Convertito in legge il decreto di riforma del Golden Power
In data 4 giugno, il Senato ha approvato il testo di riforma della disciplina sul Golden Power, introdotto con il decreto-legge n. 23 dell’8 aprile 2020. Il potenziamento dello strumento di tutela della sicurezza nazionale, resosi necessario a seguito dell’emergenza pandemica da Covid-19 e della crisi di liquidità del sistema economico italiano, ha superato il vaglio del Parlamento, mantenendo intatta l’ampiezza della propria portata.
Dagli emendamenti si evince, anzi, l’ampliamento del potere d’intervento della Presidenza del Consiglio dei ministri, in particolare relativamente a delibere di società operanti nella produzione, importazione e distribuzione all’ingrosso di dispositivi medicali, medico-chirurgici e di protezione individuale, nonché ai settori agroalimentare e siderurgico.
Indeterminatezza
L’esercizio del potere legislativo in stati di emergenza pone una prima sfida nell’autolimitazione. Stabilendo in maniera chiara e precisa il perimetro d’intervento, il legislatore riduce il rischio che l’esecutivo possa impiegare i propri poteri al di fuori della ratio della norma. A tal fine, la legge pianta un primo paletto, di carattere temporale, limitando al 31 dicembre 2020 l’applicazione della normativa, con la speranza che non persista oltre tale data lo stato di necessità finanziaria.
Più complessa è la definizione dell’ambito di applicazione della normativa. Se da un lato il richiamo generale dei settori di applicazione fornisce una più ampia protezione contro eventuali 2operazioni predatorie2, dall’altro lo scudo diventerebbe troppo pesante, limitando la libertà di azione di cui necessita l’Italia per rialzarsi. Cercando di individuare più concretamente i beni e rapporti di rilevanza strategica per l’interesse nazionale, il governo ha adottato, dunque, un Dpcm che riproduce uno schema attuativo – ad oggi al vaglio del Consiglio di Stato – in cui si cerca di limitare l’astrattezza della disciplina generale. Da notare, ad esempio, che rispetto ai settori energia, acqua, salute e finanza, lo scudo copre solo le imprese con più di 300 milioni di fatturato annuo netto e 250 dipendenti.
Oneri operativi
Se uno schema attuativo contribuisce a chiarire le idee, resta ben lontano dal risolvere le numerose questioni che sorgono nella pratica, per le cui risposte le imprese dovranno affrontare nuovi costi in termini economici e di tempo, per risultare conformi alla normativa. Gli operatori economici sono chiamati ad adottare misure idonee a garantire la conformità con le norme che disciplinano l’esercizio dell’istituto d’intervento della Presidenza del Consiglio, impiegando risorse per l’identificazione dei casi in cui sussistono obblighi di notifica e il relativo adempimento.
Ma la riforma non ha appesantito solo il settore privato: anche maggiore è, infatti, l’impegno richiesto alle istituzioni pubbliche coinvolte. In primis, l’esercizio del Golden Power richiede un’analisi preventiva pluridimensionale, in cui le valutazioni sugli effetti per sicurezza nazionale da un lato e per il mercato dall’altro s’innestano in un quadro giuridico, legittimato da specifiche condizioni macroeconomiche. Tale necessario approccio olistico induce a un rafforzamento della rete istituzionale che orbita attorno alla Presidenza, a cui si aggiungono centri di ricerca e personale specializzato.
Insomma, la riforma del Golden Power è un banco di prova per il funzionamento del sistema Paese, in cui il pubblico e il privato sono chiamati a collaborare per un reciproco supporto, al fine della tutela dei rispettivi interessi.
Verso ulteriore impermeabilità a livello Ue
A livello sovranazionale, l’Ue, tramite poteri d’intervento che richiamano il Golden Power, sta cercando di colmare un gap normativo che espone le imprese europee alla concorrenza sleale di quelle che ricevono aiuti da Stati non membri, in quanto tali sussidi non sono coperti dal divieto di aiuti di Stato, disciplinato dagli artt. 107 e 108 del Tfue. Per porvi rimedio, come riportato in un recente articolo del Financial Times, la Commissione sta lavorando a un libro bianco – in pubblicazione entro il 17 giugno – finalizzato a dotare l’istituzione europea degli strumenti necessari a valutare gli effetti distorsivi sul mercato e le acquisizioni di società finanziate da sussidi stranieri. La conseguente proposta di legge dovrebbe includere un obbligo di notifica e il potere di vietare l’operazione ostile.
Risulta evidente che la norma si rivolge alla Cina, definita già “rivale sistemico” (systemic rival promoting alternative models of governance) nel rapporto della Commissione sulle relazioni bilaterali Ue-Cina del marzo 2019 e, notoriamente Stato con prospettive di massicci investimenti. Catalizzatori per la riforma sono stati l’emergenza epidemiologica che ha messo in ginocchio la gran parte dei grandi attori della scena internazionale, fatta salva la Cina, e le proteste di Hong Kong, che mostrano come la variazione del peso economico relativo a Pechino stia conducendo all’imposizione di “un alternativo modello di governance“, in violazione dell’autonomia di Hong Kong.
Questa pubblicazione fa parte di una serie realizzata in collaborazione con lo Studio Legale Padovan.