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Netanyahu gioca a carte (semi)coperte

Israele accelera: verso la parziale annessione della Cisgiordania

24 Giu 2020 - Francesco Bascone - Francesco Bascone

Lo Stato di Israele aveva già sfidato la comunità internazionale nel 1980, estendendo la propria sovranità su Gerusalemme Est, e cioè sulla Città Vecchia, i quartieri arabi intorno alle mura e un territorio circostante che si estende a Sud fino a lambire Betlemme e a Nord fino alla periferia di Ramallah, sede della Autorità Palestinese, inglobando una ventina di villaggi arabi. Nel 1981 aveva annesso la regione siriana del Golan che sovrasta il lago di Tiberiade.

Non era nel suo interesse annettere l’intera Cisgiordania: acquisendo un milione di nuovi sudditi palestinesi, nel frattempo saliti a quasi tre milioni, si sarebbe cacciato nel dilemma fra ritrovarsi con una formazione araba come primo partito in Parlamento e privare gli arabi del diritto di voto, cioè stabilire ufficialmente un regime di “apartheid”. Teoricamente, una soluzione a questo dilemma poteva consistere nel fagocitare il massimo di territorio e di insediamenti ebraici con il minimo di abitanti arabi: essenzialmente la cosiddetta zona C.

Il gioco delle parti
Ma a livello internazionale questa opzione, che ora diventa di attualità, era sempre stata considerata una “linea rossa” da non travalicare. Si dava per scontato che Washington, pur essendo da sempre un mediatore non proprio imparziale fra Israele e i palestinesi, non lo avrebbe permesso. Con Donald Trump ciò è cambiato e il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha saputo approfittarne.

Ha preparato questa mossa in un gioco delle parti con Jared Kushner, il “Primo Genero”, il quale gli ha fatto il favore di presentare, sei mesi fa, l’annessione di un terzo del territorio come un piano americano, quindi come un ragionevole compromesso (cosa che ovviamente non è), ha usato i suoi buoni rapporti con l’Arabia Saudita e il fatto che Mohammed bin Salman ha bisogno del pieno appoggio americano dopo l’affare Kashoggi, per assicurargli il consenso di Riad. Poi Netanyahu ha dovuto attendere di formare un governo con una maggioranza parlamentare per incassare la cambiale.

Da Benny Gantz, l’ex rivale e ora socio, ci si aspettava un’ipoteca su questo progetto in cambio del salvacondotto offerto a Netanyahu sottoposto a processi per corruzione, della precedenza nella premiership a rotazione, e quindi del diritto di nominare i giudici che dovranno giudicarlo. Invece, lo stimato generale, mediocre giocatore, ha rinunciato al veto proprio su questo punto, accontentandosi di porre condizioni che potrebbero bloccare il progetto ma in realtà hanno, visti i suoi clamorosi ripensamenti, piuttosto il sapore di pii auspici: l’annessione non deve arrecare pregiudizio alla stabilità della regione e ai trattati di pace esistenti e futuri. Deboli paletti che il premier non esiterà a travolgere assicurando che l’avallo americano è uno scudo sufficiente.

Accelerazione israeliana
La mappa sarebbe ancora allo studio, ma non c’è dubbio che comprenderà da un lato gran parte degli insediamenti ebraici situati nella fascia di territorio occupato contigua a Israele, dall’altro la depressione lungo il confine con il regno hashemita di Giordania, riducendo la Cisgiordania autonoma ad alcune enclave densamente popolate.

La motivazione data per l’annessione della valle del Giordano è la sua presunta importanza strategica. Poco credibile da quando, nel 1994, fu firmata la pace con la Giordania con l’allacciamento di rapporti diplomatici. Il vero obbiettivo può solo essere quello di rendere definitivamente irrealistica l’opzione della creazione di uno Stato palestinese. Per la sicurezza di Israele l’annessione sarà controproducente se causerà la destabilizzazione del regno di Giordania.

Il quotidiano progressista Haaretz titolava il 16 giugno “le probabilità di annessione della Cisgiordania si stanno attenuando“. Potrebbe però trattarsi di una sopravvalutazione del peso delle preoccupazioni espresse da molti ebrei liberal e  parlamentari statunitensi. Netanyahu gioca a carte coperte: fa sapere che non è ancora stata presa una decisione, ma appare verosimile che si prepari a creare il fatto compiuto il 1° luglio, prima data utile secondo quanto dichiarato al momento del varo di questo governo di coalizione, nel maggio scorso. Perché questa data, che rappresenta una netta accelerazione rispetto al piano Kushner? Perché non vi è certezza della rielezione di Donald Trump e quindi della connivenza americana nei prossimi anni.

Il fatto che il premier israeliano non abbia agito prima della fine di giugno dimostra che è un buon giocatore di scacchi. Il 1° luglio la presidenza dell’Unione europea passa alla Germania, la quale per evidenti ragioni storiche si guarderebbe dal proporre sanzioni incisive contro Israele. Si può dunque mettere in conto che l’Ue si limiterà a innocue proteste verbali del responsabile della politica estera Josep Borrell e del Parlamento europeo.

La partita di Trump
Ma anche se ci fosse una volontà politica di reagire con misure concrete, la prevedibile minaccia americana di rispondere con contro-sanzioni e blacklisting di aziende che aderissero a un boicottaggio di Israele costituirebbe un efficace deterrente. E anche senza questa minaccia Washington non avrebbe difficoltà a persuadere i fedeli alleati dell’Europa orientale, a cominciare dalla Polonia, a opporsi alle sanzioni.

L’annessione potrebbe dunque rivelarsi una mossa vincente anche per la partita di Trump con gli europei: gli offrirebbe una occasione per spaccare, umiliare, indebolire l’Unione europea.

Escluso che l’Ue possa convincere Washington a fermare il treno israeliano, e a meno che non lo facciano alcune importanti capitali arabe preoccupate delle reazioni delle loro piazze, rimane solo la speranza di un pronunciamento compatto dei responsabili della sicurezza – Zahal e i Servizi – sul grave rischio di una insurrezione in Cisgiordania, del collasso della Autorità palestinese, di attacchi agli insediamenti più isolati e di attentati in territorio israeliano.