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L'Sns di Vučić

Serbia: riconferma annunciata per il partito dell’uomo forte al comando

18 Giu 2020 - Lo Spiegone - Lo Spiegone

La Serbia si avvicina alle elezioni parlamentari, che si terranno domenica 21 giugno. Inizialmente previste per fine aprile, erano state rinviate – al pari di molti altri appuntamenti con le urne in tutto il mondo – a causa della crisi legata alla pandemia di Covid-19.

La Serbia è una repubblica semi-presidenziale, la cui unica Camera del Parlamento, l’Assemblea nazionale, conta 250 membri. Questa detiene il potere legislativo, può modificare la Costituzione con una maggioranza di due terzi, dà e revoca la fiducia al Governo e nomina i giudici della Corte suprema di cassazione e della Corte costituzionale. Una legislatura dura quattro anni.

Il territorio nazionale rappresenta un unico collegio elettorale e non vi sono suddivisioni regionali. Il sistema elettorale è di tipo proporzionale con liste bloccate e utilizza il metodo d’Hondt per determinare i singoli seggi. Esiste una soglia di sbarramento, fissata al 3%; caratteristica che ha reso piuttosto comuni in Serbia delle coalizioni multi-partito, le quali permettono alle forze più piccole di ottenere una forma di rappresentanza nel Parlamento. Tale soglia è ridotta al solo 0.4% per partiti rappresentativi di minoranze etniche come quella croata, ungherese, bosgnacca, albanese e rom.

Le elezioni sono state ufficialmente convocate dal presidente della Repubblica, Aleksandar Vučić, il quale è anche leader del partito più importante del Paese, il Partito progressista serbo (Sns, dal serbo Srpska napredna stranka). La visibilità garantita a Vučić dalla propria carica, ulteriormente accentuata dalla situazione di emergenza, ha portato diversi membri dell’opposizione a boicottare le elezioni. Ciò suggerisce quando sia teso il clima politico a Belgrado: Vučić è visto da molti come una minaccia alla democrazia, una figura autoritaria in grado di sfruttare la propria posizione per accentrare e mantenere il proprio potere. Nonostante ciò, il presidente riesce a presentarsi come un moderato. Questo è dovuto alle posizioni conservatrici ma non radicali del suo partito e da un generale atteggiamento pro-Unione europea – nonostante i fortissimi legami, sia politici che culturali, con la Russia.

L’Sns di Vučić
Il già citato Sns, guidato da Vučić, è praticamente certo della vittoria. Il Partito progressista è moderato e conservatore, di centro-destra ed economicamente liberista. È affiliato al Partito popolare europeo. Si presenterà alle elezioni a capo di una coalizione di cui è di gran lunga il membro più importante, che comprende tra gli altri il Partito social-democratico serbo e il Partito popolare. In politica estera, il partito è favorevole all’idea di effettuare uno scambio di territori con il Kosovo nel tentativo di risolvere l’annosa disputa internazionale con Pristina. Idea considerata inizialmente poco plausibile, ha acquisito più credibilità nel tempo, grazie anche al supporto degli Stati Uniti e di Donald Trump e al cambio di governo a Pristina.

Grazie alla visibilità garantita dall’emergenza Covid-19 e a una quasi onnipresenza mediatica, il gradimento popolare nei confronti di Vučić, già oltre il 40%, è cresciuto ulteriormente fino a toccare il 60%. Questo successo si è basato su due fattori principali. Il primo è stato il presentarsi come uomo forte, in grado di procurare cure e soccorso grazie alla propria rete di contatti internazionali. Il secondo è stato l’utilizzo dell’esposizione mediatica dovuta alle sue funzioni di presidente per attaccare le opposizioni, con l’aiuto della connivente stampa di Stato. Un esempio particolarmente emblematico è stato il comizio virtuale tenuto da Vučić, il quale ha parlato davanti a centinaia di schermi: ciascuno di questi mostrava un suo sostenitore, e tutti sostenevano ed applaudivano il Presidente durante il suo discorso.

Secondo partito del Paese, dato attorno al 12-13% dai sondaggi, è il Partito socialista di Serbia (Sps, Socijalistička partija Srbije). Erede dell’antico Partito comunista serbo, è stato fondato nel 1990 da Slobodan Milošević. Nel tempo l’Sps ha moderato le proprie posizioni, rendendole più centriste, ma mantiene una forte componente nazionalistica. Attualmente detiene 20 seggi nell’Assemblea nazionale, contro i 92 dell’Sns. È guidato dal ministro degli Esteri e alleato di governo di Vučić Ivica Dačić, che ha creato una coalizione con il Partito comunista, Serbia unita e i Verdi.

Il fronte degli oppositori
Una grossa parte dell’opposizione è rappresentata dall’Alleanza per la Serbia, un insieme di partiti dalle diverse visioni politiche creato nel 2018 per contrastare lo strapotere di Vučić. La coalizione comprende il Partito democratico (social-liberale), Dveri (nazionalista e di destra), il Partito di libertà e giustizia (moderato di centro-sinistra) e il Partito del popolo (conservatore e liberale). Fautore della coalizione, che non presenta una chiara connotazione ideologica, è Dragan Đilas, che ha proposto l’instaurazione di un governo tecnico di transizione. L’Alleanza ha supportato tutte le varie proteste popolari tenutesi contro Vučić. Ha inoltre siglato, insieme ad altri partiti di opposizione, l’Accordo con il popolo (Agreement with people), nel quale si stabiliva che, nel caso di sospette elezioni irregolari, i firmatari le avrebbero boicottate in massa. Questo scenario si è concretizzato e l’Alleanza ha dunque deciso di non partecipare alle elezioni. Risulta dunque difficile stabilirne il peso politico, data la sua assenza nei sondaggi. Si può solo osservare come attualmente il partito detenga 25 seggi in Parlamento, rappresentando dunque circa il 10% dell’elettorato.

Un ultimo partito da tenere in considerazione è il Movimento dei cittadini liberi (Psg, Pokret slobodnih građana), un partito di stampo liberale e socialdemocratico, nato a metà del 2017 e in forte contrasto con il Partito progressista di Vučić. Il Psg non ha seggi nell’Assemblea nazionale poiché è nato a seguito delle ultime elezioni parlamentari. Il suo fondatore e leader Saša Janković – giornalista, avvocato e attivista per i diritti umani – si era rivelato un avversario temibile per Vučić in occasione delle elezioni presidenziali del 2017, arrivando secondo con quasi il 17% dei consensi. Tuttavia, l’abbandono di Janković nel 2019 ha compromesso la posizione del Psg, crollato nei recenti sondaggi.

Risultato già scritto?
Il risultato delle elezioni in Serbia sembra dunque già scritto, con il Partito progressista diretto verso una vittoria schiacciante che dovrebbe garantirgli un numero ancora più elevato di seggi nell’Assemblea nazionale. Il suo leader Vučić, uomo forte del partito e presidente della Repubblica, rientra dunque a far parte del novero di leader europei che hanno sfruttato la situazione di emergenza per accentrare ulteriormente il potere. Una situazione non nuova che rischia di minare ulteriormente lo stato della democrazia in Europa.

A cura di Davide Bevacqua, autore della redazione Europa de Lo Spiegone

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