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Il Recovery Fund può essere una rampa di lancio per la transizione verde

29 Giu 2020 - Marta Pacciani - Marta Pacciani

Annunciato da Ursula von der Leyen a fine maggio, il Recovery FundNext Generation EU destinerà 750 miliardi di euro alla ripresa economica dei 27 Paesi membri negli anni successivi all’esplosione della pandemia di Covid-19. Ora che questo importante passo nella direzione della rinascita economica è stato compiuto – la proposta è stata discussa dal Consiglio europeo del 19 giugno, che ha dato il via ai negoziati che continueranno in occasione del Vertice del 17-18 luglio – ciò che le spinte di rinnovamento ecologico e gli ambientalisti si augurano è che la traiettoria assunta dalle manovre di sviluppo sia il più “verde” possibile: a questo riguardo, è stato annunciato che lo European Green Deal fungerà da strategia di riferimento per l’implementazione del piano di ripresa.

Molti gli attori europei che si auguravano questo tipo di svolta prima dell’annuncio del Recovery Fund, ma non tutti: durante una videoconferenza con Frans Timmermans, vicepresidente esecutivo della Commissione con delega al Green Deal Europeo, l’eurodeputata Silvia Sardone (ID) aveva protestato contro l’eccessiva attenzione all’ecosostenibilità, che a suo parere sarebbe andata a discapito di imprese e lavoratori. Poi, il 10 aprile, il gruppo di imprenditori BusinessEurope aveva indirizzato a Timmermans una lettera dove veniva richiesto di posporre le misure “non essenziali” del Green Deal, incluse le restrizioni sulle emissioni di CO2. Tale lettera seguiva di un giorno quella firmata da 17 ministri per l’ambiente e il clima dell’Unione, dove anzi veniva richiesto che il Green Deal fosse adottato come quadro di riferimento per la strutturazione del Recovery Fund.

In linea con questo approccio, Timmermans aveva respinto le richieste da parte della lobby BusinessEurope e assicurato la commissione Ambiente del Parlamento che “ogni euro investito avrebbe contribuito ad una nuova economia, piuttosto che alle vecchie strutture”, confluendo quindi nelle transizioni verdi e digitali.

Green Deal e Recovery Fund
Quali sono nella pratica gli elementi del Green Deal che, tramite il suo piano di investimenti (il Sustainable Europe Investment Plan, accanto al Just Transition Mechanism) – il cui scopo è di garantire un’equa distribuzione degli investimenti, affinché nessuno rimanga indietro nel processo di transizione e neutralizzazione dell’impatto ambientale – interagiranno con l’attuazione del Next Generation EU e andranno maggiormente ad influenzare le politiche europee del prossimo decennio?

La riforma agroalimentare Farm to Fork, presentata assieme all’European Green Deal, prevede una corretta transizione verde attraverso strumenti sia regolatori che non regolatori, che vadano ad impattare sulle politiche relative all’agricoltura, all’allevamento e alla pesca. Sostanzialmente, ciò si traduce in un piano decennale che mira a rendere la catena di produzione alimentare sostenibile in ogni sua fase, dalla produzione al consumo, strutturato in una serie di punti chiave che prevedono una riduzione pari al 50% nell’uso dei pesticidi e del 20% per i fertilizzanti, il che contribuirà al mantenimento dell’equilibrio chimico e della fertilità del suolo. Una riduzione del 50% è prevista anche per le vendite di antimicrobici destinati all’allevamento e all’acquacoltura, mentre un aumento del 25% è destinato alla quantità di terra coltivata biologicamente. Per quanto riguarda la sfera del consumo, parte della strategia dovrebbe essere una maggiore sensibilizzazione dei cittadini al valore del cibo e un più facile accesso al mercato locale e alle varietà tradizionali.

Altro nodo gordiano del Green Deal è la strategia per la biodiversità, presentata dalla Commissione europea al Parlamento tramite un documento dove viene dichiarata l’importanza cruciale della biodiversità in questo momento critico della nostra storia. Sebbene i punti vincolanti di tale strategia saranno definiti soltanto nel 2021, sappiamo che gli obiettivi dell’Ue includerebbero il rimboschimento delle aree verdi con 3 miliardi di alberi, l’aumento delle aree protette, sia marine che terrestri, del 30% (più un 10% coperte dalla protezione integrale, ovvero dove le attività umane non sarebbero affatto consentite), l’aumento della coltivazione biologica dei terreni di almeno il 25% e il dimezzamento delle dispersioni di azoto e fosforo derivanti dai fertilizzanti chimici.

Punti critici
Un punto che tuttavia non sembra essere sufficientemente affrontato in nessuno di questi documenti – fa notare l’European Environmental Bureau (una federazione di associazioni ambientaliste) – è il bisogno di ridurre le emissioni di gas serra derivanti dagli allevamenti intensivi e stabilire un tetto massimo per la densità degli animali allevati, considerando che questo tipo d’industria e le sue modalità sono una delle maggiori fonti d’inquinamento nel settore agroalimentare.

Nel suo assessement della riforma Farm to Fork, l’Eeb indica una serie di debolezze del piano che includono anche il mancato divieto per le pratiche di pesca più distruttive, come le reti non selettive e la cattura di specie sensibili, o la garanzia che gli standard di sostenibilità previsti dal Green Deal avranno un respiro globale, venendo quindi applicati anche sulle importazioni dagli altri Paesi.

Malgrado le sopracitate criticità, e considerando che gli elementi vincolanti della Biodiversity Strategy sono ancora da fissare, il piano europeo per la trasformazione ecologica della nostra economia sembra essere una buona rampa di lancio per una transizione verde che sappia cogliere le opportunità di svolta quasi rivoluzionare offerte dal drammatico panorama dell’attuale pandemia.

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