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Il presidente Moreno tira dritto

In Ecuador aumentano i contagi e anche i tagli alla spesa pubblica

28 Giu 2020 - Francesco Mattioni - Francesco Mattioni

QUITO. La notte dello scorso 15 giugno – trascorsi i 90 giorni dal primo decreto che introduceva lo stato d’emergenza (estado de excepción) – il presidente Lenín Moreno ha sottoscritto un nuovo decreto per far fronte all’aggravarsi della crisi sanitaria causata dal Covid-19.

Tale decreto prolunga lo stato d’emergenza su tutto il territorio nazionale dell’Ecuador di altri due mesi, fino al prossimo 15 agosto, con la possibilità di estenderlo di ulteriori 30 giorni. Come il precedente, il nuovo decreto sospende la libertà di circolazione, associazione e riunione, allo scopo di mantenere l’isolamento e il distanziamento sociale, cercando così di ridurre le probabilità di contagio.

Nelle prime due settimane di giugno, in alcune province del Paese si era assistito a un generale ammorbidimento delle misure di confinamento, con il passaggio dal semaforo rosso a giallo. Ciò aveva lasciato intravedere un po’ di speranza, dando respiro al settore dell’economia informale, da cui dipende almeno il 60% della popolazione ecuadoriana economicamente attiva.

Crisi sanitaria e socio-economica
L’aumento dei contagi, però, anche in quelle province che finora non avevano fatto registrare molti casi, e un sistema sanitario già precario sempre più sull’orlo del collasso, hanno motivato l’esecutivo ad ampliare lo stato d’emergenza.

Con oltre 54.000 casi di contagio e più di 4.400 morti, l’Ecuador risulta tra i Paesi dell’America Latina maggiormente colpiti dalla pandemia, in proporzione al numero di abitanti.

Secondo il quotidiano nazionale El Universo, però, i rapporti e le cifre ufficiali sui casi di Covid-19 in Ecuador sono stati modificati più volte. Il Ministerio de Salud Pública e il Comité de Operaciones de Emergencia Nacional (Coen), infatti, avrebbero eliminato, aumentato e ritoccato il numero dei contagi in almeno 23 circostanze, includendo casi non ancora accertati e cambiando il sistema di conteggio.

Nelle province dove è ancora in vigore il semaforo rosso, solo le attività ritenute strettamente necessarie per la ripresa economica – oltre alla produzione/distribuzione alimentare e alle prestazioni sanitarie e bancarie – sono esenti dal coprifuoco e dalle restrizioni alla mobilità.

Alla crisi sanitaria, si somma quella economico-sociale. Una “calamità pubblica”, come l’ha definita il presidente Lenín Moreno, rassicurando poi che “il nuovo decreto stabilisce alcuni meccanismi per affrontare la recessione, la crisi fiscale e facilitare la ripresa economica”.

Tagli in piena pandemia
All’inizio di maggio, il Fondo monetario internazionale (Fmi) ha accordato all’Ecuador un credito d’emergenza di 643 milioni di dollari “per sostenere la riattivazione produttiva e proteggere i posti di lavoro”, in un Paese che oltre alla pandemia risentiva del crollo dei prezzi del petrolio, la principale fonte di reddito dell’economia ecuadoriana.

Solo due settimane più tardi, il presidente Moreno annunciava tagli alla spesa pubblica per un valore di 4 miliardi di dollari, la liquidazione di varie imprese pubbliche (tra cui Tame, l’unica compagnia aerea di bandiera) e la cancellazione o fusione di alcuni ministeri. Inoltre, il governo ha ridotto il budget dei ministeri che continuano a essere operativi e ha chiuso 11 sedi diplomatiche.

Una delle misure più discusse è stata la riduzione della giornata lavorativa nel settore pubblico, che passa da 8 a 6 ore, con il conseguente taglio dei salari (del 25% circa). L’ondata di licenziamenti che ha accompagnato questo provvedimento non ha risparmiato nemmeno i dipendenti del ministero della Salute.

L’amministrazione di Moreno non è certo nuova a tagli di queste proporzioni. Da quando ha assunto la presidenza, Lenín Moreno ha ridotto drasticamente il budget di decine di istituzioni ed enti pubblici, andando a colpire soprattutto educazione e sanità. Di fatto, invertendo le politiche sociali e gli investimenti nel welfare del predecessore Rafael Correa.

Proteste, ieri e oggi
Nonostante le proteste dell’ottobre 2019, che avevano (letteralmente) incendiato l’Ecuador, portando alla deroga del tanto odiato paquetazo di misure pro-Fmi, ora, in piena pandemia, il presidente Moreno è riuscito a far approvare quegli stessi provvedimenti senza troppe ripercussioni.

Qualche protesta, in effetti, c’è stata. Studenti, lavoratori e rappresentanti del settore pubblico hanno sfilato per le vie del centro di Quito e delle maggiori città, ma niente di paragonabile alle manifestazioni violente di ottobre. In tanti non hanno potuto partecipare a causa della quarantena.

Va notato che l’ultimo prestito del Fmi, quello di maggio, erogato per un caso di contingenza sanitaria, non vincolava affatto all’adozione di un pacchetto di riforme strutturali e tagli alla spesa (come di consueto). Mentre il resto del mondo aumenta la propria spesa pubblica e posticipa le politiche di austerity, l’Ecuador approva tagli e altre misure d’aggiustamento con largo anticipo – persino per gli standard del Fmi – proprio nel mezzo della peggior crisi sanitario-economica globale del secolo. Come mettersi a dieta quando si muore di fame.

Insomma, se c’è qualcuno che ha tratto vantaggio dalla crisi attuale è proprio il presidente Moreno, che è riuscito a far passare provvedimenti drastici e impopolari, approfittando della quarantena in cui si trovano gli ecuadoriani e distraendo l’opinione pubblica con arresti e processi per corruzione ai suoi rivali politici, veri e presunti.