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RECOVERY FUND

Consiglio europeo: ottimismo e realtà

17 Giu 2020 - Antonio Armellini - Antonio Armellini

La proposta con cui Angela Merkel ha riaffermato oltre ogni possibile dubbio la sua centralità politica in Europa ed Emmanuel Macron ha recuperato credibilità e autorevolezza, ponendo un freno al declino di consensi all’interno, sarà alla base del Consiglio Europeo del 19 giugno. Scandalizzarsi per la leadership franco-tedesca non avrebbe senso: l’Unione intera ne guadagna e se non siamo riusciti ad aggiungere sin dall’inizio la nostra voce non è stato per colpa di oscuri complotti ma per l’incapacità di apportare argomenti concreti e soprattutto condivisi, con buona pace dei nostri sovranisti.

Lo European Recovery Fund ha evitato di cadere nella “palude tecnocratica brussellese” in cui rischiava di scivolare e potrà fornire alla sin qui traballante presidenza di Ursula von der Leyen, fedelissima della Cancelliera, un bazooka di tutto rispetto.

L’uscita a gamba tesa della Corte Costituzionale di Karlsruhe sembra trascolorare sullo sfondo, mentre la Bce lavora attivamente al suo superamento. 750 miliardi rappresentano uno sforzo reale, la cui efficacia sarà ulteriormente aumentata se il bilancio poliennale 2021-27 della Commissione potrà contare su una dotazione adeguata, superando le solite forche caudine del “conto della serva” con gli Stati membri. Poi c’è il Mes – è immediatamente disponibile mentre per il Fondo bisognerà aspettare – che solo in Italia rimane prigioniero di un dibattito surreale e si spera solo inconsciamente autolesionista.

All’inizio di un percorso difficile
Tutto bene dunque? Il sospiro di sollievo è giustificato, ma attenzione: ci troviamo solo all’inizio di un percorso difficile in cui tutto – cifre, modalità, condizioni – è ancora da definire. Che quella del 19 giugno sarà solo la battuta d’avvio lo aveva detto sin dall’inizio la Merkel, ma l’avvertimento è rimasto largamente inascoltato.

Le esigenze di comunicazione sono importanti – ci mancherebbe – specie per un governo scisso come quello della coalizione giallo-rosso, ma forse non sarebbe stato male avere un piano B: stupisce la sicurezza con cui i miliardi del fondo – specie quelli a fondo perduto – vengono dati per acquisiti nella misura proposta dalla Commissione, mentre sono tutt’altro da escludere dimagrimenti e rimodulazioni. Così come stupisce lo stupore con cui si va scoprendo che per avere i fondi sarà necessario presentare dei piani precisi: siamo a mille miglia dalle condizioni giugulatorie della Grecia, il cui fantasma viene evocato spesso e a sproposito, ma che il fondo sia destinato a promuovere una crescita che passi attraverso investimenti nei settori chiave e non elargizioni a pioggia, non è certo una novità. Così come non deve stupire se ogni dichiarazione da parte nostra di volerlo usare per “mettere i soldi nelle tasche degli italiani” attraverso sussidi e non come conseguenza di investimenti capaci di creare occupazione, troverà a Bruxelles e non solo attenzioni occhiute.

Un fondo ancora da definire
Negare l’importanza del pacchetto di misure sarebbe stolto: non siamo ancora alla mutualizzazione del debito, ma a un passo avanti importante nella gestione solidale di obbligazioni e interessi, che potrebbe essere l’avvio di una faticosa ripresa verso una integrazione più stretta. Le ambiguità sul rapporto fra erogazioni a fondo perduto e prestiti, sulle modalità di rimborso, sul ruolo del bilancio comunitario e sul grado di “comunitarizzazione” dell’ERF testimoniano l’asprezza del negoziato. Resta da definire se si tratterà di un intervento one off causato dalla pandemia, limitato nel tempo e non ripetibile, o se segnerà un vero salto qualitativo nelle risorse a disposizione dell’Ue.

Intanto molti in Europa, a partire dall’ex Ministro delle Finanze tedesco, Olaf Scholtz, hanno parlato di “momento Hamilton” a proposito della proposta di Merkel e Macron; ancora una volta è bene fare attenzione. L’assunzione del debito degli Stati nel bilancio dell’Unione fu possibile per Alexander Hamilton perché traeva origine da un patto fondativo condiviso per dare una struttura federale ai nuovi Stati Uniti d’America. Nell’Ue le cose sono molto diverse: fra gli Stati membri è chiara la percezione che una crisi come quella del Covid-19 non può essere affrontata singolarmente e il pacchetto che verrà adottato dal Consiglio Europeo rappresenterà una risposta importante, ma le cose oggi si fermano lì.

Le riserve dei “frugali” non sono solo strumentali o ragionieristiche, così come non lo è l’opposizione annunciata del gruppo di Visegrad; esse riflettono concezioni diverse – e a volte contrastanti – su integrazione, solidarietà e condivisione degli oneri. Diverse, in altre parole, su cosa si debba intendere per Unione Europea.

La seconda parte dell’articolo è stata pubblicata su AffarInternazionali giovedì 18 giugno 2020