La lettera dell’arcivescovo Viganò a Trump sulla via delle presidenziali
“Incredible letter”. Donald Trump ha definito così, in un tweet, la lettera inviatagli la scorsa settimana dall’arcivescovo Carlo Maria Viganò, ex nunzio apostolico negli Stati Uniti nominato da papa Benedetto XVI. Una lettera densa di significati – tanto pratici, quanto simbolici – che, dopo decenni di smottamenti interni alla Chiesa statunitense, costituisce una sorta di manifesto della radicalizzazione del cattolicesimo americano.
Una deriva che, tempo addietro, venne anticipata da La Civiltà Cattolica in un articolo a doppia firma del direttore della rivista, padre Antonio Spadaro, e da Marcelo Figueroa, pastore evangelico messo a capo dell’edizione argentina de L’Osservatore Romano da papa Francesco.
Figli della luce e figli dell’oscurità
Quello di Viganò non è un semplice gesto di vicinanza all’operato e alla figura del presidente americano. L’arcivescovo, che dal 2016 ha abbandonato il suo ruolo diplomatico e pastorale negli Stati Uniti per sopraggiunti limiti d’età, è uno tra i più strenui oppositori del papato di Bergoglio. Nella lettera – dove non viene mai menzionato Francesco –, Viganò chiama a raccolta i children of light, “figli della luce”, affinché si uniscano e facciano sentire la propria voce contro i children of darkness, “figli dell’oscurità”. Questi ultimi sono “asserviti” al globalismo, al Nuovo Ordine Mondiale e al concetto – considerato non cristiano – di fratellanza universale (“universal brotherhood”), che non può non richiamare il Documento sulla fratellanza umana firmato da Bergoglio insieme all’imam di al-Azhar Ahmad Al-Tayyib ad Abu Dhabi nel 2019.
Una narrazione apocalittica che traduce il messaggio del fondamentalismo cristiano e che preannuncia una resa dei conti improrogabile tra le forze del bene e quelle del male, ma che non ha solamente valore religioso. Lo stesso Viganò, identificando i children of darkness con il deep state americano, contro il quale Trump si sarebbe “saggiamente opposto” e che sta “ferocemente facendo la guerra” al presidente stesso, ne risalta la dimensione sociopolitica. A novembre 2016, la rivolta dell’America profonda contro i centri di potere statunitensi – leggasi, il deep state – ha premiato la rincorsa di Trump alla Casa Bianca, confermando la non trascurabile capacità agglutinante proprio del fondamentalismo cristiano per il suo elettorato. Tra poco meno di cinque mesi, il nuovo test elettorale saprà dare contezza dell’attualità e dell’appeal di tale narrazione.
Lo stato profondo contro Trump
L’idea di una distanza non solo geografica tra Washington e il resto del Paese è stata la prima espressa da Donald Trump come presidente degli Stati Uniti. Nel suo discorso inaugurale, il neoeletto capo di Stato promise che il passaggio di consegne non si sarebbe limitato a quello tra la sua amministrazione e quella di Barack Obama, ma ne avrebbe realizzato uno di più grande importanza: quello tra Washington e il popolo americano. Trump chiarì il senso di tale affermazione subito dopo, spiegando che troppo a lungo un gruppo ristretto di persone ha goduto dei benefici del governo, mentre i cittadini ne hanno sopportato i costi. “Washington ha prosperato, ma la gente non ha potuto condividerne la ricchezza”, disse.
Il gruppo ristretto di persone, insediato nei gangli del potere statunitense – Dipartimento di Stato, Pentagono, Congresso: tutti, ovviamente, con sede a Washington – è, di fatto, il deep state, a cui fa riferimento anche Viganò. Trump, contro quest’ultimo, si è scagliato e si è fatto campione del popolo. In un recentissimo tweet, il magnate newyorchese ha fatto nuovamente riferimento a questa distinzione, scrivendo che la maggioranza silenziosa (“silent majority”) è più forte che mai. Facile, sin troppo, individuare analogie tra questa e i children of light, definiti da Viganò come maggioranza. Eppure assoggettati alle forze del male.
Queste, nella lettera, avrebbero ordito sia durante l’emergenza sanitaria da coronavirus, sia in queste settimane di proteste negli Stati Uniti. Esperimenti di ingegneria sociale, come scrive Viganò, che mirano a limitare la volontà dei cittadini e dei loro rappresentanti e che hanno un obiettivo ben preciso: creare i presupposti per veder eletto qualcuno di più funzionale agli scopi del deep state. Un’accusa non troppo indiretta a Joe Biden, lo sfidante di Trump alle prossime presidenziali.
Fondamentalismo cristiano ed elezioni americane
Il risultato di Trump alla scorsa tornata elettorale è stato possibile grazie anche al supporto dei cattolici americani, che lo hanno aiutato a battere Hillary Clinton, tra i pochi candidati democratici che, nella storia, non hanno ottenuto la maggioranza del voto cattolico. Ciò nonostante il rapporto tra papa Francesco e Trump stesso, ancor prima del voto, avesse già dimostrato di essere complicato: la proposta del candidato repubblicano di costruire un muro al confine tra Stati Uniti e Messico era stata liquidata dal pontefice come “non cristiana”.
Nella parte settentrionale del suo continente, però, Bergoglio non gode di grande popolarità. La sua apertura alla Cina, l’afflato universalistico della sua missione e il messaggio socioeconomico del suo papato mal si conciliano con l’ethos americano. Al contrario, alimentano l’intensità della campagna mediatica di stampo nazionalistico della lobby evangelico-cattolica che, a Washington, può contare, tra gli altri, sul vicepresidente Mike Pence e sul segretario di Stato Mike Pompeo.
Trump, con la partecipazione alla March for life – la prima per un presidente statunitense e citata anche da Viganò nella sua lettera – ha ulteriormente rinsaldato l’alleanza con questo segmento di elettorato. È pur vero, però, che secondo i sondaggi più recenti, il sostegno dei cattolici verso il presidente in carica è in fase di declino, come dimostrato dal Public Religion Research Institute. I prossimi mesi e le prossime mosse saranno determinanti per spostare il sempre più decisivo voto religioso.