Consiglio europeo: ottimismo e realtà (Parte 2)
La divaricazione fra Europa “carolingia” e “mediterranea” è stata presente sin dagli inizi della Cee e se questa è riuscita a crescere, superando crisi anche gravi, è stato in forza di un patto fondativo chiaro fra i sei fondatori: creare una maglia multilaterale di controllo con cui imbrigliare le conflittualità storiche nel Continente e cominciare da un mercato comune, come primo passo verso un’entità politica. Si pensava che quel patto si sarebbe confermato nel tempo e si sottovalutò che i nuovi membri, Gran Bretagna e scandinavi in testa, non ne avrebbero condiviso origine e motivazioni.
Anime europee diverse
Di allargamento in allargamento, si è andato sfrangiando in una dimensione tecnocratica e di razionalizzazione di mercato mentre i Paesi ex socialisti, con le loro storie, fobie e priorità del tutto diverse, hanno inferto un ulteriore colpo. Su cosa sia una “unione sempre più stretta” non vi è accordo perché l’Europa a 27 non ha più un unico patto fondativo: al suo interno ne coesistono diversi, uniti nell’adesione qua e là un po’ arrugginita ai principi della democrazia rappresentativa, dell’economia di mercato, dello stato di diritto e delle libertà fondamentali, ma autonomi fra loro quanto al significato e alle priorità dell’integrazione.
Helmut Kohl e Francois Mitterrand pensavano a Maastricht che l’euro sarebbe stato il grimaldello per rendere irreversibile l’unione politica, perché convinti che senza di essa non avrebbe potuto funzionare. Avevano visto giusto ma non è andata così: l’Uem è rimasta sbilenca, i governi hanno dato vita a un foro permanente di concertazione dai nomi oscuri ai più e la Commissione ha abdicato al ruolo di punta di diamante dell’integrazione preconizzato da Jacques Delors.
Il nodo dell’unione politica
Per avere un “momento Hamilton” che rilanci la crescita in Europa dopo il Covid-19 – ma soprattutto, ad essere franchi, eviti all’Italia una deriva economica e sociale che potrebbe diventare inarrestabile – non bastano interventi puntuali. Attribuire un senso concreto alla mutualizzazione, che è il metatesto sotteso del Recovery Fund, dandogli permanenza e struttura, richiederà di completare innanzitutto l’unione economica e monetaria della gamba economica che ancora le manca, con una autonoma capacità di bilancio e più efficaci meccanismi di compenetrazione degli interessi. In mancanza di ciò i risultati resteranno limitati.
Fare ciò presuppone un analogo salto in direzione dell’unione politica, la sola capace di dare legittimità alla dose addizionale di sovranazionalità che sarebbe richiesta. Parlare oggi di ipotesi del genere a 27 è un po’ come entrare nel mondo di Peter Pan, ma la contraddizione resta: non si può avere un’Europa più solidale se non si affronta il nodo della dimensione politica e questo presuppone un patto fondante condiviso.
Un patto fondante
Dovremmo dunque lasciar cadere nel vuoto l’apertura offerta dalla proposta Merkel-Macron? Se un’Europa politicamente integrata – magari con un pizzico di federalismo – non è oggi immaginabile a 27, è giunto il momento di capire – partendo dai membri dell’Eurogruppo, ma non fermandosi lì – chi nell’Ue sia pronto a dare vita fra di loro a un patto fondante, aperto a tutti, flessibile e non antagonistico, capace di recuperare la dinamica politica del processo di integrazione. Il punto non è quello di spezzettare l’Unione che c’è, o di appesantirla di rigidi cerchi, piramidi o steccati, quanto di salvaguardarne le capacità di aggregazione attraverso percorsi diversi e autonomi fra loro, con un effetto di arricchimento collettivo.
Esserci sarebbe fondamentale per l’Italia e sbaglia chi pensa che finiremmo schiacciati, perché in un quadro del genere, dove saremmo protagonisti, la nostra forza relativa risulterebbe maggiore e un’Europa più politicamente coesa riequilibrerebbe molte posizioni. Avremmo tutto l’interesse a farcene promotori cogliendo magari l’occasione per ridare fiato alla Conferenza voluta da Macron e finita un po’ in ombra, che proprio per discutere del futuro dell’Europa era stata immaginata.
Questa è la seconda parte dell’articolo pubblicato su AffarInternazionali mercoledì 17 giugno 2020