati? O anche in questo caso le carenze formative finirebbero per orientare le scelte verso facili qualunquismi o pericolosi sovranismi?