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LE SCAPPATOIE DI GANTZ E NETANYAHU

Il coronavirus fa saltare la parziale annessione della Cisgiordania?

30 Giu 2020 - Nello del Gatto - Nello del Gatto

Potrebbe essere il coronavirus a fornire al premier israeliano Benjamin Netanyahu una via d’uscita dalle proteste locali e internazionali legate alla prevista annessione di parte della Cisgiordania il 1° luglio.

Già perché l’emergenza che da qualche giorno sta affrontando Israele, con un aumento importante di casi registrato anche in Palestina (dove alcune città come Betlemme, Nablus e Hebron hanno chiuso), potrebbe far slittare la data stabilita per l’annessione.

Un giorno che sembrava lontano
In verità, a chi osserva questi luoghi con occhio critico e non partigiano, da qualche giorno il 1° luglio era sembrato molto più lontano nel tempo. I segnali c’erano tutti: “La mappatura non è finita”; “si annetteranno solo tre colonie”; “la data del 1° luglio non è scolpita nella pietra”, si diceva da Gerusalemme.

Da Washington, dove vive l’altro attore principale di questo progetto – il presidente degli Stati Uniti Donald Trump – e dove è stato forgiato il “piano del secolo” che legittima politicamente ed economicamente l’annessione, il silenzio è stato anche più assordante delle parole dei politici israeliani e delle proteste dei palestinesi. Un paio di giorni fa era stata annunciata una dichiarazione di Trump sull’argomento che poi non c’è stata. Inviati americani e diplomatici hanno fatto la spola tra Gerusalemme e Washington senza però trovare un punto di accordo.

In questo momento, però, il presidente degli Stati Uniti ha altro a cui pensare e ciò pone la questione israelo-palestinese in secondo piano. Ma la base elettorale di Trump è composta anche da ebrei così come da evangelici, tutti fautori dell’annessione. E allora che si fa? Si trova una scappatoia.

Opzioni alternative
La prima, si chiama “annessione soft“. Il piano originario di Trump e di suo genero e senior advisor Jared Kushner, prevede che Israele annetta il 30% della Cisgiordania attuale. Questa parte insiste nella cosiddetta area C, quella che, secondo gli accordi di Oslo, sarebbe dovuta essere per cinque anni, dal 1994 al 1999, sotto Israele e il cui status definitivo, sarebbe stato oggetto di successivi colloqui. Cosa che non avvenne, perché con una intifada e altri scontri, non ci furono negoziati e tutto restò come prima.

Si passerebbe quindi all’annessione di tre insediamenti, come risposta soft di Israele alla spinta verso un’annessione forte che arriva dalla destra e dai coloni: Ma’ale Adumim, che si trova a pochissimi chilometri da Gerusalemme sulla strada verso il Giordano; Gush Etzion, che si trova a sud della città santa; Ariel che si trova nel cuore della Cisgiordania, a sudovest di Nablus. La strada che collega Gerusalemme con Ma’ale Adumim è la stessa che scende nella Valle del Giordano fino al Mar Morto. Strada israeliana, con strutture israeliane. Ma’ale Adumim non è proprio quello che si può definire un insediamento come si può credere, è una vera e propria città, sulla collina, a destra scendendo. Le opere infrastrutturali non lasciano neanche la sensazione che si trovi in territorio non israeliano, come succede per altri insediamenti.

In questo momento, però, questa prima scappatoia sembra essere più remota. Il silenzio americano pesa e allora si andrebbe verso la seconda: il rinvio di tutto stante il coronavirus. Da qualche giorno in Israele c’è stato un forte aumento dei contagi; ieri l’incremento è stato il terzo maggiore da quando è esplosa la pandemia. Il ministro della Difesa e vicepremier Benny Gantz ha subito cavalcato la tigre e detto che emergenza sanitaria e occupazionali sono le priorità per Israele, più che l’annessione.

Un’onorevole via d’uscita
In questo gioco da “poliziotto buono, poliziotto cattivo” con Netanyahu, Gantz aveva comunque detto “non continueremo ad aspettare i palestinesi. Se dicono di no per sempre a tutto, allora saremo costretti ad andare avanti senza di loro”, dando la sponda al premier per rinviare i piani di annessione e fornendo a tutti una onorevole via d’uscita senza sconfitti.

Infatti, sia Netanyahu sia il presidente palestinese Mahmud Abbas (Abu Mazen) hanno aperto le braccia, dichiarandosi disponibili a riprendere i colloqui interrotti da tempo. Come spesso accade nelle vicende geopolitiche, quando si sta per arrivare ad un punto di non ritorno, il fermarsi fa prendere le decisioni più sagge come la revisione di tutto. I palestinesi, che hanno sempre annunciato ma mai diffuso un contro-piano alternativo a quello di Trump, si sono anche detti disponibili a piccole concessioni territoriali. Il che riporterebbe a riscrivere tutto.

La mossa di Abu Mazen
Ma come mai questo passo indietro anche di Abu Mazen che fino a poco fa minacciava ritorsioni, finanche la univoca proclamazione dello Stato palestinese, oltre che della cessazione dei rapporti con Israele e Usa? Il presidente palestinese sa che il suo Paese-non-Paese sta attraversando una crisi forte.

Il coronavirus ha dato una forte mazzata ha un’economia già carente. Non solo: il sostegno incondizionato degli storici alleati arabi comincia a venire meno, anche perché Israele ha saputo costruire ottimi ponti non solo con gli alleati Egitto e Giordania, ma anche con i “nemici” Arabia Saudita ed Emirati Arabi. Questo ha scosso molto Abu Mazen, che si è finanche rifiutato di accettare gli aiuti emiratini atterrati a Tel Aviv.

Ma il vecchio leader palestinese sa pure che non può continuare così. Non sono pochi i palestinesi che a questa situazione di limbo preferirebbero stare direttamente sotto Israele, anche come forza occupante, perché questo significherebbe stipendi, sanità, strade. Tanto, come fanno notare in molti, vivono già in apartheid, sotto dittatura. La Palestina non tiene elezioni dal 2007, ma non significa che non abbia una classe politica e dirigente che, però, viene messa continuamente all’angolo dall’establishment.

La soluzione passa quindi da un passo indietro o, in ultima analisi, da un cambiamento dei leader che siano poi disposti ad azzerare gli ultimi quasi trenta anni di storia di quest’area.